Salute

Cannabis light, giusto lo stop

Per Riccardo Gatti esperto dell’area dipendenze dell’Asst Santi Paolo e Carlo di Milano è corretto regolamentarne con attenzione l’utilizzo e studiare gli effetti dei principi attivi presenti anche in quella cosiddetta legale. «Oggi “cannabis” è diventato un brand per qualsiasi cosa ed è un modo per allargare il mercato dei consumatori»

di Antonietta Nembri

Arriva dal Consiglio superiore di Sanità il consiglio allo stop alla vendita della cosiddetta cannabis light. A guidare il Css nell’esprimere il suo parere – richiesto lo scorso febbraio dal segretario generale del ministero della salute – il principio di precauzione. Non si conoscono, secondo il Css, gli effetti del Thc (delta-9-tetraidrocannabinolo) anche a bassa concentrazione (per legge sono di 0,2%-0,6%, le percentuali consentite) su soggetti come anziani, madri in allattamento o persone con patologie particolari. Nel frattempo sono centinaia i punti vendita fisici e online spuntati un po’ in tutta Italia. Anche le coltivazioni, come rivela Coldiretti nel giro di cinque anni sono decuplicate passando dai 400 ettari del 2013 ai 4mila stimati coltivati a cannabis sativa nel 2018.
«Penso che sia corretto regolamentare attentamente perché al di là del Thc che può accumularsi nel corpo, c’è anche un altro principio attivo il cannabidiolo» spiega Riccardo Gatti, direttore Dipartimento Interaziendale Prestazioni erogate nell’Area Dipendenze, dell’Asst Santi Paolo e Carlo di Milano. Gatti ricorda che per quanto riguarda la cannabis light che viene venduta online, chi la vende dice che non è per uso umano «contemporaneamente ne decanta gli effetti rilassanti, il fatto che aiuti a dormire, che sia contro l’ansia, e addirittura contro l’epilessia. A questo punto o è una specie di super camomilla e allora lo si dica e si dia via libera alla vendita, se invece si tratta di una sostanza che ha effetti psichici sia regolata e venduta in farmacia, parafarmacia o al limite in erboristerie. Se invece non fa nulla è una truffa».

Ma il ragionamento di Gatti va più a fondo toccando due nervi scoperti: da un lato il diritto dei cittadini ad essere tutelati, dall’altro il sospetto che con la cannabis light si punti ad ampliare il mercato dei consumatori della cannabis tout-court. «È un prodotto alimentare? Sì o no? A un certo punto si è iniziato a venderlo negli shop, ma non dimentichiamoci che è comunque dannoso perché è mischiato con il tabacco che non è una sostanza salutare. A me viene il sospetto che oggi “cannabis” è diventato un brand per qualsiasi cosa. Un brand molto forte: fa bene! E c’è chi pensa di fare ora con la cannabis light i profitti che nel secolo scorso si sono fatti con il tabacco».

Per Gatti inoltre è fondamentale che politicamente si faccia una scelta. «In questo caso non si tratta di legalizzare o no le droghe leggere che è un'altra questione politica» constata «questo è un fenomeno più piccolo stiamo parlando di un prodotto che mi viene da paragonare agli “scioglipancia” che giravano in televisione decenni fa. Solo effetti positivi e chi guardava la tv allora e chi legge in Internet oggi rimane vittima della stessa rappresentazione. È marketing».
Con il rischio di arrivare al paradosso già vissuto con il gioco d’azzardo: «il ricatto è lo stesso se si vieta la cannabis light si perderanno i posti di lavoro di chi oggi lavora nel settore che ha vissuto un boom negli ultimi anni».

In apertura photo by Thought Catalog on Unsplash

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