Welfare
Il dopo di noi è finalmente iniziato
La Lombardia è la prima regione in cui sono stati valutati e approvati i progetti di vita legati alla legge 112/2016: presentate 1.628 domande. Se c'è rete, la legge riesce a incrociare bisogni dei cittadini e investimenti privati: «a Pavia 15 persone con disabilità andranno a vivere in tre appartamenti, tutti e tre messi a disposizione dalle famiglie», afferma Marco Bollani
Il dopo di noi è cominciato, finalmente. La Lombardia è la prima regione in cui i progetti di vita di persone con disabilità sono stati redatti, valutati, finanziati con le risorse del Fondo nazionale per il dopo di noi e anche avviati. La legge 112/2016 a un anno e mezzo abbondante dalla sua entrata vede così i suoi primi frutti, benché in molte altre zone d’Italia ci siano ritardi e difficoltà oggettive a dare attuazione alla norma. Un primo tassello, che dice però che “si può fare”.
1.628 progetti di vita
In Lombardia, dove gli uffici regionali nei mesi scorsi su 29mila persone con disabilità avevano individuato 3.500 persone come “prioritarie” rispetto alla legge 112/2016, sono state presentate 1.628 domande, una buona risposta per una misura al suo debutto e in più decisamente di rottura rispetto alle misure viste in passato. Molte istanze già contenevano delle idee progettuali: le valutazioni multidimensionali sono state concluse entro il 31 dicembre e in questo momento i Piani di Zona insieme alle persone con disabilità, ai loro familiari e ai vari fornitori di sostegni stanno costruendo i progetti, che partiranno appena le risorse verranno erogate. Alcuni progetti anzi sono già partiti e con le risorse della legge 112 potranno consolidarsi. Al cuore della legge sul dopo di noi c’è il desiderio di sostenere le persone con disabilità in percorsi di autonomia abitativa, affinché possano decidere autonomamente dove, come e con chi vivere la loro vita adulta, in maniera gradualmente indipendente dai genitori, in una casa che sia una vera casa e non necessariamente un istituto o un servizio speciale. Delle 1.628 domande presentate in Lombardia, 86 chiedono un contributo per la ristrutturazione di casa, 113 per l’affitto, 114 per un pronto intervento. 275 domande riguardano invece un sostegno alla residenzialità, il cuore innovativo della legge 112/2016: per 130 persone si parla di un gruppo appartamento sostenuto da un ente gestore; per 57 di un gruppo appartamento autogestito, per 50 persone di housing e co-housing, mentre 38 progetti devono ancora essere meglio definiti nella tipologia dell’abitare. Sono 275 progetti di vita che consentiranno a 275 persone con disabilità di vivere la loro vita, in un appartamento, come tutti: alcuni progetti vanno a consolidare percorsi già avviati, altri sono nuovi.
Costituiscono invece a tutti gli effetti una novità i 1.239 percorsi di accompagnamento per cui è stata presentata domanda. Si tratta di una novità in quanto con le risorse della legge 112/2016 questi progetti dovranno promuovere il distacco e l’emancipazione dei figli dai genitori. «Significa che 1.239 persone con grave disabilità, che nella maggior parte dei casi oggi frequentano verosimilmente un servizio diurno, hanno detto, insieme alle loro famiglie, “proviamo a sperimentare il distacco dai genitori”; proviamo a costruire il dopo di noi durante noi. Sono persone e famiglie che non si sono fermate ad aspettare l’arrivo di un posto letto in un servizio residenziale ma hanno avuto il coraggio di fare un passo avanti», spiega Marco Bollani, direttore della cooperativa sociale Come NOI di Mortara (PV), tecnico fiduciario della Fondazione Nazionale Anffas Dopo di NOI e consigliere regionale di Federsolidarietà Confcooperative. La Come NOI ha avviato già nel 2013 un progetto “pilota” che aveva anticipato il dettato normativo della legge 112, il Progetto A Casa MIA, che è stato esteso nel 2017 e che ha generato altre esperienze innovative sullo stesso modello, attraverso una rete territoriale in via di strutturazione, coordinata dalla stessa cooperativa Come NOI.
Sono tanti o pochi? Sono pochi rispetto al bisogno di realizzare percorsi di vita adulta per le persone con disabilità, sono tanti per promuovere un nuovo modello di presa in carico. Soprattutto sono un segnale importante di spinta e di innovazione da parte delle famiglie
Marco Bollani
Ma 275 persone con disabilità che andranno “a vivere da sole” e 1.239 che ci si avvicineranno gradualmente, in Lombardia, sono tanti o sono pochi? «Sono sicuramente pochi rispetto al bisogno complessivo di realizzare percorsi di vita adulta per le persone con disabilità ma sono oggettivamente tanti per promuovere un nuovo modello di presa in carico come quello ipotizzato dalla legge 112/2016», afferma Bollani. «Ma soprattutto sono un segnale davvero importante di spinta e di innovazione da parte delle famiglie, delle persone con disabilità e di chi già le sostiene, che va assunto e accolto fino in fondo».
