Economia
Aribandus: un nuovo modo di essere cooperativa
Sul cambiamento del mondo cooperativo il punto di vista di Aribandus e di Elisabetta Masotto che di questa realtà con sede a Verona è responsabile dell'area progettazione e innovazione sociale
Come cambia il mondo delle cooperative e il modo in cui osservano la società, le persone, i bisogni e i servizi colmando le lacune di un sistema di welfare, nel nostro paese, ancora troppo debole.
Qui il punto di vista di Aribandus e di Elisabetta Masotto responsabile dell’area progettazione e innovazione sociale di questa realtà che ha sede a Verona.
Elisabetta raccontaci di Aribandus?
Aribandus è una cooperativa sociale di tipo A nata nel 2010 dopo essere stata associazione dal 1999. Svolge attività educative, sociali, formative e di ricerca, a Verona e non solo, rivolgendosi alla comunità progettando e gestendo servizi per Enti Pubblici e Privati.
Pensiamo alla “qualità” più che alla “quantità” degli interventi forniti facendo coesistere solidarietà e imprenditorialità sociale rispondendo ai bisogni del territorio. La progettazione partecipata, quale pratica e processo di innovazione, è l’elemento che ci caratterizza.
Sostegno alla genitorialità e alla famiglia, i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, l’apprendimento lungo l’intero arco della vita (lifelonglearning), l’invecchiamento attivo e work life balance sono i temi che sentiamo più vicini e per i quali sviluppiamo percorsi mirati.
Aribandus, perché questo nome?
Aribandus è la parola che usavamo da bambini per arrestare il gioco: il momento in cui ci si poteva fermare per rinegoziare le regole, riposare e riprendere a giocare. Una parola magica. Penso che questo nome abbia sempre orientato il modo di lavorare del nostro gruppo caratterizzato dalla capacità e dalla volontà di continuare a ridisegnare i confini, i tempi e gli spazi del sociale.
Ridisegnare i confini, i tempi e gli spazi del sociale. Cosa intendi?
Intendo dire che si può e si deve collocare il modo di progettare, lavorare con e per le persone, nell’ambito dell’innovazione sociale che, per Aribandus, significa ripensare i modelli di welfare attraverso configurazioni che possiamo definire ibride.
Porsi in ascolto delle persone e dei contesti che abitiamo provando a immaginare e valorizzare nuove esperienze che attivino le risorse, le competenze e i talenti delle persone, delle famiglie, delle comunità. Ma, soprattutto, ripensare i confini attraverso cui vengono definiti gli ambiti di intervento, interrogarci ogni volta su quali siano le geografie che i modelli di welfare disegnano, quali le nuove biografie che ne emergono, i bisogni e i desideri che esprimono.
Un modo di operare che rappresenta la vostra identità?
Procedere per tappe e fasi contraddistingue il nostro lavoro e il nostro modo di fare innovazione sociale.
Uno stile che non disegna un modello lineare di intervento ma segue l’emergere di diverse esigenze sociali che lanciano sfide necessitando di idee e soluzioni altre.
Differenti sguardi, competenze e strumenti ma, soprattutto, modi di intendere le relazioni fra le persone.
Aribandus è un osservatorio privilegiato di analisi della società. Cosa ne emerge e quali le soluzioni proposte?
Emerge una società complessa con problemi che ogni persona si trova a gestire e che richiedono, appunto, la capacità di pensare altrimenti tempi, spazi e modi in cui li abbiamo considerati fino ad oggi con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita.
Così abbiamo immaginato, quasi 10 anni fa, che anziani e bambini potessero condividere una stessa esperienza sociale creando, ad esempio, con il Comune di Verona il primo centro intergenerazionale della città. Ci sembrava necessario provare a pensare servizi che non operassero su destinatari omogenei e provassero a contaminare i luoghi dell’agire educativo.
Lavoriamo con le reti relazionali in cui le persone (bambini, adulti o anziani) vivono per rispondere a quella che viene definita, oggi, vulnerabilità sociale convinti che, solo così, si possa favorire l’inclusione sociale combattendo le nuove forme di povertà.
Abbiamo iniziato un percorso di lavoro con le famiglie per promuovere nuovi modelli di welfare attraverso l’individuazione di soluzioni condivise. Questi sono alcuni esempi concreti che abbiamo sperimentato negli anni e che ci hanno indicato, in qualche modo, la strada da percorrere.
Bisogni inediti soluzioni fino a qualche tempo fa impensabili. Si può fare e come?
Cercando nuove aperture e dialogando con soggetti che, fino a qualche anno fa, non appartenevano alla sfera del sociale.
Ad esempio, dalla collaborazione con la società di comunicazione Pensiero srl, è nato SPAZIO 65+ un progetto che parte dal bisogno delle famiglie di trovare soluzioni per la cura e l’assistenza dei propri familiari anziani e di come, oggigiorno, la comunicazione in ambito sociale, divenga essa stessa “servizio” facilitando l’accesso alle informazioni e la fruizione da parte dei cittadini. Mappando il territorio abbiamo notato che vi erano molti più servizi di quelli che pensavamo pur frammentati e non integrati. Da qui l’idea di una piattaforma che operasse un primo livello d’integrazione mirato raccogliendo, in un unico luogo virtuale, tutti i servizi pubblici e privati che la città di Verona offre. Questo è un progetto che continua a regalarci prospettive di sviluppo su cui stiamo lavorando.
E per quanto riguarda il tanto sentito tema della conciliazione?
Abbiamo aperto uno spazio coworking dedicato alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro quale spazio capace di ospitare al suo interno quelle nuove biografie professionali che faticano a trovare risposte nell’attuale sistema di servizi di welfare. WELL Work&Life Lab è, per noi, un laboratorio di pratiche innovative per rigenerare la professionalità di donne e uomini attraverso percorsi che implementino le soft skills e le competenze digitali. Un laboratorio per trovare soluzioni ai problemi che le mamme e i papà incontrano nel conciliare il proprio desiderio di lavorare con quello di prendersi cura dei propri bambini attraverso servizi flessibili e modulabili in base alle esigenze di ognuno. WELL è però, prima di tutto, un luogo in cui creare nuove relazioni sociali e collaborazioni. Questo spazio di pensiero e di azione ci ha permesso di avere una trasformazione che si traduce in cooperazioni tra attori del territorio in una logica di secondo Welfare e in un inedito ruolo che il Terzo Settore può assumere per promuovere innovazione.
Un modo nuovo di dire e di essere cooperativa quindi che si pone al servizio del territorio e di chi lo vive con attenzione e osservazione. Ascolto e cura. Con valore.
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.