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Libia: le Ong e gli “scafisti” scelti tra i migranti

Organizzato a Catania dall’associazione di magistrati Area democratica per la Giustizia, il seminario “Le nuove frontiere dell’immigrazione” ha esplorato diversi temi dalla situazione disumana dei centri di detenzione in Libia, alla necessità di creazione di corridoi umanitari, fino al fenomeno degli scafisti scelti tra i migranti, mostrando la complessità di un fenomeno complessissimo

di Alessandro Puglia

Dai campi di detenzione in Libia dove i migranti vengono abusati e torturati prima di affrontare la traversata nel Mar Mediterraneo, agli “scafisti” scelti tra gli stessi migranti fino alla mancanza di cooperazione internazionale nella lotta al traffico di esseri umani. Il seminario “Le nuove frontiere dell’immigrazione” organizzato dall’associazione di magistrati Area democratica per la Giustizia che si è svolto a Catania ha lasciato diversi spunti di riflessione che vanno al di là dello sterile e schizofrenico dibattito politico che sta avanzando in questi giorni dopo la vicenda della nave Aquarius della Ong Sos Méditerranée.

Un dibattitto che per brevi tratti si è ripresentato nella cornice del palazzo della cultura di Catania con l’ex ministro dell’Interno del Governo Gentiloni, Marco Minniti, che ha difeso il suo operato in Libia, contrapposto a Vito Crimi (M5S), presidente della Commissione speciale del Senato e al sottosegretario dell’Interno, Stefano Candiani (Lega), questi ultimi entrambi d’accordo sul fatto «che la pacchia è finita» e che «è giunta l’ora di cambiare passo».

É chiaro che un dibattito su un fenomeno, più che un problema, come quello dell’immigrazione di massa, non si può basare sull’utilizzo esclusivo di una determinata terminologia “pacchia”, “crociera”, accompagnata da slogan politici e dalla velocità dei tweet a cui vengono spesso affidate decisioni da cui dipendono vite di migliaia di persone.

Il seminario organizzato da Area democratica per la Giustizia ha fornito invece alcuni elementi che provano a fare luce sulla complessità di un fenomeno, appurando alcune realtà con cui bisogna confrontarsi e che non possono essere sottaciute.

I lager libici

Nonostante tra gli interventi spiccasse il nome di Giuseppe Perrone, ambasciatore italiano in Libia, è stato il consulente della Procura generale della Libia per i rapporti internazionali e rappresentante libico alla Corte Penale Internazionale, Ahmed Gehani, a descrivere ciò in maniera sempre più frequente i migranti raccontano dopo gli sbarchi.

Gehani, seduto accanto a Perrone ha esordito: «L’ambasciatore Perrone mi ha fatto risparmiare molto tempo, anche se ha utilizzato un linguaggio molto diplomatico, io sarò più sincero sul discorso». I due temi sollevati da Gehani riguardano l’elevato tasso di mortalità dei migranti che attraversano il Sahara e il trattamento inumano nei campi di detenzione in Libia, “governativi” o “non”. «Si parla soltanto dei campi di detenzione che si trovano sulla parte occidentale Tripoli, Ziwaya, Zuara e Sabrata e non si menzionano mai quelli nella parte orientale, conosciuta come Cirenaica, dove comanda il generale Haftar», afferma Gihani. I centri di detenzione sono sistematicamente controllati dalle milizie che contribuiscono al commercio di esseri umani. «Un ruolo determinante – aggiunge Gehani – deriva dal fatto che il libico è razzista nei confronti degli altri migranti, specie quelli dell’Africa Subsahariana». In questa direzione si colloca la recente decisione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che ha sanzionato sei individui (quattro libici) che gestiscono il traffico di essere umani in Libia.

