Cultura

Cometa e il lavoro che educa: cosa c’è di replicabile nella scuola pubblica?

Dieci anni fa nasceva a Como la Scuola Oliver Twist di Cometa, per rispondere all'abbandono scolastico con la bellezza e il lavoro. Oggi l'università Bicocca ne analizza l'approccio educativo, per capire se e cosa c'è di trasferibile nella scuola

di Sara De Carli

Dieci anni fa nasceva a Como la Scuola Oliver Twist. Nasceva in Cometa, come naturale prosieguo dell’esperienza di affido e apertura della famiglia Figini, in un contesto territoriale in cui fin dal 2003 aveva avviato anche percorsi di ri-motivazione allo studio per i ragazzi che nella scuola normale (anche in quella professionale) stavano stretti. Nasceva l’approccio educativo di Cometa, caratterizzato dal “fare per davvero”, dall’accogliere per educare, dallo strettissimo coinvolgimento del mondo del lavoro all’interno del percorso educativo e formativo dei ragazzi, dalla bellezza, dalla passione educativa per il singolo ragazzo. Ricordo la sorpresa per la bellezza e per la cura con cui ogni dettaglio era stato pensato la prima volta che entrai accompagnata da Erasmo Figini e Alessandro Mele nel cantiere della scuola, ormai quasi pronta ad accogliere i ragazzi, alla fine dell’ estate 2009: intitolammo quel pezzo “la scuola dove si vedono gli alberi crescere”. Dieci anni dopo, quell’originale esperienza educativa di formazione professionale e orientamento al lavoro è cresciuta – oggi Cometa è anche un liceo scientifico artigianale e un Istituto Tecnico Superiore per il Turismo con sede a Cernobbio, lo IATH – che si è fatta conoscere in Italia e nel mondo, è stata messa sotto la lente dalla Fondazione Agnelli e dall’Università di Milano-Bicocca, in un rapporto intitolato “L’approccio educativo di Cometa”, che ne analizza in maniera scientifica il modello per capirne la replicabilità. Il rapporto, curato da Gaia Banzi dell’Università degli Studi di Milano Bicocca con la supervisione della professoressa Susanna Mantovani, è stato presentato ieri.

«Non ci siamo chiesti se il “modello Cometa” funziona, che funzioni è evidente a tutti» ha detto Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli: «ci siamo chiesti se il modello Cometa, fatto di un fortissimo elemento vocazionale/valoriale, di una didattica molto innovativa che mescola saperi accademici e forme di apprendimento attraverso il lavoro, di un fortissimo investimento nella formazione dei docenti, è trasferibile. Replicabile no perché nulla è replicabile, ma trasferibile, con gli opportuni adattamenti. L’esperienza di straordinario successo di Cometa può essere portata in altri contesti e soprattutto nella scuola pubblica? La risposta è “ni”, alcuni punti certamente sì mentre su altri è difficile ricreare le condizioni. IeFP e istruzione professionale sono uno dei punti deboli del nostro sistema scolastico, la miscela di Cometa è quindi estremamente importante. Sottolineo due aspetti: l’organizzazione degli spazi e della aule, perché sappiamo che gli ambienti di apprendimento contano, sono il terzo educatore e il continuo sviluppo, perché uno dei problemi della IeFP e della formazione professionale è l’essere un cul de sac, senza prospettive di crescita, mentre Cometa ha un ITS, questo è spunto di riflessione, il dare una prospettiva terziaria non universitaria a chi ha una formazione professionale».

Il rapporto mette in luce gli aspetti peculiari del modello educativo di Cometa: «non un metodo bensì un approccio», ha sottolineato Susanna Mantovani. Gaia Banzi ha osservato alcune pratiche della routine scolastica di Cometa, a cominciare dall’accoglienza e l’arrivo al mattino, le lezioni in aula, i laboratori, la job rotation, i sabati aperti, realizzato interviste successive alle osservazioni e fatto dei focus group con studenti ed ex studenti. Esperienza-realtà-lavoro è un primo tratto caratterizzante la scuola, con la vendita di beni e servizi realizzati dagli studenti come riscontro tangibile all’impegno dello studente: l’esperienza è grande tema delle pedagogie attive, ma un’esperienza non casuale bensì intenzionale, non ingenua ma pensata e ripresa. Vi è poi la didattica sulla commessa, l’apprendimento situato in cui l’apprendista partecipa a una comunità, a una pratica di lavoro in cui via via assume responsabilità in base anche agli apprendimenti e l’inclusività come tratto distintivo, con “forme di riconoscimento” del singolo alunno, nella certezza che “sentirsi pensati” sia propedeutico a una didattica di successo. Altri elementi peculiari sono un tutoraggio pensato e un solido patto formativo, un’azione pedagogica che sa cogliere, nella familiarità, i dettagli, un ambiente indicatore di pedagogie implicite, che coniuga rigore e bellezza: «gli ambienti, le strutture, gli arredi, rivelano un pensiero approfondito che non è scontato, alternativi a quelli che siamo abituati a vedere a scuola, c’è un elemento di coerenza perché la bellezza che accoglie è la stessa che ti chiede rigore quando sei chiamato a una performance», ha detto Banzi.

