Mondo
Lesbo, il racconto minuto per minuto dell’aggressione ai profughi afghani
VIta.it ha raggiunto Walesa Porcellato, operatore umanitario sull'isola greca da quasi tre anni che era presente durante le 10 drammatiche ore in cui almeno 200 estremisti di destra hanno attaccato altrettante persone scappate dall'Afghanistan.. Con un sit in di piazza i profughi protestavano contro le condizioni disastrose dell'hotspot di Moria in cui sono trattenuti da mesi
“L’evento peggiore che sia mai accaduto sull’isola di Lesbo da quando c’è l’emergenza profughi”. Basta questo commento del sindaco della capitale Mitilini, Spyros Galinos, per capire come l’aggressione deliberata di almeno 80 simpatizzanti dell’estrema destra (poi diventate 200 nelle ore successive) a 200 persone afghane che, con un presidio pacifico pubblico, stavano chiedendo maggiori diritti nell’hotspot (centro di identificazione) di Moria, sia un punto di non ritorno dell’assurdità delle dinamiche di accoglienza greche ed europee. “Si tratta di migliaia di persone bloccate in questi centri senza sapere che ne sarà della loro vita. Gli arrivi sono continui, i ricollocamenti vengono concessi con il contagocce e quindi il sovraffollamento è alle stelle”, commenta Walesa Porcellato, operatore umanitario italiano che vive da quasi tre anni sull’isola greca che ha dato i natali alla poetessa Saffo e che è considerata L’isola dei Giusti proprio per l’attivismo dei propri abitanti in difesa dei diritti dei profughi, ragione per cui nel 2016 gli stessi abitanti sono stati candidati al Nobel per la Pace. Porcellato è stato presente sul luogo del misfatto – 10 ore di tensione con lanci di oggetti contundenti verso il gruppo di persone afghane nonostante la presenza delle Forze dell’ordine – e racconta nel dettaglio quei momenti drammatici, che hanno causato 23 feriti non gravi ma bisognosi di cure mediche. “E 122 persone portate alla Centrale di Polizia, incredibilmente non chi usava violenza ma gli stessi profughi, che sono stati sgomberati dal luogo in cui stavano manifestando da giorni”.
Partiamo dall’inizio: perché questa protesta dei profughi afghani che dall’hotspot di Moria si sono recati a occupare una piazza di Mytilini?
Mercoledì 18 aprile Alì Khoshe, un ragazzo afghano con problemi cronici al cuore si è aggravato e non aveva le necessarie cure mediche sebbene da tempo le avesse chieste ai responsabili della struttura governativa. Purtroppo nelle ore successive al ricovero in ospedale il giovane ha perso la vita. Già qualche ora prima, quando la sua condizione era grave, un gruppo di 200 persone della sua nazionalità – nell’hotspot sono ora presenti almeno 7mila persone a fronte di una capienza di 2500 e le comunità più grandi sono di siriani, iracheni e afghani – si è incamminato verso Mytilini per una protesta pubblica per avere un miglioramento delle condizioni di vita nel centro. Da quel giorno fino a quello degli scontri, ovvero domenica, io mi sono recato là tutti i giorni, dato che parte del mio lavoro sull’isola è proprio la mediazione comunitaria, e quindi ero lì a garantire i bisogni basici e a mediare con le autorità. I rallentamenti dei trasferimenti sul continente europeo da una parte (mentre continuano gli arrivi, 234 persone in sei imbarcazioni diverse tra la notte di lunedì 23 e la mattina di 24 aprile, ndr), i ricorsi ai respingimenti in Turchia ma anche la paura di essere rimandati fuori dall’Europa a causa dell’accordo della Ue con il Paese turco ha reso drammatica da più di un anno la situazione nell’hotspot: queste persone vogliono essere trasferite quantomeno ad Atene, sulla terraferma, per avere più opportunità che sull’isola non hanno.
E poi si è arrivati a domenica 22 aprile…
Stavo tornando da un pomeriggio di “stacco” al mare quando sono passato dalla piazza e ho capito subito che l’aria era diversa dagli altri momenti. Stava scendendo la sera, attorno al gruppo di profughi c’erano 80 persone, tra cui ho riconosciuto almeno quattro membri isolani del Movimento patriottico di Lesbo, costola isolana del partito xenofobo di Alba dorata, che stavano avendo un battibecco con gli afghani dopo essere venuti via da un monumento lì vicino dove aveva avuto luogo un picchetto pubblico per chiedere la liberazione di due militari greci che sono ora agli arresti in Turchia. Ma il battibecco non era nulla di così grave, tanto che anche gli almeno 150 attivisti per i diritti umani, tra cui diversi di Lesvos Solidarity, accorsi nel frattempo a difendere gli occupanti, non avvertivano eccessiva tensione. Poco dopo, però, la situazione si è scaldata dato che agli estremisti presenti si sono aggiunti dei tifosi che sono usciti da un bar che avevano anche petardi, fumogeni e altro materiale. Due fumogeni sono finiti in mezzo al gruppo di rifugiati, che erano seduti in cerchio, e uno in particolare ha colpito due bambini e una donna che sono stati subito trasportati da un’ambulanza in ospedale per ustioni. Da quel momento però la situazione si è fatta via via sempre più grave, anche perché un altro fumogeno ha fatto prendere fuoco ad alcune coperte.
