Welfare

Educatori: quella legge che sembra fatta apposta per complicare la vita

Le modifiche apportate in legge di bilancio alla proposta di legge Iori hanno creato la paradossale situazione per cui qualche migliaio di educatori oggi è “fuorilegge” nei servizi socio-sanitari in cui da anni lavora. Una riflessione e alcune possibili soluzioni

di Marco Bollani

Che cosa può spingere il Parlamento a scrivere una legge che con l’intento di meglio disciplinare la professione dell’educatore professionale, finisce per dividerlo in due profili diversi, uno sanitario e uno sociale, generando un equivoco sulla legittimità d’impiego di qualche migliaio di lavoratori che oggi lavorano regolarmente con il titolo di educatore all’interno di quei servizi che la legge prevede e disciplina come socio-sanitari?

Una svista dei legislatori? Un po’ di superficialità rispetto al tema di merito, di che cosa significhi oggi fare il lavoro dell’educatore? La difficoltà del nostro sistema di welfare a declinare compiutamente in termini concettuali operativi e organizzativi cosa significhi socio-sanitario ? Oppure semplici interessi di parte come un po’ di attività di lobbyng da parte di qualche istituto di formazione che ha interesse a tener separati i percorsi formativi e quindi a sdoppiare il ruolo e la figura professionale dell’educatore? O magari anche l’interesse legittimo della categoria degli educatori a migliorare la loro qualificazione attraverso l’accesso a un ordine professionale ritenuto essenziale per l’affermazione definitiva della professione di educatore?

Tenderei ad escludere ragioni di “emergenza contingente”. Come ad esempio il “rischio imminente” di danni o pregiudizi all’incolumità delle persone assistite nei servizi socio-sanitari da parte di educatori che hanno conseguito il titolo di educatore professionale in una facoltà di studi o in un percorso di studio socio-pedagogico piuttosto che sanitario…

Essendo un operatore che lavora da oltre 20 anni nel sistema di welfare e nel comparto socio-sanitario e in particolare a sostegno delle persone con disabilità, penso che solo agendo tutte insieme queste spinte tendenzialmente legittime e più o meno opportune ma totalmente prive di un coordinamento sensato, si poteva arrivare oggi ad un pasticcio come quello determinatosi con l’entrata in vigore della Legge 205/2017 (legge di bilancio) che ha accolto, come emendamenti, alcune parti del DL 2443 (conosciuto come proposta Iori) modificandone però un punto importante.

Nel DL 24423 infatti gli educatori socio-pedagocici potevano operare anche in ambito socio-sanitario limitatamente agli aspetti socio-educativi; mentre nel comma 594 dell’art. 1 della legge 205/2017 le parole socio-sanitario sono sostituite da socio-assistenziale, limitatamente agli aspetti socio-educativi” 1. Ciò significa che qualche migliaio di persone che fino ad oggi hanno operato legittimamente all’interno di servizi socio-sanitari, non sono più idonei a ricoprire tale ruolo. A svolgere quindi il lavoro che stanno facendo. Tacciabili addirittura di esercizio abusivo della professione. Possibile?

Ipotesi di soluzione a breve e medio termine
Quali possono essere le ipotesi di soluzione di questo pasticcio, a breve e medio termine? Nell’immediato: si specifichi come ha già fatto Regione Lombardia con la DGR 3612 del 2015 che entrambe le figure (educatore sociale ed educatore sanitario) possono lavorare nei servizi socio-sanitari. Questo passaggio richiede una modifica normativa del comma 594, che appare davvero molto difficile. Un’altra possibilità è chiedere a Regione Lombardia di considerare possibili nei servizi accreditati socio-sanitari la presenza delle due figure – cioè estendere l’applicazione della DGR 3612 – “limitando” l’educatore socio-pedagogico agli aspetti socio-educativi (e io mi domando ma a quali altri aspetti un educatore – sia sanitario che pedagogico – dovrebbe guardare?) A breve, se necessario si promuovano dei percorsi regionali ad hoc per aggiornare ed equiparare i due profili.

A medio termine: si individui un solo percorso formativo e di qualificazione professionale dell’educatore che possa lavorare sia in ambito sociale sia in ambito sanitario e, a questo punto credo occorra specificarlo, anche in ambito socio-sanitario. Poiché la funzione dell’educatore è quella di accompagnare la persona in un percorso di crescita e di progressiva autonomia, a prescindere dalle cause che ne impediscono o condizionano il pieno ed armonico sviluppo, l’educatore dovrà essere qualificato sia per lavorare con un soggetto con autismo sia con un bambino abbandonato da un genitore sia con una persona affetta da dipendenze o che ha subito un trauma spinale dopo un incidente, ecc. ecc. ecc. L’educatore dovrà studiare elementi di anatomia e di neurologia, di psichiatria e di psicologia, di igiene mentale e sociologia, di pedagogia e di diritto, di filosofia e di organizzazione di sistemi complessi, ecc. ecc. ecc.

Questioni aperte o da aprire
Perché non può essere così? Cosa ci impone di dividere ciò che è stato concepito (la figura dell’educatore) per integrare in un unico agire finalizzato tutti gli elementi utili a sostenere un percorso salutare di crescita della persona intendendo la salute non come un’assenza di malattia ma, in base al dettato dell’OMS, una condizione di benessere bio-psico-sociale? Possiamo educare senza avere come riferimento la persona e il contesto in cui vive? Possiamo vedere l’utente o il paziente del servizio o della prestazione senza considerare la persona e la sua relazione nell’ambiente in cui vive?

