Politica

La terza via è diventata una strada senza uscita. Le sfide del sovranismo e di Steve Bannon

Il progetto politico nato negli anni Novanta sulla scia del "new labour" di Tony Blair è definitivamente tramontato. Chi o che cosa ne prenderà il posto?

di Marco Dotti

La terza via, teorizzata da sociologi come Anthony Giddens, praticata dal new labour di Tony Blair, presa a modello dalla sinistra italiana in cerca di un’anima liberal (PDS, DS, oggi PD) si è trasformata in una strada senza uscita. Gli anni Novanta, e il modello politico nato dall’era post-Thatcher, si fermano qui. Bisogna prenderne atto.

A chi invoca una via d’uscita sul modello di Emmanuel Macron, va forse osservato che quella del giovane Presidente francese sembra più il canto del cigno di quel modello, che l’alba di un nuovo modo di fare politica. Stando a un recentissimo sondaggio di Ifop-Fiducial per Paris Match/Sud Radio, infatti, la popolarità (44%) del Presidente francese è ai minimi storici, avendo perso 10 punti percentuali in un solo mese. Il Front National di Marine Le Pen, che si avvia a cambiare nome e progetto, ne ha già recuperati 3. Ed è destinato a crescere, con una stategia espansiva e reticolare.

La «rifondazione nazionale» annunciata ieri da Marine Le Pen, supportata oramai in forma aperta dallo stratega dell'alternative right Steve Bannon, ha fatto breccia nel cuore degli elettori più giovani e dei giovani che elettori lo diventeranno a breve. Lo rivela un altro sondaggio di Ifop-Fiducial (i dati in pdf li trovate in calce all'articolo).

«La storia è dalla nostra parte», ha dichiarato ieri Bannon, dal palco congressuale del FN.

«Lasciate che vi diano dei razzisti, lasciate che vi chiamino xenofobi, lasciate che vi chiamino nativisti, portate con orgoglio questi appellativi perché ogni giorno noi diventiamo più forti e loro più deboli». Bollare come folclore queste affermazioni significherebbe non aver capito di che pasta è fatto un rabdomante come Bannon. Ma, soprattutto, significherebbe muoversi seguendo vecchie mappe in territori che nel frattempo sono radicalmente cambiati.

Alla terza via, si sta sostituendo la quarta parte dei movimenti e dei blocchi neo-nazionali? Per Steve Bannon, «un rivoluzionario che si aggira per l'Europa» lo definiva ieri Maurizio Molinari su La Stampa, le elezioni italiane hanno decretato un punto di non ritorno. E la miccia di un'Europa post-liberale è già stata innescata.


Ma chi è Steve Bannon? Nato nel 1953 a Norfolk in Virginia, già chief strategist e il consigliere senior del Presidente degli Stati Uniti di cui ha coordinato la campagna elettorale Bannon si è laureato all'Harvard Business School e, dopo aver prestato il servizio militare nella Marina americana, ha lavorato presso Goldman Sachs e nel 1990 ha lanciato Bannon & Co, una banca d'investimento specializzata nel settore dei media, diventando poi produttore esecutivo nell'industria cinematografica di Hollywood e, dal 2012, direttore esecutivo di Breitbart News. (Per inquadrare meglio le idee di Bannon è utile un libro curato da Mario Mancini per l'editore Goware: La visione degli alt-right).

«L'onda del populismo è solo all'inizio, l'euro non reggerà», ha dichiarato Bannon annunciando che una «internazionale sovranista» si sta già creando in vista delle consultazioni elettorali nazionali e di quelle europee che si terranno fra un anno e mezzo.

Che cosa accadrà non è facile capirlo. Prendiamo il risultato elettorale di Casa Pound, fermatasi allo 0,9%, risultato che ha fatto scrivere a Repubblica che si sia trattato di un flop.

Uscendo dal pallottoliere percentuale, andando sui termini concreti, alla Camera Casa Pound ha raccolto 310.793, e al Senato 258.797 voti. Ciò che non è però sfuggito agli osservatori più attenti è che fra i temi più efficaci della scorsa campagna elettorale c'è stato proprio il sovranismo, ossia un ritorno alle istanze di una politica nazionale.

Gli agitatori del sovranismo hanno creato un efficacissimo laboratorio di claim making, ossia di definizione e costruzione di un'istanza oramai avvertita come socialmente ineludibile. Proprio questo ha accelerato la fine del blairismo dirigendoci verso un cambio d'epoca.

Ora c'è chi, appoggiandosi alla visione di Bannon, afferma che un futuro blocco nazionale italiano, guidato proprio dalle idee chiave del sovranismo possa arrivare a un 9-12%.

Fantasie? O nuove, insidiosissime strade che, se non capite a fondo, ci troveremo a dover percorrere nostro malgrado? Che cosa contrapporre alla nuova pelle del nazional-populismo senza sbattere contro il muro di una terza via oramai senza presente, né futuro? Queste sono alcune domande che affiorano, in questo presente sempre più confuso e incerto.

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