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Dal genocidio della sinistra colombiana a Gustavo Petro

L’analisi delle elezioni in Colombia dell’esperto di diritti umani in America Latina Cristiano Morsolin che recentemente ha dato alle stampe il libro collettivo “Renovadas formas de hacer oposicion” scritto con la Facoltá di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali della prestigiosa Universitá del Rosario di Bogotá, con il coordinamento del profesore Freddy Cante

di Cristiano Morsolin

Bogotà – La Bbc di Londra sostiene che la società colombiana ha un forte carattere conservatore. A differenza di Messico, Bolivia, Cile e Venezuela, in Colombia i fermenti rivoluzionari della sinistra non hanno trovato molto spazio nella storia. Per il politologo Nicolás Díaz-Cruz, “la Colombia è un Paese che ha molta paura della sinistra. Tutta la campagna elettorale è girata attorno alla paura che produce qualcuno di sinistra, che con il potere potrebbe far diventare il Paese come il Venezuela con l’ideologia ‘castrochavista’. […] Quella paura però è più forte tra l’élite che ha molte ricchezze e non vuole perderle”.

Díaz-Cruz ricorda anche l’uccisione del candidato alla presidenza in Colombia, Luis Carlos Galán nel 1989 (come racconta bene la serie “Narcos” di Netflix), e altri aspiranti alla presidenza come Bernardo Jaramillo (ucciso nel 1990) e Jaime Pardo Lea (assassinato nel 1987). «Qualsiasi posizione di sinistra o liberale è stata annullata in forma violenta da una destra armata, molte volte con la complicità dello Stato – sostiene l’analista alla Bbc -. Hanno ucciso molti leader ed è per questo che si parla di un genocidio politico della sinistra».

Questa è una sintesi del percorso tracciato dal libro collettivo che abbiamo scritto con la Facoltá di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali della prestigiosa Universitá del Rosario di Bogotá, con il coordinamento del profesore Freddy Cante, dal titolo “Renovadas formas de hacer oposicion”.

Questo libro spiega lo storico successo della sinistra che con l’ex guerrigliero e ex sindaco di Bogotá Gustavo Petro (nella foto di copertina), che ottiene 4.851.000 voti, pari al 25%, con il diritto di accedere al ballottaggio finale del secondo turno presidenziale in programma il 17 giugno, contro lo sfidante Ivan Duque, espressione dell’estrema destra del Centro Democratico, che ha ottenuto il 7.569.000 pari al 39% del totale grazie al sostegno dell’ex presidente Alvaro Uribe (2002-2010) che diventerebbe il nuovo Presidente del Senato il prossimo agosto.

La rivalità tra Gustavo Petro e Alvaro Uribe
Tra Petro e ex presidente Uribe vi è una lunga rivalità personale e ideologica; Ivàn Duque, quarantenne avvocato, è il delfino dell’ex presidente; condizione che lo limita molto, fino alla definizione più cattiva di “titère” (burattino) del suo mentore, impedendogli un’agibilità politica al di fuori del mondo “uribista” caratterizzato da una visione fortemente identitaria e neo-isolazionista.

Gustavo Petro, viceversa, ha una storia personale vertiginosa: con un bisnonno paterno italiano e garibaldino, giovanissimo alterna periodi di studi economici e clandestinità nell’M-19 fino al 1985 quando viene arrestato dall’esercito, torturato e internato per due anni; dopo un’amnistia viene eletto senatore e come capo dell’opposizione denuncia le zone grigie della “parapolitica”. ossia le collusioni tra politica, para-militarismo e narcos. Eletto nel 2012 sindaco di Bogotá, contribuisce con il progetto di “Bogotá Humana” a rimodulare la dimensione internazionale della capitale, riproponendola nel ruolo di guida e di avanguardia del Paese sopratutto nell’ottica della lotta contra le diseguaglianze e la segregazione delle periferie, della promozione del lavoro dignitoso anche per 31.000 riciclatori, progetto innovativo sostenuto dal Governo francese e anche con la collaborazione dell’Universitá La Sapienza di Roma.

