Formazione

Massagli: «ma la scuola non si sceglie solo in base all’occupabilità»

Emmanuele Massagli, presidente di Adapt, interviene sulla lettera inviata da Confindustria Cuneo alle famiglie dei quattordicenni che stanno scegliendo la scuola superiore: «Confindustria ha fatto bene a scriverla, le famiglie però tengano conto anche di altro. Quella che deve interrogarsi più di tutti è la scuola»

di Sara De Carli

Sta suscitando scalpore la lettera che Confindustria Cuneo ha inviato alle famiglie della zona che si apprestano a iscrivere i figli alle scuole superiori, ricordando che le imprese del territorio prevedono di assumere addetti agli impianti e ai macchinari, operai specializzati, tecnici specializzati. Se i ragazzi vorranno trovare lavoro è meglio che si confrontino da subito con questo dato di realtà. Ha fatto bene o male? Abbiamo girato la domanda ad alcuni esperti, a cominciare da Emmanuele Massagli, professore a contratto di "Pedagogia del lavoro" e di "Welfare della persona" presso l’Università degli Studi di Bergamo, presidente di Adapt, l’associazione fondata da Marco Biagi nel 2000 per lo studio e la ricerca nell’ambito delle relazioni industriali e di lavoro.

Che ne pensa di questa iniziativa?
Dal punto di vista di Confindustria hanno fatto bene, sta scrivendo Confindustria, loro hanno carenze su alcuni profili e lo segnalano: per le imprese trovare o non trovare i profili necessari è un tema di competitività. Nell’ottica degli industriali quindi fanno molto bene a dirlo, anche chiamando le famiglie a superare i pregiudizi sul lavoro in fabbrica e ricordando che in fabbrica il lavoro esiste, in altre situazioni no.

Se Confindustria fa bene a dirlo, le famiglie fanno bene a seguire il consiglio?
Ni. La scuola ha tra le sue finalità anche l’occupazione e spesso ce lo scordiamo, ma quella non la sua unica finalità. Il compito delle famiglie nella fase di scelta della scuola è fare in modo che i figli facciano una scelta consapevole: può essere consapevole anche una scelta che si indirizza su settori dove c’è poca occupabilità. La famiglia si deve concentrare sulla consapevolezza, non sulla canalizzazione su criteri occupazionali. Certo, poiché nella consapevolezza rientra anche il dato sull’occupabilità e il non avere pregiudizi vecchi sul lavoro in fabbrica, direi che le famiglie possono ringraziare Confindustria per averle aiutate a fare una scelta consapevol, ma poi la famiglia sbaglierebbe a scegliere la scuola solo in base alle prospettive di lavoro indicate da Confindustria. Fra l’altro chi sceglie una scuola solo in vista dello sbocco occupazionale e poi si ritrova a fare un lavoro che non gli piace, a 40 anni sarà un frustrato.

Nella lettera colpisce la contrapposizione fra gli «aspetti emotivi e ideali» e la «razionalità» del dato di realtà, «quella realtà, tuttavia, che si imporrà in tutta la sua crudezza negli anni in cui il vostro ragazzo cercherà lavoro». A 14 anni davvero nella scelta di un ragazzino non dovrebbe rientrare il “ciò che sogno di diventare da grande”?
Su questo tema c’è una grande frase di Benedetto XVI alla vigilia della GMG di Madrid. Eravamo nel 2011, in piena crisi, e lui nell’invitare i giovani a Madrid disse che è vero che i giovani hanno l’urgenza di un lavoro stabile, ma che nell’età giovanile uno vive per qualcosa di più grande del lavoro stabile, in un certo senso superando un approccio esclusivamente occupazionale al tema giovani e lavoro. Quello è un problema ma non è “il” problema del giovane. Indipendentemente dal credere o meno, quello che dice il Papa è vero, non si può relegare le aspirazioni di un giovane solo al discorso occupazionali. O meglio, lo fai se pensi che lavoro sia il compimento della vita.

Che messaggio ci lascia allora questa vicenda?
Io credo che il caso di questa lettera dica molto alle scuole. Sono le scuole che più di tutti devono interrogarsi. Intanto se i giovani stanno scegliendo percorsi poco occupabili, significa che non sanno cerca il tessuto produttivo della loro zona e la colpa è dell’autoreferenzialità delle scuola. Le scuole non mettono i ragazzi in contatto con le imprese. Questo lo si evince anche dal fatto che se Confindustria ha dovuto scrive una lettera alle famiglie e andare sulla stampa vuol dire che i giovani nelle sue imprese non ci vanno, né in visita aziendale, né in Alternanza, né in apprendistato. La scuola non fa orientamento e non racconta ai ragazzi cos’è il mondo del lavoro: questo non significa forzare la scelta ma renderla possibile, perché se non conosci non puoi scegliere consapevolmente. Ecco allora che le scuole dovrebbero interrogarsi cosa fanno per far sì che i ragazzi incontrino la realtà intorno a loro, che è una cosa necessaria non in funzione di una precoce iper-specializzazione tecnica ma per far crescere integralmente la persona.

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