Cultura
Gli anziani e le politiche sociali: riportiamo la cura e la relazione al centro del dibattito
A fronte di 2,5 milioni di anziani non autosufficienti e di una popolazione fra le più longeve d'Europa, si pone per il nostro Paese il tema di ripensare la cura passando dalla gestione dell’emergenza a progetti sostenibili di lungo periodo. Un importante articolo di Francesco Occhetta sull'ultimo volume de "La Civiltà Cattolica" fa il punto e lancia una sfida: appoggiare chi sta proponendo gli Stati Generali dell'invecchiamento
di Marco Dotti
La vecchiaia è un grande tema. Un tema rimosso. Eppure l’Italia, osserva Francesco Occhetta sul numero del 3 marzo de La Civiltà Cattolica, è il Paese d’Europa in cui si vive più a lungo.
Quanto si vive
Secondo l'Ocse, nel 2050 in Italia ci saranno 74 over 65 (data che segna il passaggio all'età anziana) per ogni 100 persone di un età compresa tra i 20 e i 64 anni. Attualmente la proporzione è di 38 a 100.
Non solo, come ricorda Occhetta nel suo articolo Gli anziani e le politiche sociali, in Italia le persone con più di 65 anni sono 13,5 milioni: 1,8 milioni in più rispetto al 2007. In questi ultimi 10 anni, la popolazione con più di 80 anni è aumentata di 1,1 milioni, mentre la speranza di vita è di 80 anni per gli uomini e di 86 anni per le donne e tra le dieci città europee più longeve, sette sono italiane. E che cosa dire di Milano, nel cui centro storico vivono circa 130.000 over 65?
Questa è l'immagine, leggiamo su La Civiltà Cattolica, «di un Paese con uno scheletro resistente e una muscolatura debole, che porta a chiederci se le politiche sociali e il sistema sanitario siano adeguati a trasformare l’emergenza in un progetto politico di largo respiro».
Come si vive
Tante sono le ragioni per cui nel nostro Parse si vive più a lungo che altrove. Ma un punto importante, nella riflessione Occhetta, è dedicato al crovecia qualitativo: ossia al valore delle rete sociali e relazionali. Anziani che vivono in «famiglie coese e aperte» soffrono meno la solitudine. E gli anziani soli sono proprio quelli più esposti alla probablità di morire prematuramente.
La solitudine è un tema cruciale per le società europee: non a caso nel Regno Unito, dove il Governo di Teresa May ha istituito addirittura un ministero ad hoc. Interessante, a questo punto, riflettere sulla scelta del nome di quel ministero: Minister for Loneliness. Per designare la solitudine, la lingua inglese possiede due termini: solitude e loneliness. Se la prima è una solitudine temporanea, non alienante in sé, anzi può diventare uno spazio intimo, raccolto, la famosa "stanza tutta per sé" di cui parlava Virginia Woolf. Al contrario, la loneliness, osservava già Hannah Arendt, è una solitudine desertificante che comporta tanto l'azzeramento di ogni legame quanto la privazione della dignità.
Ecco perché, spiega Occhetta, «in un tempo,in cui i legami sociali e familiari si sono affievoliti, la gestione della solitudine diventa una questione politica, ossia dipende dal modo in cui una comunità sceglie di vivere le relazioni». Proprio per questa ragione «la domanda sociale richiede che si prenda in carico non il "quanto" vivere, ma il "come" vivere la longevità. Si tratta di accompagnare un processo di vita» delicato e fragile, ma incredibilmente generativo.
Quali politiche sociali, sanitarie, assistenziali… in una parola: quale welfare dovremo ridisegnare tenendo conto dei trend di invecchiamento della popolazione italiana?
Quale cura per chi vive
Il tema dell’invecchiamento, riflette ancora Occhetta, «si pone al centro dell’intreccio fra società, economia, famiglia e welfare, per proteggere le persone anziane non autosufficienti» e molti Paesi europei si sono già diretti verso Long Term Care. Le due eccellenze, spiega Occhetta, «sono rappresentate dai modelli della Germania, che nel 1995 ha istituito l’assicurazione obbligatoria sulla non autosufficienza, e della Finlandia, dove per il pensionato è previsto un assegno che garantisce pieni diritti sociali al prestatore di cura» (per alcuni spunti critici sui problemi connessi al modello finlandese rinviamo all'intervista con la giornalista e scrittrice Minna Lindgren).
La via da percorrere per creare modelli efficaci di cura e rafforzare le relazioni sociali sembra avere una precisa direzione: «creare rete nel territorio tra pubblico, privato sociale, privato convenzionato, imprese sociali del terzo settore, volontariato competente. Molte esperienze campione, sparse a macchia di leopardo, potrebbero aprire strade nuove».
Nuovi spazi della relazione
Come quella del Centro Civitas Vitae di Padova, una delle più grandi strutture sociosanitarie di servizi integrati in Europa, che si sviluppa su un’area di 120.000 metri quadri, sulla base di diverse strutture, collegate tra loro da una rete di gallerie sotterranee» o «l’esperienza dei condomini solidali di Torino, Imola e Samarate (Va), o delle Case di Giorno per anziani, pensate negli anni Ottanta da Mariella Enoc e da don Aldo Mercoli». Non più, spiega Occhetta, «"case di riposo" che diventano parcheggi senza speranza, ma nuovi luoghi e "spazi relazionali"».
Proprio questa necessità di una riflessione a tutto campo apre a una chiamata comune, perché «gli anziani hanno bisogno di luoghi per potersi esprimere e raccontare, valorizzare i propri talenti e mettersi a servizio delle comunità in modo nuovo».
Le domande che Occhetta si pone e ci pone nella sua riflessione sono tante. Su tutte, due. Prima questione: «il Parlamento sarà in grado di riformare il Servizio sanitario nazionale, pensandolo per una popolazione anziana? Sarà capace di trasformare in servizi la spesa per i trasferimenti?». Seconda questione: riusciremo a sottrarre il dibattito sulla vita activa degli anziani alla logica della mera medicalizzazione?
In questo nuovo scenario, Occhetta lancia un tema importante: «è urgente appoggiare chi sta proponendo la costituzione degli Stati generali dell’invecchiamento, capaci sia di riunire i principali attori sul tema sia di favorire una riforma organica».
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