Contro Petro, Uribe ha scatenato una violenta campagna di paura, identificandolo come “castrochavista” e prospettando una deriva “venezuelana” con la sua elezione. Petro e Uribe si detestano, rappresentano mondi, visioni e dimensioni sociali incompatibili; va ricordato che il Senatore Gustavo Petro nel 2006 lanció nel Senato una grave denuncia di parapolitica affermando che i paramilitari controllavano un terzo di tutto il Parlamento, svelando anche la narco-alleanza di Uribe che durante il mandato di Presidente della Regione di Antiquia aveva legalizzato le cooperative Convivir, gruppi privati di sicurezza che poi si sono alleati con proprietari terrieri e paramilitari per compiere efferati massacri.

Paradossalmente l’altro ieri il Dipartimento di Stato USA ha declassificato vari documenti che confermano questa tesi di Petro, denunciando il legame di Uribe con il narcotraffico (Informes diplomáticos de EE UU asociaron a Uribe con el narco en los noventa. Los documentos, conocidos a dos días de las elecciones, describen supuestos contactos con el cartel de Medellín).

Alexander Gamba Trimiño, direttore del periodico comunitario El Turbiòn, spiega: “Durante gli ultimi sedici anni l’adesione popolare costruita dall’uribismo è stata basata sulla logica assoluta del nemico, molto efficace nella costruzione di una opposizione tra un “noi” e un “loro”. Questo fatto ha costruito una narrazione che spiega le cause di tutti i mali della società colombiana con estrema semplicità: il popolo lavoratore era minacciato da una serie di delinquenti, le FARC, Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane, che non permettevano al paese di vivere in prosperità.

Questo discorso è stato molto efficace, ma oggi, con il processo di pace in cammino e le FARC che partecipano alla vita politica civile con il nuovo partito Forza Rivoluzionaria Alternativa del Comune (ugale l’acronimo, FARC), emergono le sue lacune, ovvero, le questioni sociali. L’uribismo ha riempito il vuoto delle rivendicazioni popolari con l’estremizzazione del discorso sul nemico, dinamica che può essere però possibile solamente in un contesto di guerra.

È riuscito, abilmente, a spiegare tutti i problemi del paese indicando una sola causa: i nemici della patria.

Ma il discorso uribista contiene al tempo stesso un paradosso: sopravvive solamente se i suoi oppositori continuano a situarsi nel solco della logica antagonista dell’amico e del nemico, che è il luogo in cui l’uribismo si sente perfettamente a casa. La sua efficacia si perde, però, quando si entra in una logica di scontro in cui l’altro non è più il nemico ma l’avversario politico. Il nemico puoi ucciderlo e distruggerlo in guerra: l’avversario, anche se portatore di progetti inconciliabili, devi rispettarlo, considerarlo legittimo e non potrai mai disconoscerlo in quanto avversario politico. La crescita di Petro in questa campagna può essere spiegata a partire dalla capacità di mostrare questi contenuti e di contendere questa narrazione, riempendo questo significato vuoto per un settore ampio della popolazione che oggi privilegia le questioni sociali rispetto alla paura.

E’ riuscito a situare all’interno del mondo popolare rivendicazioni chiare, principalmente la lotta alla diseguaglianza sociale, l’agenda ambientale, il settore rurale come motore dell’economia nazionale ed infine la sostituzione della dicotomia tra pace e guerra con quella tra riconciliazione e odio”, conclude Gamba.

Appello dei vescovi suona a vuoto rispetto all’astensionismo del 46%
Un forte invito a votare, in un paese dove l’astensionismo è storicamente superiore al 50 per cento, e a farlo con «coscienza, libertà e responsabilità», nella convinzione che non si andrà a eleggere «un supereroe» è stato rivolto a tutti i colombiani dalla Conferenza episcopale, in un messaggio firmato dal presidente, monsignor Óscar Urbina Ortega, arcivescovo di Villavicencio, dal vicepresidente, monsignor Ricardo Antonio Tobón Restrepo, arcivescovo di Medellín, e dal segretario generale, monsignor Elkin Fernando Álvarez Botero, vescovo ausiliare di Medellín, in vista delle elezioni presidenziali. «Ci rivolgiamo a tutti i fedeli — si legge nel testo — per ricordare che è nostro dovere come cristiani e come cittadini votare in coscienza, liberamente e con responsabilità». Secondo i presuli, votare è importante «perché è un diritto e un dovere morale» che ha ripercussioni forti nella vita del paese. «Il voto — sottolineano — rappresenta l’impegno di ciascuno nella costruzione dei diversi ambiti della vita nazionale. Non votare equivale a negare un servizio allo sviluppo integrale della nostra patria».