I sogni sono per i coraggiosi
«I sogni sono fatti per le persone coraggiose. Per tutti gli altri, ci sono i cassetti»: hanno messo questa frase sulla pagina Facebook dell’Associazione Un nuovo dono: si tratta di un'associazione di genitori che in provincia di Pavia stanno lavorando per realizzare un progetto di convivenza per cinque ragazzi con disabilità gravissima, che oggi vivono in famiglia (nella foto, sotto). Andranno in un appartamento proprio di fianco al Duomo di Pavia, di proprietà di una delle famiglie, messo a disposizione dell’Associazione per il progetto di co-abitazione. Le famiglie assumeranno gli assistenti personali e la cooperativa sociale che oggi gestisce il centro diurno frequentato dalla maggior parte dei futuri coinquilini supporterà il progetto fornendo un supporto educativo e pedagogico, supportata a sua volta da un’altra cooperativa sociale del territorio che ha già sperimentato la funzione di case manager. «Cosa c’è di bello in questo progetto? La rete. C’è l’associazione di genitori Un Nuovo Dono insieme alla Cooperativa Sociale Solidarietà e Servizi di Busto Arsizio, entrambe supportate dalla cooperativa sociale Anffas Come NOI di Mortara», spiega Bollani. «Questo certifica il fatto che per fare bene il dopo di noi, ogni realtà deve uscire dal proprio “orticello”, per lavorare insieme: ciascuno dei soggetti citati – le famiglie ma anche le realtà associative e gestionali – preso singolarmente non sarebbe riuscito a realizzare il “sogno” di un progetto di co-abitazione. Ma lavorando insieme e investendo ciascuno qualcosa ben oltre il loro mandato, ce l’hanno fatta».
E allora tornando alla domanda se sia tanto o poco quello che si è mosso sui territori lombardi in risposta al primo appello legato alla legge sul dopo di noi, per Bollani si tratta già di un avvio concreto e reale di un modello differente. «In provincia di Pavia, il territorio che conosco meglio, questa legge nel suo primo anno sosterrà 15 progetti di vita: 15 persone che andranno a vivere in tre appartamenti, tutti e tre messi a disposizione dai familiari. Se immaginiamo che nascano tre appartamenti in ogni provincia d’Italia, è già un nuovo modello, è già una alternativa all’istituzionalizzazione. Inoltre in provincia di Pavia ci sono 66 famiglie che faranno percorsi di avviamento al dopo di noi, che orienteranno altre famiglie a muoversi nella stessa direzione, ponendo le basi per progettare altre convivenze in appartamento. Il cambiamento è partito, quello che inizialmente abbiamo costruito come un sentiero sta diventando una strada».
Il cambiamento è partito, quello che inizialmente abbiamo costruito come un sentiero ora sta diventando una strada
Marco Bollani
Un altro progetto ancora, a Voghera – curato da Fondazione Anffas Dopo di Noi di Voghera, sostenuto anch’esso dalla cooperativa sociale che gestisce il centro diurno (Coop. Soc. Marta di Sannazzaro) – prevede il recupero di una struttura con più di cinque posti, dove verranno abbinati in maniera originale un appartamento per cinque persone (già attivo), mentre altre cinque persone faranno avviamento all’autonomia, dopo un primo progetto sperimentale di avviamento anch’esso seguito dalla Come NOI. «Occorre sottolineare che questo “movimento” in provincia di Pavia è stato sostenuto e coltivato da un investimento della Fondazione Comunitaria della Provincia di Pavia, che nel 2017 ha promosso un bando specifico a supporto dell’attuazione della legge 112/2016, finanziando interventi strutturali e di ammodernamento ma anche interventi formativi come il progetto di formazione per genitori svolto da Anffas Pavia attraverso il Supporto della Come NOI. Un passo fondamentale per informare, formare, preparare le famiglie che hanno bisogno di essere accompagnate non solo sul piano pedagogico, ma anche per assumere fino in fondo il ruolo di attori progettuali che co-progettano i progetti di vita dei figli insieme agli abituali fornitori di sostegni, associazioni, cooperative sociali, fondazioni».