Se persino il medico oggi non può fare a meno di curare e far guarire prendendo in considerazione ecologicamente anche gli elementi essenziali di tutte le variabili che condizionano la salute (l’ambiente, le relazioni, ecc), perché vogliamo separare l’educatore in due diverse professioni una sanitaria e una sociale invece di amplificare, enfatizzare, rinvigorire gli elementi di interdipendenza tra fattori biologici, psicologici e sociali nel determinare le condizioni di salute intesa come benessere ? Nel lavoro di sostegno al benessere delle persone esistono forse pratiche e discipline che possano vantare un diritto di veto o di supremazia rispetto alle altre? Possiamo dire che la medicina deve legittimamente rivendicare e ottenere la supremazia sulla psicologia e sull’educazione? Oppure possiamo convenire che dall’integrazione progressiva tra le varie discipline possiamo trarre progressivi miglioramenti per sostenere i percorsi di crescita e di consapevolezza delle persone più fragili e più esposte al rischio di vulnerabilità sociale e sanitaria?

Oppure, più semplicemente, ancora non riusciamo a vedere, considerare ed apprezzare (nel senso di dare un valore) cos’è e cosa vuol dire integrazione socio-sanitaria? Per chi fa l’educatore vuol dire non spezzettare la persona in tante discipline iperspecialistiche che nello specializzarsi sempre di più finiscono per perdere di vista l’unitarietà della persona e del suo benessere. Qualcosa che nella medicina prende il nome di iatrogenesi (fenomeno che considera i danni alla salute determinati dall’eccesso di medicalizzazione) clinica e medica e che in questo caso nell’organizzazione delle politiche di welfare può assumere la forma di una iatrogenesi sociale. Con un risvolto molto chiaro: eliminiamo l’integrazione socio-sanitaria; non mischiamo la sanità e il sociale; lasciamo perdere il benessere della persona e teniamoci stretto il paziente con la sua malattia.

Inciampi ed equivoci
Su questo equivoco era già inciampato il TAR di Milano che aveva accolto un ricorso di un’associazione del milanese che aveva impugnato un appalto di un Consorzio di Comuni perché a loro dire nel C.D.D. – servizio diurno socio-sanitario per la disabilità grave e gravissima – ci volevano gli educatori “sanitari” . Il Consiglio di Stato, con una sentenza esemplare, aveva dato torto al TAR Milano e Regione Lombardia aveva emanato la DGR 3612 per precisare e ribadire che nei suddetti servizi possono lavorare entrambe le figure educative.

Ora su quell’equivoco inciampa una legge dello Stato ed a mio parere l’equivoco nasce dal fatto che proprio l’integrazione socio-sanitaria oggi non è ancora stata compresa non solo da chi imposta le politiche di welfare ma anche da chi istituisce e organizza i corsi universitari che preparano gli educatori. E secondo me il problema nasce dal fatto che abbiamo sbagliato a portare la formazione degli educatori dentro le Università.

Perché a veder succedere questo pasticcio può sembrare che le Università oggi, invece di esaltare la multidisciplinarità e l’interdipendenza delle competenze che caratterizzano la figura dell’educatore, ad esempio attraverso un percorso formativo “interfacoltà”, abbiano pensato “bene” di pretendere ciascuna l’esclusiva sulla sua formazione, “dividendosene” in un certo senso il profilo: l’educatore sanitario di qua e l’educatore sociale di là. Di solito nei fenomeni di malasanità ci rimette il paziente. Qui, su questo equivoco normativo, ci rimettono l’educatore, le persone in carico, le nostre organizzazioni e le istituzioni: tutti. Ci guadagnano (forse) le Università e la difesa della specificità di ciascun sapere. In spregio alle evidenze anche scientifiche, verrebbe da dire.

Educatori di tutto il mondo unitevi e non lasciatevi dividere tra educatori sociali ed educatori sanitari, pena la fine della vostra giovane ma preziosissima identità e specificità professionale. Questa la possibile s-volta per non correre il rischio dell’estinzione… Occhio alla s-volta… C’era una volta una figura professionale che seguendo le orme di Giovanni Bosco, Lorenzo Milani, Maria Montessori, Carlo Gnocchi, Loris Malaguzzi…

*Marco Bollani è Consigliere Regionale Federsolidarietà Lombardia e Tecnico Fiduciario Anffas Lombardia
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1 Ex DL 2443 (Iori) “Disciplina delle professioni di educatore professionale socio-pedagogico, educatore professionale socio-sanitario e pedagogista” – Art. 3. (Ambiti dell'attività professionale). 1. L'educatore professionale socio-pedagogico e il pedagogista operano nei servizi e nei presìdi socio-educativi e socio-assistenziali, nonché nei servizi e nei presìdi socio-sanitari limitatamente agli aspetti socio-educativi.

Legge 2015/2017, art. 1 comma 594. Le figure professionali indicate al primo periodo (l'educatore professionale socio-pedagogico e il pedagogista) operano nei servizi e nei presidi socio-educativi e socio-assistenziali, nei confronti di persone di ogni età, prioritariamente nei seguenti ambiti: educativo e formativo; scolastico; socio-assistenziale, limitatamente agli aspetti socio-educativi; della genitorialità e della famiglia; culturale; giudiziario; ambientale; sportivo e motorio; dell'integrazione e della cooperazione internazionale. Ai sensi della legge 14 gennaio 2013, n. 4, le professioni di educatore professionale socio-pedagogico e di pedagogista sono comprese nell'ambito delle professioni non organizzate in ordini o collegi.

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