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Azzardo e divieto di pubblicità: che cosa ci dice la ricerca scientifica
In occasione del dibattito sul divieto di pubblicità dell'azzardo e l’approvazione del recente decreto che la vieta si sono letti, come prevedibile, pareri contrastanti. Chi non crede che la pubblicità debba essere in qualche modo regolamentata generalmente obietta che non esistono studi scientifici a supporto del divieto e che non è ancora stato dimostrato che la pubblicità e il gioco d’azzardo siano correlati. Vediamo come stanno davvero le cose
In occasione del dibattito sul divieto di pubblicità sul gioco d’azzardo e l’approvazione del recente decreto che la vieta si sono letti, come prevedibile, pareri contrastanti. Chi non crede che la pubblicità debba essere in qualche modo regolamentata generalmente obietta che non esistono studi scientifici a supporto del divieto e che non è ancora stato dimostrato che la pubblicità e il gioco d’azzardo siano correlati.
Lo scopo di questo articolo è fare il punto sullo stato dell’arte analizzando gli studi più recenti sull’argomento.
Il primo contributo arriva dall’articolo del 2005 “Does Gambling Advertising Contribute to Problem Gambling” di Mark Griffiths, Chartered Psychologist e Director of the International Gaming Research Unit della Nottingham Trent University.
A causa dell’esiguità di studi sul tema gioco d'azzardo e pubblicità, il trattato inizia con l’analizzare i risultati delle ricerche sulla correlazione tra consumo di alcol e pubblicità e scrive che “nel 2002 Chaloupka e colleghi (Chaloupka, Grossman, & Saffer, 2002)hanno scoperto che il divieto di pubblicizzare le bevande alcoliche può ridurre il consumo di alcol; due anni prima, invece, la U.S. National Institute on Alcohol Abuse and Alcoholism (NIAAA, 2000)aveva decretato che gli effetti della pubblicità sul consumo di alcolici sono molteplici e non permettono di arrivare a conclusioni nette. Nelson (Nelson, 2001), ha delineato i motivi per cui i divieti pubblicitari potrebbero non funzionare nel modo immaginato dai politici che li istituiscono: dato un divieto, questo potrebbe essere aggirato, ovvero, se esiste un divieto di pubblicità sui mezzi audiotelevisivi, le aziende potrebbero utilizzare le riviste o la pubblicità via e-mail, se il divieto riguarda solo i canali della tv di stato, le pubblicità potrebbero essere trasmesse sulla televisione satellitare ed inoltre, la pubblicità in un mercato già esistente difficilmente intaccherebbe l'intero spazio, ma è più probabile che saranno le quote all'interno del mercato stesso a modificarsi. La pubblicità ha inoltre un doppio effetto: può ridurre l'elasticità del prezzo della domanda o spostare le spese dei consumatori verso prodotti più costosi.”
Si potrebbe però affermare che questi studi si riferiscono alla correlazione tra consumo di alcol e pubblicità, che non sono recentissimi e che non sono arrivati a conclusioni nette. Una ricerca (Grant & Won Kim, 2001) citata nell’articolo di Griffiths ha evidenziato, a seguito di interviste a 131 adulti di giocatori d’azzardo patologici, il ruolo della pubblicità come “trigger” ovvero ciò che può scatenare l’impulso e la voglia di giocare. Il 46% del campione ha riferito che la televisione, la radio e gli annunci sui cartelloni pubblicitari erano stati un fattore scatenante.
Questa ricerca è doppiamente interessante: afferma che la pubblicità sul gioco d’azzardo ha un effetto sulle persone, quantomeno sui giocatori problematici, ed è uno studio di 17 anni fa che si riferisce al “volume di pubblicità” dell’epoca, dove il numero di passaggi pubblicitari sui giochi d’azzardo era minore e internet e i giochi online non erano così diffusi. Si può ipotizzare che la stessa ricerca ripetuta nel 2018 porterebbe a percentuali più drammatiche.
Altri studi più recenti sono arrivati alle stesse conclusioni della ricerca del 2001 (Binde, 2009; Hing, Cherney, Blaszczynski, Gainsbury, & Lubman, 2014) ed altri ancora hanno mostrato che il gioco problematico è associato a un impatto maggiore della pubblicità sugli adolescenti (Derevensky, et al., 2010).