Corridoi umanitari

Da tempo invocati da Papa Francesco e ancora timidamente attuati, la proposta della Comunità di Sant’Egidio e della Tavola Valdese viene presentata dal Paolo Morozzo della Rocca, professore di diritto privato all’università di Urbino e responsabile dell’area legale della Comunità di Sant’Egidio: «È tempo di reintrodurre una politica di ingressi legali così forte e numerosa e quindi non simbolica da porsi come misura efficace di contrasto all’immigrazione illegale o irregolare, davvero in grado di contrastare le morti in mare e nel deserto. A livello di Unione Europea occorre stabilire una quota d’ingresso tra motivi umanitari e di lavoro, quindi quote d’ingresso sicure legali per cinquecento mila unità l’anno, questo significherebbe una media di 18,500 persone per ogni paese, certo un po’ troppe per il Lussemburgo, ma mi sembra che l’Italia ne accolga ogni anno molti di più illegalmente attraverso gli sbarchi». L’introduzione di una politica d’ingressi legali fa da contraltare a quella dei rimpatri: «In un paese che ha centinaia di milioni di cittadini nessuno si accorge se arriva un charter con mille persone, se invece in un paese come il Mali arriva un charter con mille rimpatriati scoppia la rivoluzione ed è esattamente quello che successe in Francia quando la Francia decise di rimpatriare i cittadini maliani con la cooperazione al governo maliano, ne seguirono manifestazioni in Mali e in Francia che indussero il governo Maliano a denunciare immediatamente l’accordo di riammissione che aveva stipulato con la Francia», ha concluso della Rocca che nei corridoi umanitari vede una proposta di insieme e di sistema.

Mancanza di cooperazione europea e internazionale

Il rifiuto da parte di Malta di far approdare nei propri porti la nave Aquarius della Ong Méditarranée pone una problematica che non riguarda soltanto la zona SAR (zona di soccorso in mare), ma anche la cooperazione giudiziaria penale. A sollevare la questione è stato il vice presidente di Eurojust, Filippo Spiezia: «Io trascorro molte ore del mio tempo a sollecitare il mio collega maltese per risposte urgenti che impongono una tempestiva risposta. E in parte questo accade anche con Cipro. Conosco anche delle iniziative importanti che ha svolto il nostro ministero della Giustizia con le autorità maltesi, ma dopo le buone intenzioni e affermazioni di principio non seguono mai fatti concreti. Una situazione inaccettabile nel contesto dell’Unione Europea che porta a sacche di impunità assicurate dalla mancanza di giurisdizione e cooperazione penale. Ovviamente le maggiori difficoltà di cooperazione – spiega Spiezia – sono con i paesi terzi, nordafricani, dell’Africa Subsahariana e anche con la Turchia».

Ong e “scafisti” scelti tra i migranti

Non c’è stato soltanto il ruolo delle Ong nell’intervento del Procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro: Le problematiche del contrasto giudiziario al traffico organizzato dei migranti. Il procuratore di Catania ha spiegato come le modalità operative dei trafficanti in Libia siano cambiate negli ultimi anni. Dopo l’utilizzo delle nave madri, le navi dei trafficanti non diventano più mezzi di trasporto, ma di accompagnamento: «Ai migranti nei barconi viene indicata una rotta, per essere poi facilmente avvistati dalle nave dei soccorritori in acque internazionali, mentre le navi dei facilitatori che sono più piccole rispetto alle navi madri, riescono a darsi alla fuga sottraendosi così alle forze di polizia che operano in mare. Per rendere assoluta questa impunità bisognava compiere un piccolo ulteriore passo da parte dei trafficanti: fare in modo che i natanti dei facilitatori non entrassero più nelle acque internazionali, il che comportava ovviamente che le navi dei soccorritori avanzassero il loro fronte d' azione». Si crea quindi una fase successiva, spiega Zuccaro, dove «gli spazi delle acque internazionali lasciati liberi dalle unità navali militari sono occupati dalle navi delle Ong che per intercettare il maggior numero di migranti si sono spinte sino a ridosso del confine tra le acque territoriali libiche e quelle internazionali». Zuccaro spiega quindi che «vi è stato un costante arretramento del raggio di azione dei trafficanti e un correlativo avanzamento delle navi private dei soccorritori». Navi delle Ong che aggiunge il Procuratore di Catania: «non hanno a bordo ufficiali di polizia giudiziaria, non forniscono informazioni, ne effettuano riprese video che documentano le attività dei facilitatori. Gli unici soggetti che oggi giungono in Italia, tra quelli coinvolti nel trasporto sono gli scafisti che però spesso sono scelti tra gli stessi migranti”. A sottolineare l’assenza di agenti di polizia giudiziaria a bordo delle navi delle Ong è stato anche il Procuratore Nazionale Antimafia, Federico Cafiero De Raho: «Sulle navi non governative non vi è più un ufficiale di polizia giudiziaria e le navi non sono più quelle della Guardia Costiera o della Marina Militare, ma appartengono ad altri Stati. Una disciplina su questo è necessaria perché altrimenti andiamo a perdere il momento essenziale di acquisizione di informazioni che è proprio quello in cui vengono recuperati i migranti», ha concluso il Procuratore Nazionale Antimafia.

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