Cultura

Padre Solalinde: «La verità va sbattuta in faccia al potere»

Un'intervista con il sacerdote che fa paura ai narcos. Padre Alejandro Solalinde è diventato un punto di riferimento per i migranti che, ogni giorno, cercano di attraversare la frontiera tra Messico e Stati Uniti. Vittime di sequestri, commercio di organi, violenze di ogni genere, gli ultimi trovano sostegno nella "pastorale estrema" di questo piccolo e tenace sacerdote

di Marco Dotti

A separare la gente che conta da quella irrilevante, ci sono molti muri. Visibili e invisibili.

C’è un prete messicano, settantadue anni, sulla cui testa i narcos hanno messo una taglia da un milione di dollari, che ha deciso di abbatterli tutti. Politica, denaro, lobby, violenza: non ha paura di niente.

Fino a sessant’anni Padre Alejandro Solalinde non sapeva molto dei cartelli della droga. Ancor meno conosceva il business sulla pelle dei migranti che – sono oltre mezzo milione l’anno – tentano di attraversare la frontiera tra Messico e Stati Uniti. Insegnava psicologia, faceva il prete e il teologo. Poi si è guardato attorno. E ha visto l’inferno. Ma anche il modo per uscirne. Ne parla nel suo ultimo libro, Questo è il regno di Dio, edito da Emi.

Nei primi sei mesi dell’anno, in Messico, ci sono stati più di 16mila morti assassinati: 88,7 omicidi al giorno, una media di 3,7 crimini all’ora. L'emergenza non è più un'emergenza: è caos.

«Il male non avrà l'ultima parola»

Il numero dei femminicidi è triplicato. E i migranti? Su 500mila – la maggior parte sono bambini e donne – ogni anno 20mila migranti spariscono nel nulla. Uccisi, venduti come merce alle fabbriche di automobili e televisiori, costretti ad arruolarsi nei cartelli o smembrati per vendere gli organi. Oppure uccisi senza una ragione che non sia quella di organizzare questo caos senza fine. I narcos si sono infiltrati ovunque. Nell’antistato, nello Stato, nel parastato, nella Chiesa, nella vita quotiana. Hanno cantanti, musica, tatuatori, santi, registi di serie tv: attorno a loro si è creata una narcocultura. Se ci fosse un sismografo del male, quello del Messico impazzirebbe.

Ma il male non ha l’ultima parola, finché – e sono tanti – ci sono persone con padre Solalinde. Il 22 dicembre 2010, mentre il mondo si interrogava sui soliti destini, in una casa di Ixetepec, un piccolo prete, minuto e fragile, teneva testa alla sorte, resistendo a Los Zetas, la feroce banda paramilitare che pretendeva la restituzione del proprio bottino: quindici indocumentados che Solalinde aveva salvato dal sequestro, portandoli con sé. La storia della sua seconda vita inizia qua. «Ho cominciato a denunciare alla polizia, accorgendomi presto che era corrotta. Ho denunciato alla stampa. Ma soprattutto ho fatto della strada la mia parrocchia. E la gente mi ha aiutato, in soli quattro mesi ho costruito una rete di intelligence spontanea e volta al bene: per prevenire i sequestri, per liberare persone. Mi davano notizie i gelatai, i panettieri scattavano fotografie. In poco tempo abbiamo creato un vasto movimento di consapevolezza e azione». E il poco tempo, padre Alejandro è diventato uno degli uomini più conosciuti in Messico.

«Se la fama mi ha salvato, impedendo ai narcos di ammazzarmi? La fama è niente, noi siamo niente. Siamo però nelle mani di Dio, è il suo amore a salvarci».

Solalinde racconta la sua storia in I narcos i vogliono morto, un altro bel libro edito ancora da Emi, inizia quella sera. Da allora, è stato un susseguirsi di lotte.

«La corruzione è la violenza dei politici»

«Gli ultimi governi del Messico», ci spiega Solalinde, «hanno alzato oltre ogni soglia il livello della corruzione. La corruzione ha permesso alla violenza di proliferare, in tutte le sue forme. Come sempre capita, chi ne paga le conseguenze sono i più deboli. I fragili, i vulnerabili: bambini, donne, migranti. Non so che cosa sia accaduto a questo Paese, ma credo che abbia cominciato a declinare quando ha perso la sua fede. Senza fede, ha guardato ai migranti come a persone ostili. Mentre i governanti corrotti, che sono tutti cattolici, trasformavano il loro cattolicesimo in un formalismo vuoto. In un cerimoniale del loro antiregno».

