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Impresa Sociale: le novità introdotte dal decreto correttivo

Il professore dell’Università degli Studi del Molise Antonio Fici passa in rassegna le novità introdotte dal correttivo seguendo l’ordine degli articoli del d.lgs. 112/2017 da quest’ultimo interessati. «Giova innanzitutto premettere che questo correttivo non ha prodotto modificazioni profonde della disciplina dell’impresa sociale così come emersa in sede di generale riforma del terzo settore»

di Antonio Fici

Nella riunione del 17 luglio 2018, il Consiglio dei Ministri ha definitivamente approvato un decreto legislativo (c.d. “correttivo”) recante disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 112/2017 sull’impresa sociale. Tali modifiche al d.lgs. 112/2017 sono destinate ad entrare in vigore il giorno successivo alla pubblicazione del correttivo in Gazzetta Ufficiale.

Giova innanzitutto premettere che questo correttivo non ha prodotto modificazioni profonde della disciplina dell’impresa sociale così come emersa in sede di generale riforma del terzo settore. D’altronde, non sarebbe stato questo il suo compito, poiché, ai sensi della legge delega 106/2016, esso doveva limitarsi a tenere conto “delle evidenze attuative nel frattempo emerse”. È altresì importante sottolineare come il testo definitivamente approvato dall’attuale esecutivo sostanzialmente ricalchi lo schema di correttivo precedentemente approvato, in data 21 marzo 2018, dal Governo Gentiloni.

Passiamo in rassegna le novità introdotte dal correttivo seguendo l’ordine degli articoli del d.lgs. 112/2017 da quest’ultimo interessati.

