Welfare
Il mondo è un gioco: la gamification è la frontiera del rapporto tra aziende e clienti
Sempre più aziende utilizzano le dinamiche ludiche tipiche dei videogiochi per comunicare con i clienti. Fabio Viola: «Due terzi delle aziende italiane hanno in programma investimenti in questo ambito. E il futuro si chiama formazione»
di Redazione
«La gamification è una modalità di design utilizzata per generare coinvolgimento attraverso una meccanica e una componente grafica di origine videoludica». Semplice, no? Sì se sei un guru del settore come Fabio Viola, coordinatore didattico del Master in Engagement & Gamification dello IED di Milano e membro del comitato scientifico del Master in Gamification all’università Tor Vergata di Roma. Un po’ meno se non fai parte della generazione nata e cresciuta ai tempi del Commodore 64, dei cabinati arcade e delle consolle portatili. Perché è da qui che prende le mosse una tendenza che dal 2010 in poi ha fatto breccia tanto nel marketing quanto nel mondo della formazione, del fundraising e dell’impegno sociale.
Riprendendo dinamiche ludiche tipiche dei videogiochi, imprese e istituzioni cercano di guadagnarsi l’attenzione (sempre più scarsa a causa della sovrabbondanza di input) di clienti, dipendenti e simpatizzanti attraverso un meccanismo che prevede delle ricompense basate su un sistema a punti. «Per riuscirci – spiega Viola – bisogna mettere al centro del progetto l’utente e il suo engagement: quello è il punto nodale. A questo si possono poi agganciare i messaggi da trasmettere». Insomma, un approccio che parte dalla forma piuttosto che dal contenuto senza dimenticare l’utente finale: «L’analisi dei pubblici è la prima fase di ogni progetto di gamification. E se all’interno dell’azienda questo processo è facilitato dalla conoscenza individuale degli utilizzatori, nel mercato consumer questa mole di dati non ce l’hai – precisa Viola –. Per questo ci vuole sempre unapproccio interdisciplinare che parta da una buona base di game designing»
Buona parte degli investimenti dei prossimi anni saranno nell’enterprise gamification, in vista dell’entrata nel mondo occupazionale della Generazione Z.
Fabio Viola, coordinatore didattico del Master in Engagement & Gamification dello IED di Milano
Gli esempi non mancano: da Pepsi a Starbucks, passando per Microsoft, Google, Nissan, la metropolitana di Londra e le organizzazioni sanitarie che si occupano della terza età. A fare da minimo comun denominatore una serie di fattori che concorrono a strutturare l’esperienza dell’utente. Innanzitutto, la sfida: lo scopo del gaming e il motivo per cui si continua a giocare e si cerca di superare delle prove. Il tutto in vista di obiettivi di volta in volta sbloccabili a ogni passaggio di livello e per cui ci si attende una ricompensa (benefit virtuali o meno) basata sui punti accumulati. Infine, la classifica che mette in relazione gli utenti fra di loro all’interno di un’ottica competitiva. Dettagli che emergono non appena si scarica sul proprio smartphone l’app Zombies Run. In sostanza si tratta di un software molto simile al più serioso Runtastic ma con una motivazione originale per indossare maglietta, pantaloncini e scarpe da corsa: la fuga dai non morti in un ambiente post-apocalittico (altro che The Walking Dead). Attraverso una serie di missioni, che corrispondono ad altrettante modalità di corsa (che variano in tempo e lunghezza), si possono recuperare oggetti per la nostra base, incontrare amici, ottenere dei bonus. E, ovviamente, far avanzare la narrazione allo snodo successivo. Il tutto mentre l’app traccia le corse con il Gps e pompa musica nelle orecchie da una sorgente a scelta (l’archivio personale o Spotify, per esempio).
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