Le forze dell’ordine?
La Polizia era lì, frapposta fra profughi ed attivisti da una parte e sobillatori dall’altra, ma non faceva niente e i due gruppi erano a poca distanza l’uno dall’altro, meno di cinque metri. A quel punto verso gli afghani è partito un lancio di bottiglie, sassi e cori indecenti come “bruciamoli tutti”. Gli attivisti protestavano con la Polizia perché non faceva nulla, e per tutta risposta ho visto che sono stati allontanati con spruzzi di spray al peperoncino. Molte persone tra i profughi piangevano, bambini, donne ma anche giovani, ma non rispondevano ad alcuna provocazione, sollecitati alla calma dal loro leader che conoscevo già e si è dimostrato una persona dal piglio gandhiano in tutti i sensi. La Polizia ha allontanato fino a 15 metri i due gruppi ma non abbastanza per evitare i lanci, e nel frattempo è successa una cosa inaspettata: agli 80 iniziali si sono aggiunti altri 200 estremisti arrivati da altrove – l’ipotesi più accreditata è che tramite i social network sia stato lanciato un appello ad andare in quella piazza – e lì il clima è diventato incandescente, in particolare tra forze dell’ordine e xenofobi, che in greco insultavano la Polizia. Si era a cavallo di mezzanotte. Alcuni degli estremisti hanno incendiato un cassonetto, altri si sono recati dietro il bus della Polizia stessa e da lì dietro, nascosti alla vista, è ricominciata la sassaiola e, fatto ancora più grave, il lancio di gas lacrimogeni presi chissà dove. Uno ha colpito nel mezzo il gruppo di afghani ed è stato il disastro, con le persone che ovviamente sono fuggite da lì per trovare riparo dal gas. Il risultato è stato un lungo momento di guerriglia urbana tra estremisti e attivisti per i diritti umani, con questi ultimi che scortavano i profughi in un bar diventato ospedale da campo per i feriti. Ho visto scene che mai si sono verificate sull’isola, con risse in più punti. Solo allora, ed erano le 4 di mattina, sono iniziate le forti cariche della Polizia e pian piano si è ristabilito un certo ordine. Ma in quel momento è successo un fatto che ricorderò per sempre: i 122 profughi sono stati caricati a forza, con spintoni, sui bus e portati nel garage del presidio locale di Polizia. Fermati, dunque, assieme a un paio di attivisti. Mentre nessuno degli estremisti è stato arrestato. Pazzesco.
E cos’è stato di loro nelle ore successive?
Sono rimasti in attesa per ore, poi tutti sono stati rilasciati e i profughi riportati a Moria. Sono ancora in attesa del capo d'accusa. Non riesco ancora a comunicare con loro, probabilmente perché non è stato ancora ridato loro il cellulare.
A livello governativo ci sono state reazioni, il partito al governo, Syriza, ha espresso “condanna per l’attacco deliberato degli estremisti”. Ma come potranno cambiare le condizioni di vita per le persone nell’hotspot?
Il governo non sta riuscendo a trovare regole uniformi per andare avanti e lascia tutto in mano agli uffici regionali, dove purtroppo anche a causa di figure incompetenti e non esperte in materia le lacune sono molte anche a livello organizzativo. A un certo punto del 2017, per esempio, il governo greco ha chiesto alla Ue di dare a sé i fondi che prima erano dati alle organizzazioni non governative presenti sull’isola, cosa che poi è stata fatta con il graduale abbandono dell’isola da parte delle ong più grandi. Ma la situazione è peggiorata in quanto le forze attuali non riescono a garantire gli standard già precari di prima. Il sovraffollamento è drammatico, ora sembra che anche in vista di una prossima visita del capo di governo Tsipras l’Unhcr, Alto commissariato dell’Onu per i diritti umani, riesca a ricollocare a tempo record almeno 800 persone nel continente – ma a oggi sono almeno tre settimane che nessuno esce dall’isola per la terraferma – ma i problemi rimangono e l’hotspot di Moria è al collasso. Fuori dal centro enti come la Croce rossa e Msf, Medici senza frontiere, hanno aperto presidi autonomi per tamponare le emergenze, ma non basta. E nemmeno lo stesso Unhcr ha un mandato preciso in Grecia, ovvero è presente con osservatori e supporto alle attività, ma non può prendere decisioni dirette.
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