Inoltre, la National Gambling Impact Study Commission (National Gambling Impact Study Commission, 1999) ha affermato che gli annunci sulle lotterie sono mirati soprattutto a quella parte di popolazione vulnerabile, in particolare ai giovani. Nello studio sono stati analizzati alcuni spot che mostrano persone giovani che giocano alla lotteria. L’attrattiva esercitata da quelle immagini e dall’illegalità per i minorenni di giocare d’azzardo in molte nazioni, solleva una preoccupazione legittima rispetto a questo tipo di pubblicità.
Un secondo studio piuttosto recente (Lopez-Gonzalez, et al., 2017) sulla pubblicità dei giochi d’azzardo online afferma che “la trasformazione delle scommesse da una forma di gioco d'azzardo discontinua (periodica e soggetta a disponibilità) a una continua (onnipresente, accessibile a livello globale e perennemente disponibile) (Griffiths & Auer, 2013) ha probabilmente cambiato la natura della pratica, sollevando al contempo tempestivi interrogativi sulle sue conseguenze potenzialmente dannose. In risposta, gli operatori di scommesse, cioè i bookmakers, hanno tentato di invertire la tendenza delle preoccupazioni sociali che circondano il gioco d'azzardo, associandolo ad atteggiamenti positivi. Come acceleratore dell'accettazione sociale (Binde, 2014; Deans, et al., 2017), ritraendo nella pubblicità personaggi simpatici impegnati in attività di gioco, a volte interpretati da celebrità sportive con ampio sostegno pubblico nella comunità (Amos, Holmes, & Strutton, 2008). La moralità di <<edonismo, materialismo, cupidigia, individualismo e fatalismo>> tradizionalmente legati al gioco d'azzardo (Binde, 2014)vengono rovesciate dai bookmakers nel tentativo di far percepire le scommesse come attività di svago e di intrattenimento (Korn, Hurson, & Reynolds, 2005; Monoghan, Derevensky, & Sklar, 2008).”
Nell’articolo “Marketing and Advertising Online Sports Betting: A Problem Gambling Perspective” pubblicato nel 2017, gli autori Gonzalez, Estèvez e Griffiths affermano che le innovazioni indotte dalla rete hanno trasformato l'essenza delle scommesse sportive. Secondo gli studiosi nuove sfide potrebbero sorgere in futuro a causa di questi cambiamenti, mentre la speranza è che si raccolgano sempre più dati sulle conseguenze delle strategie di marketing associate al gioco d’azzardo. In risposta a tale preoccupazione, i governi hanno agito conservativamente e hanno approvato leggi che limitano la pubblicità. Alcune di queste leggi sono in effetti in grado di offrire protezione riguardo a ciò che i ricercatori hanno identificato come dannoso (Lopez-Gonzalez & Griffiths, 2016).
Lo studio “Online gambling advertising and the third-person effect: a pilot study”del 2017 riporta una ricerca di un paio di anni prima in cui i ricercatori Hanss, Mentzoni, Griffiths e Pallesen (2015) hanno intervistato oltre 6.000 norvegesi in uno dei più grandi studi in assoluto per valutare l'impatto della pubblicità sul gioco d'azzardo. Hanno rilevato che i giocatori problematici erano più propensi, rispetto agli scommettitori ricreativi, a pensare che la pubblicità sul gioco aumentasse il loro coinvolgimento e le loro conoscenze sul gioco d'azzardo ed erano anche più consapevoli di aver visto gli spot a riguardo. Inoltre, coloro che ritengono che la pubblicità del gioco d'azzardo online abbia un impatto sul desiderio delle persone di giocare d'azzardo, sostengono positivamente l'applicazione di strategie preventive per combattere il disturbo di dipendenza da gioco, come vietare la pubblicità e promuovere campagne di servizio pubblico, simili a quelle usate per prevenire il fumo di sigaretta (Friend & Ladd, 2009).
Riprendendo l’articolo “Does Gambling Advertising Contribute to Problem Gambling” del 2005 Griffiths afferma che: “secondo il modello effetto della terza persona le persone tendono a percepire che i messaggi di massa hanno un effetto maggiore sugli altri rispetto a se stessi, sulla base di distorsioni personali. L'effetto terza persona si manifesta attraverso la sovrastima dell'effetto di un messaggio di massa “sulle altre persone” o di una sottostima dell'effetto su di sé.”
In sintesi, ognuno di noi crede che i messaggi rivolti “alle masse” come i messaggi pubblicitari o quelli politici abbiano un effetto maggiore sugli altri rispetto a noi stessi. Riteniamo così che gli altri siano più influenzabili di noi e ci riteniamo più “invulnerabili” alla persuasione esercitata da alcuni tipi di messaggi.
