Formazione
Chi rallenta davvero la scuola? La lezione frontale, non gli alunni fragili
La vicenda dei licei classici "classisti" mette in luce l'insufficienza dei RAV, vissuti come mero adempimento burocratico ma soprattutto l'assoluta inadeguatezza del modello di scuola che conosciamo. «Un modello con cui tutti gli alunni hanno difficoltà. Sogno una scuola senza aule e senza classi», dice il presidente di Indire
Giovanni Biondi è presidente di INDIRE, l’Istituto a cui è affidata la ricerca sull’innovazione educativa. Loro hanno monitorato 3.500 Piani di miglioramento delle scuole italiane, cioè quei piani che le singole scuole predispongono dopo essersi fatte un “esame di coscienza” attraverso il Rapporto di Autovalutazione, lo strumento che dal novembre 2015 tutte le scuole hanno pubblicato, ma di cui pochissimi fino a ieri avevano sentito parlare.
Presidente, qual è la sua impressione? Sono tante le scuole che hanno questo atteggiamento classista emerso ieri, cioè che scrivono in sostanza che alunni poveri, disabili e stranieri ostacolano la buona scuola?
Il monitoraggio dei RAV lo fa l’Invalsi, ma la mia impressione è che il RAV sia vissuto dalle scuole come adempimento burocratico e non come aiuto vero alla autovalutazione e al miglioramento. Noi abbiamo valutato 3.500 piani di miglioramento delle scuole, i dati ci dicono che più che progettare un piano di miglioramento, le scuole scrivano un libretto di giustificazioni. Dico anche che la legge 10, quella che aveva disegnato il sistema nazionale di valutazione, si basava su una valutazione esterna delle scuole, fatta da ispettori autonomi che dovevano fare visite periodiche, indicare alle scuole i punti di debolezza, tornare a verificare i miglioramenti: non si è fatto. L’autovalutazione va fatta, in tutti i campi, ma non può sostituire la valutazione esterna autonoma.
Ma da un punto di vista sociologico che cosa si sente di dire?
Le scuole sono tante e varie, certo che ci sono situazioni in cui il risultato, la performance e l’apprendimento sono considerate l’obiettivo. In quest’ottica i ragazzi in difficoltà, qualsiasi essa sia, abbassano il livello della classe. Dipende tutto da come pensiamo la scuola: se pensiamo che il valore della scuola non sia misurabile solo in termini di performance e apprendimenti, ma anche di eduzione e crescita basata su valori, allora cambia tutto.
Ovviamente leggere di una scuola che afferma che «la spiccata omogeneità socio-economica e territoriale dell’utenza facilita l’interazione sociale» è inaccettabile. È anche vero però che i dati sul fallimento formativo o sulla dispersione scolastica evidenziano come “più a rischio” gli alunni stranieri ad esempio o quelli che provengono da famiglie molto fragili. Al di là dell’approccio evidentemente banalizzante di un titolo che dice che “alunni poveri, stranieri e disabili rallentano l’apprendimento scolastico”, come Indire che risposta date a questo tema?
Possiamo certamente dire che finché scuola sarà basata sulla lezione frontale, qualunque tipo di difficoltà rallenta. Se l’insegnante parla, l’alunno studia sul libro e poi l’insegnante interroga, va da sé che chi per qualsiasi motivo non si adatta a questo modello, resta indietro. Tant’è che se ci si pensa l’insegnante di sostegno oggi fondamentalmente cosa fa? Sta seduto accanto all’alunno e fa da interprete di quel che l’insegnante dice. Il problema è il modello: dobbiamo cambiare il modello. Questo modello mette in difficoltà non solo gli alunni con disabilità, con BES, con cittadinanza non italiana, di famiglie fragili… ma tutti gli alunni sono in difficoltà, tutti, perché i ragazzi oggi non sono più attratti da questo modello, perché usano tecnologie diverse, imparano per immagini e suoni, hanno un altro approccio. Fra l’altro anche quelli plus dotati, che è un altro tema, con questo modello sono tagliati fuori perché si annoiano. Il tema è questo, che gli ambienti standard fatti per parlare a tutti allo stesso modo, non funzionano più. Se facciamo invece un modello laboratoriale, in cui diciamo che i ragazzi le lezioni non vengono a scuola per sentire la lezione – quella la leggono a casa – ma per fare attività, se lavorano a gruppi in modo collaborativo, allora cambia tutto, anche il ruolo dell’insegnante di sostegno, anche l’atteggiamento verso chi ha qualche difficoltà. Però bisogna scombinare completamente modello: io spero che la scuola futura sarà una scuola senza aule e anche senza classi.
FOTO DI © SIMONE FENSORE/SINTESI
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