Welfare
Negli hub della cura digitale
Ambienti virtuali, realtà aumentata, robotica e intelligenza artificiale stanno riscrivendo i modelli di intervento socio-sanitari. Il viaggio alla scoperta del futuro dei servizi di caring sul numero di giugno del magazine
Un ambiente virtuale in cui muoversi: la cucina di casa, l’ufficio, la strada percorsa ogni mattina per andare a comprare il giornale. In questa realtà immersiva il paziente fa esercizi per il recupero delle funzionalità perdute, ricevendo continui feedback che gli danno un rinforzo immediato. Poi c’è la realtà aumentata: il medico, facendo il suo mattutino giro tra i pazienti, inforcherà un paio di occhiali speciali e avrà accesso immediato all’intera documentazione del paziente.
E ancora la telemedicina e la teleriabilitazione, che consentiranno a più specialisti e operatori di seguire i pazienti da casa o al livello intermedio, in un ambulatorio. La sanità del futuro è questa, con la robotica, l’intelligenza artificiale, il cloud e le nuove tecnologie che cambieranno la faccia della cura. La rivoluzione coinvolgerà soprattutto la dimensione del post-acuto, su cui il sistema sanitario italiano tradizionalmente ha meno investito: «Sarà l’indirizzo del futuro, oggi solo il 12% dei pazienti dimessi dai reparti acuti viene trasferito in un reparto di riabilitazione, ma la domanda è più alta, attorno al 30- 40%. Inoltre il 70% della popolazione over 75 ha almeno due patologie croniche, è evidente che servono nuovi modelli organizzativi». A parlare così è Sandro Iannaccone, primario di riabilitazione specialistica dei disturbi neurologici, cognitivi e motori dell’Ospedale San Raffaele di Milano, che insieme a una decina di altri Ircss italiani ha in atto una sperimentazione di teleneuroriabilitazione «senza pari in Europa, tutta italiana, ideata con aziende di media dimensione, perché l’Italia è all’avanguardia».
Per Eugenio Guglielmelli, docente di bioingegneria della riabilitazione, valutazione e gestione delle tecnologie biomediche e prorettore all’Università Campus bio-medico di Roma, «la transizione va verso il post acuto e la riabilitazione, come settore che guiderà la crescita della robotica in sanità. Sperimentazioni avviate da anni stanno giungendo a maturazione e la combinazione tra mobile health, robotica e intelligenza artificiale sta per portare a svolte importanti nella teleriabilitazione, nei sistemi bio-cooperativi e nei nuovi ausili che consentiranno una vita indipendente anche a chi ha una patologia invalidante o ha subito una menomazione importante. Il tema oggi è far sì che l’adozione di queste tecnologie sia basata su evidenze di efficacia clinica e di sostenibilità nel rapporto costi/bene ci. L’Italia, con la sua popolazione così longeva, è il laboratorio a cui molti guardano per superare “la valle della morte” che separa i prototipi dal paziente, ma è necessario che gli operatori sanitari collaborino con i tecnologi: tanto più ci crederanno tanto più l’Italia sarà leader».
La cura 4.0
Uno virgola sette contro quarantadue: basta questo per capire come, al netto del gran parlare di Industry 4.0, la rivoluzione che ci attende nei prossimi anni verrà soprattutto dalla robotica sociale. Secondo la International Federation of Robotics (Ifr) entro il 2020 più di 1,7 milioni di nuovi robot industriali entreranno nelle fabbriche di tutto il mondo, ma a fronte di essi saranno acquistati 42 milioni di robot per uso domestico o personale. L’impennata verrà dall’healthcare: esoscheletri, telemedicina, sostituzione di arti e chirurgia roboassistita produrranno secondo uno studio di Accenture un giro d’a ari di 6,6 miliardi di dollari nel 2021. In Europa le principali industrie delle tecnologie medicali si sono riunite nel 2012 in MedTech, che sta lavorando con la Commissione europea a un’iniziativa — Esther (Emerging and Strategic Technologies for HealthCare) — per creare un ecosistema che acceleri la traslazione sul mercato di soluzioni mediche intelligenti e value-based.
La sfida è far sì che l’adozione delle nuove tecnologie sia sostenibile in termini di costi/benefici
In Italia esistono dei cluster tecnologici per promuove l’interazione tra ricerca, industria farmaceutico-biomedicale e istituzioni pubbliche: Cristina De Capitani è cluster manager del cluster lombardo Tecnologie per gli Ambienti di Vita, una fondazione. Per lei l’Italia «ha tanta competenza nella ricerca e nelle aziende, ma in sanità servono reti di vendita ad hoc, quindi le piccole realtà faticano. Molte aziende stanno nascendo e un’opportunità è applicare al sociosanitario modelli presi da altri settori: un cambio di paradigma probabilmente consentirà anche di saltare le difficoltà classiche». Continuità delle cure, monitoraggio attraverso l’ambiente, medicina personalizzata, nuovi materiali, health tourism sono per De Capitani alcuni dei filoni più promettenti, ma poiché la tecnologia più perfetta impatta poco se non è inserita nel sistema sociosanitario, se costa troppo o se è complicata, ecco che «stiamo lavorando con Regione Lombardia per capire come raccogliere dati sui costi dell’impiego indiretti e diretti da abbinare alla validazione clinica del device, per accelerare il processo di tari azione. Dall’altro lato però servono figure professionali a cavallo tra l’infermiere e il fisioterapista, che spieghino le tecnologie a pazienti e caregiver».
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Nella foto di copertina la protesi poliarticolata, di derivazione robotica, messa a punto da Rehab Technologies, il laboratorio nato a fine 2013 dalla collaborazione tra Inail e IIT, presentata nelle scorse settimane. La mano è stata ribattezzata Hannes in omaggio a Hannes Schmidl, già direttore tecnico del Centro Protesi Inail di Vigorso di Budrio che lavorò alla prima protesi mioelettrica Inail-Ceca del 1965. Restituisce alle persone con amputazione dell’arto superiore circa il 90% della funzionalità perduta
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