L’ appello dei vescovi suona a vuoto rispetto all’astensionismo del 46% a livello nazionale, con il caso ecclatante della regione della Guajira dove astensionismo arriva al 76% proprio nella regione caratterizzata dalla siccitá cronica, da gravi problemi di corruzione e le decine di morte per fame e per sete di bambini minori di 5 anni, in maggioranza di etnia wayu.

Bilancio delle elezioni parlamentarie
Per avere una panoramica globale vale la pena ricordare il bilancio delle scorse elezioni parlamentarie dell’11 marzo scorso.

La sfida per la Camera, 166 seggi, vede il Partito Liberale (nonostante la caduta dai 39 ai 35 seggi attuali), stretto alleato del Presidente Santos che conta nel candidato presidenziale Humberto de la Calle (politico governativo che ha tessuto con esito gli accordi di pace con la Farc), rifarsi sul Centro Democratico (forza di estrema destra coordinata dall’ex presidente Uribe), con 35 seggi contro i 32 degli uribisti, grazie al suo forte radicamento visto che alla Camera il voto è su base regionale e non nazionale come avviene per il Senato, terzo Cambio Radicale con 30 seggi.

Anche se i partiti conservatori hanno ottenuto più seggi, non hanno comunque raccolto voti a sufficienza per formare una maggioranza che invece era stata anticipate come certa.

Centro Democratico – presieduto dall’ex presidente Alvaro Uribe- può contare su 20 seggi al Senato e 32 alla Camera. Sommando i suoi seggi a quelli degli altri grandi partiti di centro-destra e destra si arriva a 50 seggi in Senato, sui 102 disponibili.

Per amministrare il paese il Centro democratica potrà contare sull'appoggio del Cambio radicale, movimento di centrodestra che è arrivato secondo come numero di rappresentanti, 15, rappresentato dal candidato presidenziale Vargas Llera che – attraverso il suo delfino Lara – Presidente uscente della Camera nel gennaio scorso ha bloccato le ultime decisioni parlamentari legate agli accordi di pace con Farc.

Dall’altro lato dello scacchiere politico, il centrosinistra istituzionale, formato dall’Alleanza Verde e Polo Democratico Alternativo, aumenta i propri consensi, soprattutto grazie agli ecologisti che navigano attorno al 9% grazie alla presenza di Antanas Mockus in lista che ottiene 538.000 voti, che ha portato i verdi al 24% a Bogotà e a eleggere 10 senatori; c’e’ anche la new entry della Lista Decentes di Gustavo Petro, che per la prima volta ottiene 6 senatori e due deputati tra cui Maria Jose’ Pizarro, defensora dei diritti umani e figlia del lider guerrigliero Pizarro, assassinato nel 1990 quando stava smobilizzando M19 che poi sarebbe stato riconosciuto alla storica costituente del 1991 come vice presidente della Costituente (sostituito da Navarro Wolf), Aida Avella, sopravissuta al massacro di oltre 3.000 dirigenti politici della sinistra, Union Patriotica dove la Corte Interamericana Diritti Umani CIDH ha condannato lo stato colombiano come responsabile di “genocidio”, Valenciano Valencia, dirigente indio del CRIC-Consejo Regional Indigena del Cauca.

Concludo quest’analisi con le parole di fuoco del candidato Humberto de la Calle (grande sconfitto con solo un modesto 2% dei voti e con German Vargas Lleras, gia Vice Presidente del Governo Santos, espressione del potente partito de la U), artefice degli accordi di pace con la Farc in rappresentanza del Governo Santos) rivolte venerdi scorso nell’ultimo dibattito presidenziale in televisione:

“Attenzione al pericolo del populismo dell’estrema destra che utilizza l’autoritarismo e la dipendenza dell’economia dal petrolio che puo’ portare la Colombia, sulla soglia del precipizio come in Venezuela, non é un fantasma, e’ un pericolo reale. Che Ivan Duque lo dica in faccia ai milioni di vittime del conflitto armato di Boyaya, del Cauca, di Tumaco, ecc, che vuole distruggere gli accordi di pace firmati all’Avana”.

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