Laddove, come in Lombardia, l’attuazione della norma è stata realizzata attraverso una concertazione decentrata inter-istituzionale fra Regione, Comuni, ambiti e con il coinvolgimento del Terzo settore sia a livello regionale sia a livello territoriale, l’applicazione della norma è riuscita ad intercettare i bisogni delle persone ed anche gli investimenti di risorse private
Marco Bollani
Punti di forza e criticità
Quindi l’esperienza della Lombardia, che è riuscita a partire con l’operatività della legge, cosa insegna? Marco Bollani vede quattro punti di forza e quattro punti critici. «Laddove, come in Lombardia, l’attuazione della norma è stata realizzata attraverso una concertazione decentrata inter-istituzionale fra Regione, Comuni, ambiti e con il coinvolgimento del Terzo settore sia a livello regionale sia a livello territoriale, l’applicazione della norma è riuscita ad intercettare i bisogni delle persone ed anche gli investimenti di risorse private. Basti pensare che dei 19 percorsi di convivenza in gruppo appartamento della Provincia di Pavia, 15 si realizzano all’interno di abitazioni messe a disposizione dalle famiglie degli interessati, con 3 appartamenti di proprietà degli utenti», sottolinea Bollani. Punto secondo, «determinante ritengo sia stata l’azione di Regione Lombardia nel concertare il piano attuativo con le realtà del Terzo settore e poi disegnare con gli enti locali un piano operativo condiviso, individuando scadenze certe ed obblighi attuativi stringenti pur lasciando agli stessi ambiti ampi spazi di necessaria discrezionalità rispetto all’allocazione delle risorse. In pratica Regione Lombardia ha costruito un’impalcatura applicativa chiara con la possibilità di ogni territorio di adattarla alle domande e alle necessità riscontrate in ambito locale». Infine, «là dove il territorio, coordinato dalle Cabine di Regia ATS ha effettivamente avviato una concertazione sollecita con il mondo associativo e del Terzo settore e probabilmente anche là dove il mondo dell’associazionismo e del Terzo settore aveva svolto un lavoro di investimento informativo durante l’iter di attuazione della legge, sono emerse diverse istanze progettuali anche in tempi molto ristretti, anche con un cospicuo investimento di risorse private da parte delle famiglie. Dove il Terzo settore è stato capace di fare sintesi tra le diverse posizioni in campo tra il mondo della cooperazione sociale e dell’associazionismo, questo ha molto aiutato le istituzioni».
Ci sono oggettive difficoltà ad accogliere istanze provenienti da persone con elevate necessità di sostegno, a fronte della difficoltà degli operatori e delle istituzioni di realizzare progetti di vita commisurati ai bisogni effettivi di sostegno e non a caratteristiche standard di unità d’offerta dedicate
Marco Bollani
Gli elementi di criticità invece sono stati «un tempo di attuazione a scadenze troppo ristrette, che ha costretto tutti gli attori a correre per presentare le prime istanze. Forse sarebbe stato più utile avere più tempo per le valutazioni multidimensionali». Anche perché il nuovo approccio disegnato dalla norma ha costretto le équipe multi specialistiche ad acquisire in breve tempo i riferimenti metodologici per giungere preparate alla valutazione delle istanze presentate: «da questo punto di vista occorre segnalare l’importanza di tutti i percorsi formativi e di approfondimento messi in atto dalle ATS, dagli ambiti e dalle realtà consortili che hanno dovuto compiere uno sforzo formativo consistente e concentrato in poco tempo per istruire gli operatori impegnati nelle valutazioni multidimensionali», evidenzia Bollani. «In questo modo la difficoltà da parte di tutti gli attori coinvolti a comprendere il cambio di paradigma della norma, si è tramutata in un approfondimento sulla nuova prospettiva di intervento, che sposta l’asse dell’azione di sostegno dalla realizzazione di un servizio alla costruzione di un progetto di vita. Le novità più importanti in tal senso hanno riguardato e tutt’ora riguardano il coinvolgimento della la persona ed i suoi familiari attraverso un’istanza di progetto individuale ai sensi dell’art.14 Legge 328; la definizione di un budget di progetto e l’attivazione di una figura garante dell’intervento nella persona e nel ruolo del case manager». E siccome il quadro di applicazione della norma è decisamente innovativo, dalle difficoltà appena evidenziate derivano in particolare «oggettive difficoltà ad accogliere istanze provenienti da persone con elevate necessità di sostegno, a fronte della difficoltà degli operatori e delle istituzioni di realizzare progetti di vita e di emancipazione dalle famiglie di origine commisurati ai bisogni effettivi di sostegno e non a caratteristiche standard di unità d’offerta dedicate». Anche a questi elementi di criticità, conclude Bollani, «molti territori hanno tuttavia saputo rispondere con un lavoro di rete molto fitto, coinvolgendo enti del Terzo settore gestori dei servizi e mondo associativo e attivando modalità operative sperimentali ed in parte inedite.
Non solo Lombardia
E il resto d’Italia? Anche là dove i piani regionali non sono ancora operativi, alcune famiglie e associazioni sono riuscite comunque a far partire dei gruppi appartamento nuovi, secondo il dettato della legge suppure ancora senza il suo finanziamento. Due progetti in tal senso emblematici sono “Un amore di casa” di Anffas Catania e la “Casa Anffas” di Ragusa, due esperienze che operano in rete, entrambe partite anche grazie ad appartamenti messi a disposizione dai famigliari. Ed è proprio a queste esperienze pilota che oggi le istituzioni possono oggi far riferimento per disegnare l’applicazione attuativa della norma, valorizzando progetti nati sussidiariamente dall’iniziativa dei genitori e delle loro associazioni di riferimento. «In estrema sintesi», conclude Bollani, «fare rete tra pubblico e privato, sostenendo le spinte progettuali dei familiari, costituisce l’approccio vincente per trasformare l’attuazione della legge 112/2016 in una nuova impresa sociale passando dalle parole della legge ai fatti dei nuovi progetti di vita».
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