Politica

Dobbiamo liberarci di questa comunicazione politica di cui siamo tutti prigionieri

Per Bruno Mastroianni, docente di Reti e social media e di Comunicazione politica e globalizzazione all’Università Uninettuno, «le relazioni di potere si costruiscono nella mente delle persone, e il luogo dove si costruiscono le percezioni è la comunicazione. Aver ceduto ormai da anni ad affrontare ogni questione come in un conflitto pro/contro sta favorendo chi in quel duello è capace di essere più brutale, diretto, elementare»

di Lorenzo Maria Alvaro

«Il prossimo voto sarà una sfida al calor bianco tra chi vuole riaffermare qui e ora la piena sovranità dell’Italia, anche a costo di saltare per aria, e chi ritiene che questa sovranità la si riconquisti giorno dopo giorno, attraverso la progressiva riduzione della dipendenza dai soldi altrui, anche a costo di sacrifici e scelte dolorose. Tra chi ritiene che l’Euro sia parte del problema, giogo che ci condiziona a essere come gli altri vorrebbero che fossimo, o soluzione, in quanto veicolo di un processo di normalizzazione delle nostre anomalie. Tra chi vuole che l’Italia sia parte degli Stati Uniti d’Europa, prima o poi, e chi ritiene che l’Italia debba essere l’Italia, e basta. Un frame politico che combacia alla perfezione con la narrazione di Matteo Salvini e della Lega, il vero vincitore di questa serata, ben più di Di Maio, tanto da far venire il dubbio che in qualche modo questa crisi sia stata pilotata ad arte per arrivare allo showdown di queste ore». Questo è in qualche modo la fotografia di quello che ci attende nei prossimi mesi di campagna elettorale permanente dipinta dalle parole del direttore de Linkiesta, Francesco Cancellato. L’attenzione cade in particolare sul tema della narrazione politica di Matteo Salvini. È infatti il leader della Lega l’innegabile mattatore della scena politica. È lui a condurre il gioco, ad imporre a tutti l’agenda del giorno e a dettare il leitmotiv di questo tenzone. Per capire che tipo di narrazione sia e come si possa arginare abbiamo chiesto a Bruno Mastroianni, docente di Reti e social media e di Comunicazione politica e globalizzazione all’Università Uninettuno


Prof. Lei ha scritto su Facebook un post in cui spiega come tutti facciamo un grave errore metodologico quando distinguiamo politica e comunicazione politica…
Esattamente. Non capiamo che il modo in cui si crea consenso su precise scelte o azioni non può essere slegato dalle scelte che prendiamo. In altre parole in un dibattito il come si dicono le cose conta tanto quanto quello che viene detto. Lo stile, la modalità, il tono, l’atteggiamento, ogni sfumatura formale conta tanto quanto la sostanza, cioè l’oggetto del discorso.

Perché secondo lei è così centrale questo aspetto?
Sono specializzato proprio su questi temi, per cui ho una certa attenzione professionale che mi porta naturalmente a valutare queste sfumature con attenzione. Quello che sta succedendo in questa situazione è molto simile a quello che accade quando, in un dibattito tra due individui, una dei contendenti viene messo all’angolo dall’altro che usa polemica e slogan. Sarà difficile, anche se armati di buoni argomenti e ragionamenti, riuscire a sfilarsi da quell’angolo. Il perché è semplice: si tratta di un terreno di scontro che è congeniale e premiante per chi è capace di essere più brutale, diretto, elementare. Tipico di chi usa questo tipo di forzatura dialettica è mettere l’avversario di fronte ad un bivio, ad una scelta tra due possibilità. Ma è un bivio fittizio che risponde esclusivamente alla logica imposta dall’avversario. E finché ci si muove all’interno di questa narrazione non c’è possibilità di vincere

Sta dicendo che, parafrasando, non c’è possibilità di battere dialetticamente Salvini?
Non entro nel merito. Mi limito a notare che quelli che oggi sostengono Mattarella con post e hashtag, magari anche cercando di costruire un dibattito articolato e utile, senza rendersene conto alimentano il racconto della parte avversa, alimentano lo scontro e avvantaggiano proprio chi cercano di contrastare.

E come si spiega questo scacco matto?
Si spiega semplicemente con quello che definisco come un “vantaggio comunicativo”. Ad ogni mossa degli avversari, chi ha creato la narrazione potrà limitarsi a usare quella mossa come dimostrazione della sua tesi. Per stare a questi giorni qualunque cosa dicano oggi gli avversari di Salvini e Di Maio saranno tacciati di essere parte di quel sistema che non vuole il cambiamento. Siamo di fronte ad un’opposizione binaria bloccata nella quale c’è e ci può essere un solo vincitore.

Non è qualcosa di un po’ troppo sofisticato da imputare a un politico come Matteo Salvini?
Questo teatro del pro o contro non l’ha inventato né creato Matteo Salvini. Si è creato nei decenni. Nasce con la tv e la personalizzazione politica, con l’esigenza di sconfessare l’avversario. Ci siamo col tempo abituati a prendere posizione pro o contro ancora prima di aver capito il tema di cui si parla. Una reazione che deriva proprio dal tipo di dibattito che si è costruito. Una polarizzazione che è entrata nel nostro modo di percepire la realtà. Oggi Matteo Salvini ne trae vantaggio perché nuota in questo stile comunicativo. Ma domani, se mai Salvini dovesse andare al Governo, qualcun altro userà lo stesso sistema contro di lui.

Come si può interrompere questo circolo vizioso?
Il come è una domanda tipicamente politica. Non bisogna farla a me. Io sono un analista.

Quindi l'unica possibilità è il silenzio?
(Ride) No, quello che posso dire è che accettare di mettersi dalla parte “buona” dell’opposizione binaria in realtà non serve a nulla. Fa il gioco dell’avversario. Io mi limito a fare questa analisi. Posso solo aggiungere che ci vuole un cambiamento di paradigma, una comunicazione che cambi il gioco, scardini la sceneggiatura costruita. Dobbiamo trovare nuove strade per non entrare nel muro contro muro. Qui la sfida è intercettare le percezioni dei cittadini.

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