Le sfide future per la scuola Oliver Twist di Cometa, delineate dal rapporto, sono due. Una è la fidelizzazione dei docenti, condizione essenziale per il buon funzionamento della scuola, ma non scontata sul medio periodo: Cometa si sforza di offrire ai propri docenti percorsi articolati di formazione, ma questa leva non basta anche perché la formazione richiede ai docenti un ulteriore investimento di impegno temporale, che non è possibile in tutte le stagioni della vita. L’altro aspetto è la sostenibilità: l’offerta formativa della Scuola Oliver Twiest, con l’attenzione al singolo studente, l’enfasi sull’estetica e sulla qualità degli ambienti di apprendimento, con percorsi formativi di alto profilo proposti al personale docente comporta infatti un costo per studente pari a circa 6mila euro l’anno, superiore al valore standard regionale di 4.500 euro. La sostenibilità del sistema Cometa dipende quindi anche dalla capacità di mantenere e rafforzare i due canali paralleli del fundraising e del fatturato derivante dalle relazioni di natura commerciale (botteghe, progetti specali) cercando di allargare i raggi di azione oltre la sfera locale.

Se questa è l’analisi, cosa c’è di trasferibile? Cosa dell’esperienza di Cometa può essere utile anche in altri contesti, dove si presentino quelle stesse esigenze di inclusione e di lotta alla dispersione scolastica che Cometa riesce a soddisfare su scala locale a Como? Ecco gli elementi che la ricerca di Banzi ha individuato. Uno, la scuola Oliver Twist è un’esperienza radicata in un territorio, che si declina nell’ascolto dei bisogni formativi del territorio e chiamando a rinforzo risorse e competenze del territorio stesso, creando una rete di attori del territorio, con una autentica corresponsabilità educativa di tutti gli attori. Due, la dimensione organizzativa e gestionale forte, in un intreccio solido tra il progetto didattico-pedagogico e la gestione di risorse e tempi per realizzare quanto viene pensato. Tre, una proposta formativa altissima per il corpo docente. Quattro, pratiche di inclusione che consentono di garantire standard elevati anche per i ragazzi difficili. Cinque, la dimensione del lavoro, con la produzione di beni e servizi per il pubblico e l’osservazione del ragazzo in azione, mentre si sperimenta nel progetto di lavoro. Sei, la dimensione pedagogica dell’esperienza estetica. «Questo può essere disseminato in altri contesti», ha affermato con convinzione Gaia Banzi.

Per Susanna Mantovani, la scuola Oliver Twist «è una esperienza di attualità e insieme antica. Del nostro tempo per la precisione e l’intenzionalità specifica nel fare rete, nel considerare gli aspetti economici con lucidità e concretezza, nel dare a molte parole come “progetto individuale” e “alternanza scuola-lavoro” contenuti concreti. Certo la scuola nasce dalla comunità da cui è nata e ha un elemento di comunità che resta e che non è facile trasferire altrove, nelle scuola “consueta”: certamente si può ricreare in altri territori il fare rete, il sollecitare e coinvolgere le aziende. Non è facile ma è possibile: questo è un esempio di rete concreta e realistica, che vale per tutte le scuole, non solo “dire” la rete ma farla». Un aspetto importante individuato dalla professoressa Mantovani è il binomio «praticato costantemente tra accoglienza ed esigenza, questa è una scuola accogliente e molto esigente. Sul piano educativo è molto importante, possiamo e dobbiamo esigere dai ragazzi il massimo che possono dare in quanto siamo accoglienti e li riconosciamo. Infine c’è l’aspetto della formazione degli insegnanti: pensando alle risorse destinate alla formazione in servizio, si dovrebbe pensare a una diffusione, soprattutto nella fase di iniziale dei giovani insegnani, in formazione post universitaria».

La scuola Oliver Twist prende il nome dalla Fondazione Oliver Twist, che in questi dieci anni ha dato al progetto un supporto decisivo: un emozionato Paolo Basilico ieri ha sottolineato come in Cometa «abbiamo trovato tutti i tre fattori essenziali per un donatore: che ogni euro donato aiuti veramente i ragazzi, senza perdersi in strutture sovraccariche di costi; che ci sia una capacità imprenditoriale vera, che metta a terra le belle idee e il tanto cuore, per trasformare sogni e progetti in realtà, su questo Cometa è un esempio inarrivabile di imprenditori capaci; una sostenibilità nel tempo, noi visto entrare una nuova generazione in Cometa, in un modo che ci dà la tranquillità che Cometa c’è oggi e ci sarà domani».

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