Griffiths nel suo articolo continua “per valutare se l’effetto terza persona fosse implicato nei processi di elaborazione dei messaggi sul gioco d’azzardo, i ricercatori (Youn, Faber, & Shah, 2000)hanno effettuato un sondaggio su 194 adulti in una città del sud-ovest degli Stati Uniti, dove il gioco d'azzardo è legale. È emerso che le persone effettivamente pensavano che la pubblicità avesse avuto un impatto maggiore sugli altri rispetto a loro stessi. Nello stesso anno, Amey (2001)ha realizzato un’indagine in Nuova Zelanda intervistando 1500 persone e ha scoperto che l’89% del campione ricordava di aver visto o sentito qualche forma di pubblicità riguardante al gioco d’azzardo nei 12 mesi precedenti il sondaggio. Di quelli che avevano visto la pubblicità, la maggior parte ricordava annunci pubblicitari sui giochi della lotteria e il numero di persone che ricordavano la pubblicità era praticamente identico al numero di persone che aveva giocato (84%). Inoltre, più le persone erano giovani, più era probabile che ricordassero qualche forma di pubblicità sul gioco d'azzardo (93% sotto 25 anni; 76% oltre i 65 anni), i disoccupati e i pensionati tendenzialmente erano meno inclini a ricordare le pubblicità (77%) rispetto a coloro che erano studenti o impiegati (92%). In questo studio è stata trovata anche un'associazione tra giocare d'azzardo e pubblicità. Coloro che avevano giocato poco o non avevano giocato affatto tendevano a non ricordare di aver visto pubblicità sul gioco d’azzardo, mentre chi aveva giocato quattro o più volte era più incline a ricordarsene.”
Nell’articolo “Online Gambling Advertising and the Third Person Effect: A Pilot Study” (Guerrero-Solé, Lopez-Gonzalez, & Griffiths, 2017)che riporta uno studio che si è occupato nello specifico del fenomeno, si afferma che, nonostante il fatto che la pubblicità del gioco d'azzardo online abbia un impatto minore sul disturbo del gioco d'azzardo rispetto ad altri fattori (Binde, 2007), può essere vista come un fattore scatenante del gioco d'azzardo e ha un effetto negativo su coloro che tentano di smettere di giocare (Binde, 2009).
In uno studio del 2001 Griffiths e Wood raccomandano una regolamentazione del gioco d’azzardo tramite il divieto di pubblicità, diminuendo il numero di punti vendita e posizionando le strutture dove è possibile giocare lontano dai membri della popolazione più vulnerabili (ad es. scuole e università). Queste linee guida sono molto simili a quelle proposte dalla National Gambling Impact Study Commission (1999) che sostiene che le agenzie di regolamentazione del gioco d'azzardo dovrebbero vietare le pubblicità aggressive, in particolare quelle rivolte alle persone nei quartieri poveri o ai giovani e limitare la pubblicità e il numero di punti di vendita nelle zone dove vive la popolazione a basso reddito.
In “A content analysis of how ‘normal’ sports betting behaviour is represented in gambling advertising” del 2018 viene scritto: “le prime teorizzazioni riguardanti l'eventuale influenza negativa della pubblicità sul gioco d'azzardo sui giocatori problematici (ad esempio Griffiths, 2005), hanno trovato conferma empirica più recente in un grande campione nazionale di oltre 6000 giocatori d'azzardo (Hanss et al. 2015). L'effetto cumulativo a medio-lungo termine di un tale volume di pubblicità di scommesse sportive è probabilmente la sua capacità di normalizzare il comportamento delle scommesse (Woolley 2003; Lamont et al., 2011; Reith e Dobbie 2011; Deans et al. 2016).”
In sintesi gli autori citati affermano che esiste una correlazione chiara tra pubblicità e gioco d’azzardo, ma che non esistono ancora dati sufficienti per stabilire quanto importante e dannosa sia questa correlazione.
Quindi la questione non è se la pubblicità sul gioco abbia o meno un impatto, ma quanto pericoloso sia questo impatto perchè, come abbiamo visto nelle diverse ricerche emerge che agisce da trigger per i giocatori problematici, influisce sulla percezione dei giovani e delle persone più vulnerabili ed è negativa per le persone che tentano di smettere di giocare.
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