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La disuguaglianza uccide: perché dovremmo occuparci (e preoccuparci) della transizione biologica

Quando il sociale si incarna nel biologico, le disuguaglianze diventano violenza strutturale e vengono istituzionalizzate. Un tema enorme per il Terzo settore, portato all'attenzione dall'ultimo libro di due scienziati, Carlo Alberto Redi e Manuela Monti

di Marco Dotti

La disuguaglianza uccide. Detto con una certa brutalità: i ricchi non solo vivono meglio, ma vivono di più. Laddove le aspettative di vita, anche in paesi industrialmente avanzati e formalmente impegnati nella battaglia sui "diritti" come gli Stati Uniti, sono sempre più legate a condizioni sociali, economiche, etniche, di appartenenza e istruzione tocchiamo con mano quel fenomeno che un ricercatore agguerrito e attento, David Ansell, ha definito death gap.

Secondo Anselle, i dati statistici sulla mortalità aiutano poco. Le statistiche, infatti, nulla dicono sulle condizioni sociali e di contesto di chi muore, concentrandosi unicamente sui dati clinici e sanitari. In questo modo, tutte le azioni pubbliche di di intervento – quando ci sono – si concentrano pertanto su politiche economiche legate alla sanità, tralasciando il contesto. Mancano quasi sempre l'obiettivo, poiché mancando il contesto difficilmente riusciranno a dotarsi di tutti gli strumenti per una decisione efficace.


Attorno al tema della transizione sociobiologica, là dove il sociale si fa biologico e la vita quotidiana e i suoi contesti arrivano persino a modificare il DNA dei soggetti umani, si concentra un libro davvero importante, scritto da due scienziati dell'Università di Pavia, Carlo Alberto Redi e Manuela MontI: Genomica sociale (Carocci, 2018, pagine 175, euro 15).

La transizione sociobiologica è, oramai, un dato di fatto: le condizioni di natura e di cultura in cui un individuo vive, ricordano gli autori, «si rincorrono influenzandosi reciprocamente in una relazione circolare».

A questo proposito, è doveroso rimarcare come molti fattori di incremento delle disuguaglianze sociali – disuguaglianze di reddito, esposizione a contesti inquinanti, bassa coesione sociale, violenza diffusa – abbiano un impatto diretto su alcuni fattori biologici, provocando un degrado delle difese immunitarie e, in molti casi, invecchiamento o morte precoce. Si può citare, come caso emblematico, l'accorciamento dei telomeri dei cromosomi in seguito a situazioni di stress intenso e ripetuto.

La transizione biologica, ricordano Carlo Alberto Redi e Manuela Monti, venne preconizzata dallo scienziato tedesco Rudolf Virchow nel 1848, nel corso di un'epidemia di tifo. Che cosa accadde durante questa epidemia? Virchow notò che la patologia poteva essere un ottimo strumento per comprendere che cosa legasse l'insorgersi e il diffondersi delle malattie e al contesto socio-economico di questa crescita e di questa diffusione. La terapia migliore, ne concluse Virchow, era data da: educazione, istruzione, benessere economico diffuso, cura delle relazioni sociali, libertà. In risposta alle sue tesi, oggi confermate da numerose evidenze scientifiche (pensiamo al modello del "periodo critico"), Virchow venne isolato dal governo prussiano.

Oggi, rimarcano gli Autori, le conseguenze delle disuguaglianze economiche sulla salute, ovvero il sociale che si incarna nel biologico, sono giunte a un livello non più tollerabile se non a discapito della tenuta complessiva del legame sociale. Un tema enorme per il Terzo settore, chiamato a svolgere un ruolo attivo per deistituzionalizzare le disuguaglianze. Partendo dal ruolo (anche biologicamente) cruciale legame sociale troppo spesso evocato, quasi sempre al solo fine di esorcizzarne la fine.

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