Oltre la paura

Oggi, però, lentamente, in Messico le cose stanno cambiando. C’è un nuovo governo, forse c’è più fiducia. «Se ho paura? Certo che ho paura, ma ogni volta che supero una paura divento più forte per la paura che verrà. La paura è uno strumento nelle mani dei corrotti. Governano con la paura, perché la paura uccide il nostro giudizio. Ci paralizza. Non ho paura, ma dolore per quanto sta accadendo. Quando vengo in Europa, la prima cosa che mi colpisce è il livello di paura. Altissimo. E la seconda è la sfiducia. Altissima anche quella. Che cosa è successo a questo continente? Perché avete paura? La paura non vi renderà né più sicuri, né più liberi».

«Ma la corruzione va sempre di pari passo con la menzogna. Non so come, ma in questo deserto è sorta una forza incredibile. In me e in tanti come me. Non sono solo, oltre 90 organizzazioni della società civile hanno lottato con me per ottenere delle leggi che riconoscessero i diritti fondamentali dei migranti. Ci siamo riusciti». Come? «Agendo e parlando in modo franco. I politici non erano abituati a questo modo di fare». Quale? «Non erano abituati a qualcuno che arriva e ti dice in faccia tutto, senza giri di parole».

Quando gli chiediamo se ha trovato ostacoli nella gerarchia, padre Alejandro sorride: «Pressioni dirette i politici non ne fanno. Ma chiamavano, ovviamente, chi stava sopra di me. Più volte mi è stato chiesto di moderare i toni, di fermarmi. Io rispondevo: "se è un consiglio, lo ascolto e poi valuto. Ma se è un ordine, io seguo l'ordine di Cristo, non posso fare altrimenti. Alle ultime elezioni, l'episcopato prese posizione per il governo uscente. Io, nel mio piccolo, ho appoggiato l'opposizione di sinistra. Contro ogni previsione, la sinistra a vinto e oggi è al governo». I vescovi hannno così perso ogni appoggio politico.

E il piccolo padre Solalinde, oggi, anche grazie a una sua antica amicizia con il Presidente Lopéz Obrador, si trova ora nella posizione di portare al centro del'agenda politica del Paese la questione dei diritti dei migranti. Ha rinunciato a ogni incarico politico. Gli era stato offerto di presiedere una commissione per i diritti umani. «La mia vita è per strada, tra la gente del popolo».

Una pastorale estrema

Da qualche tempo, Solalinde ha una scorta. «Ne farei volentieri a meno, ma il vecchio governo è molto arrabbiato con me». Ha subito attentati, quattro tentativi di omicidio e un tentativo di linciaccio da parte dei cartelli.

«Fino a sessant'anni ero un prete normale. Poi un giorno, ho visto della gente sulla Bestia». La "Bestia" è un treno merci. Lo chiamano così perché taglia in due il Paese. Lo usano i migranti per scappare dalla fame e dalla violenza. Non si sa quando parte, non si sa quando arriva. Spesso non arriva mai, perché i narcos lo fermano e sequestrano tutti.

«Ho visto quelle persone ammassate sui tetti, Ho viaggiato con loro, ho imparato a saltare da tetto a tetto. Dio mi ha dato la forza». Come tutte le cose, anche i sequestri iniziarano così. «Nessuno parlava, nessuno guardava. E chi guardava non capiva. Ero un prete, solo un prete, mi occupavo di psicologia e teologia. Mi misi a indagare e capii. Mi stavo infilando in un guaio enorme, lo sapevo. Ma non volevo né potevo evitarlo: non era più tempo di pensare a me. Persone indifese, in pericolo, chiedevano il nostro aiuto. Ma noi eravamo sordi. Decisi così di accompagnare i migranti, di capirli e proteggerli in questa pastorale che chiamerei una pastorale estrema».

Nessuno «mi ha insegnato come fare, nessuno mi ha dato istruzioni. Semplicemente: non ce n'erano. Allora mi sono messo in cammino con i migranti, ho viaggiato con loro e vissuto con loro e ho iniziato ad aiutarli. Mi sono chiesto: su chi posso contare per cercare la verità? Quando c'erano dei rapimenti, andavo con i migranti a denunciare alla polizia. Sono andato una, cento, mille volte. Non cambiava nulla. Un giorno, sono andato in procura. Ho chiesto alla funzionaria preposta i documenti delle mie denunce e mi sono stati dati. Erano lì, pieni di polvere. Poi venni a sapere che quella funzionaria era l'amante del principale sequestratore. Era una farsa, una messa in scena totale. Anche i rastrellamenti della polizia erano falsi. Tutto falso. Così, ci siamo messi in cammino per buttar giuù i muri che ci dividono. Per rompere le barriere. Per togliere potere agli idoli».

Parla con dolcezza, padre Solalinde. Non cerca i riflettori, non vuole la fama. Fa il suo lavoro. E se il suo lavoro lo espone, lui non scappa. «Perché vi stupite? Sono un uomo comune. Senza la grazia di Dio mi sgonfierei in un attimo, sarei nulla. Saremmo nulla. Questa consapevolezza è la nostra forza. Vi sembra poco?»

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