  1. Innanzitutto, all’articolo 2, comma 5, sono aggiunte – dopo le parole “per più di un terzo” – le seguenti parole: “e per più di ventiquattro mesi dall’assunzione”. Tale modifica interessa le imprese sociali di inserimento lavorativo ed in particolare la categoria dei lavoratori “molto svantaggiati”. Si pone infatti il limite temporale di 24 mesi dalla data di assunzione, varcato il quale un lavoratore “molto svantaggiato” non potrà più considerarsi tale e non potrà più, conseguentemente, essere computato nel 30%. Perciò, ad esempio, un’impresa sociale che assuma un lavoratore privo da almeno 24 mesi di un impiego regolarmente retribuito e lo computi nel 30% quale lavoratore “molto svantaggiato”, non potrà più farlo decorsi 24 mesi dalla sua assunzione, poiché tale lavoratore, proprio in ragione del rapporto di lavoro protrattosi per 24 mesi con l’impresa sociale, avrà in quel momento perduto la sua natura di lavoratore “molto svantaggiato”. Ciò obbligherà pertanto l’impresa sociale ad adottare le misure necessarie a ristabilire la percentuale minima del 30% (essa potrà, ad esempio, assumere altri lavoratori “molto svantaggiati” o persone svantaggiate o con disabilità).
  2. All’articolo 3, il correttivo inserisce, dopo il comma 2, un comma 2-bis del seguente tenore: “Ai fini di cui ai commi 1 e 2, non si considera distribuzione, neanche indiretta, di utili ed avanzi di gestione la ripartizione ai soci di ristorni correlati ad attività di interesse generale di cui all’articolo 2, effettuata ai sensi dell’articolo 2545-sexies del codice civile e nel rispetto di condizioni e limiti stabiliti dalla legge o dallo statuto, da imprese sociali costituite in forma di società cooperativa, a condizione che lo statuto o l’atto costitutivo indichi i criteri di ripartizione dei ristorni ai soci proporzionalmente alla quantità e alla qualità degli scambi mutualistici e che si registri un avanzo della gestione mutualistica”. Questa modifica legittima la ripartizione di ristorni nelle imprese sociali che hanno forma giuridica di cooperativa, non dovendosi tale ripartizione considerare distribuzione di utili vietata ai sensi dei commi 1 e 2 dell’articolo 3. Del resto, i ristorni sono qualcosa di giuridicamente diverso dai dividendi. Mentre i dividendi sono somme assegnate ai soci a titolo di remunerazione del capitale conferito in società (di persone o di capitali), i ristorni sono somme assegnate ai soci cooperatori a titolo di remunerazione ex post del loro apporto mutualistico (di lavoro, beni o servizi) alla società cooperativa. Sono ad esempio quelle remunerazioni integrative deliberate in favore del socio lavoratore per il lavoro da costui prestato in cooperativa. La ripartizione di ristorni ai soci cooperatori di cooperative imprese sociali non sarà pertanto nemmeno sottoposta ai limiti di cui all’art. 3, comma 3, lett. a), che riguardano la (diversa fattispecie della) distribuzione di dividendi.
  3. Il correttivo introduce poi all’articolo 12, comma 1, prima delle parole “La trasformazione,” le seguenti parole: “Salvo quanto specificamente previsto dal codice civile per le società cooperative,”. Si è voluto in tal modo chiarire che alle imprese sociali costituite in forma di cooperativa le disposizioni di cui all’art. 12, comma 1, non si applicano con prevalenza su quelle, contenute nel codice civile, che regolano la trasformazione, fusione o scissione delle società cooperative. In tal senso, il correttivo ha allineato il comma 1 dell’art. 12 a quanto già previsto dal comma 5 del medesimo articolo, il quale fa salvo il regime cooperativistico di devoluzione del patrimonio nel caso di scioglimento volontario di una cooperativa impresa sociale o di abbandono volontario da parte di quest’ultima della qualifica di impresa sociale.
  4. Il legislatore del correttivo ha introdotto all’articolo 13 un comma 2-bis del seguente tenore: “Le prestazioni di attività di volontariato possono essere utilizzate in misura complementare e non sostitutiva rispetto ai parametri di impiego di operatori professionali previsti dalle disposizioni vigenti. Esse non concorrono alla determinazione dei costi di servizio, fatta eccezione per gli oneri connessi all’applicazione del comma 2”. Si tratta di una disposizione ripresa alla lettera dall’articolo 2, comma 5, della legge 381/1991 sulle cooperative sociali. Le imprese sociali possono infatti, come gli altri enti del terzo settore, avvalersi di volontari. Possono farlo, però, a condizione che il numero dei volontari impiegati nell’attività (volontari di cui l’impresa sociale deve tenere un apposito registro) non risulti superiore al numero dei lavoratori. Il correttivo sembra voler introdurre limiti più stringenti all’impiego di volontari nelle imprese sociali, prevedendo che la loro azione debba essere aggiuntiva e non già sostitutiva di quella dei lavoratori impiegati. Tuttavia, facendo rinvio “alle disposizioni vigenti” in materia, non sembra avere di per sé portata innovativa, perché i parametri di impiego di lavoratori professionali dovranno pur sempre essere dettati da disposizioni normative per potersi applicare alle imprese sociali.
  5. Di grande interesse pratico per le imprese sociali già costituite sulla base della previgente normativa sono le modifiche apportate all’articolo 17, comma 3. La prima riguarda il termine finale entro il quale le imprese sociali già costituite prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 112/2017 (cioè entro il 19 luglio 2017) sono tenute ad adeguarsi alle sue disposizioni. Questo termine non è più di 12 mesi, bensì di 18 mesi. Scadrà quindi nel gennaio del prossimo anno. La seconda riguarda le modalità con cui le imprese sociali costituite prima del 20 luglio 2017, dunque sulla base della precedente normativa (l’abrogato d.lgs. 115/2006), potranno adeguarsi alla nuova normativa. Ad esse è concessa la possibilità di modificare i propri statuti con le modalità e le maggioranze previste per le deliberazioni dell’assemblea ordinaria (piuttosto che dell’assemblea straordinaria), ma solo nel caso in cui – come adesso si stabilisce nel correttivo – gli statuti debbano essere adeguati “alle nuove disposizioni inderogabili” o in essi si vogliano introdurre clausole “che escludono l’applicazione di nuove disposizioni, derogabili mediante specifica clausola statutaria”. In buona sostanza, modalità e maggioranze previste per l’assemblea ordinaria saranno sufficienti allorché, ad esempio, l’impresa sociale debba adeguare il proprio statuto alle disposizioni obbligatorie sul coinvolgimento dei lavoratori (art. 11) o intenda derogare ad una disposizione di legge derogabile mediante disposizione statutaria (invero, stante il carattere eminentemente qualificatorio del d.lgs. 112/2017, norme simili scarseggiano). Al contrario, occorrerebbero modalità e maggioranze dell’assemblea straordinaria per esercitare, ad esempio, la facoltà statutaria di riservare a soggetti esterni la nomina di alcuni componenti degli organi sociali (art. 7 comma 1).
  6. Le modifiche più importanti sono forse quelle relative al regime tributario dell’impresa sociale, concernenti dunque l’articolo 18; ciò anche perché è dalle misure fiscali (se e quando saranno autorizzate dalla Commissione europea, cui dovranno adesso essere notificate in questa nuova versione) che da sempre si attende il “decollo” di questa particolare figura imprenditoriale del terzo settore. Tra tutte devono in particolare segnalarsi quelle che hanno interessato i commi 3, 4 e 5 dell’articolo 18. L’agevolazione sugli investimenti nel capitale sociale di società imprese sociali, consistente nella detrazione o deduzione di un importo pari al 30% della somma investita (entro tetti massimi), si applica adesso a condizione che l’investimento sia mantenuto per almeno 5 anni e sia effettuato nel capitale di una società che, a prescindere da quando sia stata costituita, abbia acquisito la qualifica di impresa sociale da non più di 5 anni. La misura premia dunque gli investimenti in “nuove” imprese sociali anche se risultanti da “conversione” di soggetti già esistenti (anche da lungo tempo). Il vantaggio è evidente: s.p.a. o s.r.l. o cooperative già costituite che intendessero assumere la “veste” di impresa sociale potrebbero farlo ulteriormente motivate dalla possibilità di essere (ri)capitalizzate grazie ai benefici (per i soci) concessi dall’articolo 18. Con riguardo alle cooperative sociali (e ai loro consorzi), deve sottolinearsi che tale beneficio sarebbe in ogni caso limitato ai cinque anni dalla loro costituzione, poiché esse sono imprese sociali “di diritto”. Ovviamente, per tutte le cooperative sociali già costituite prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 112/2017, questi cinque anni decorrono dal 20 luglio 2017. Da osservare, infine, che analoga misura è prevista in favore degli atti di dotazione e contributi di qualsiasi altra natura in favore di fondazioni che abbiano acquisito la qualifica di impresa sociale da non più di 5 anni. Per effetto del correttivo, non importa più, dunque, quando la fondazione sia stata costituita, ma solo che essa sia una “nuova” impresa sociale. Tale modifica è di particolare interesse per fondazioni del terzo settore che intendano “trasformarsi” in imprese sociali, (ri)patrimonializzandosi allo stesso tempo.

*Antonio Fici è professore nell’Università degli Studi del Molise (già consulente del Ministero del lavoro per la riforma del terzo settore e curatore del volume “La riforma del terzo settore e dell’impresa sociale. Una introduzione”, pubblicato dalla Editoriale Scientifica nel gennaio del 2018)

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