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Migranti: in Israele nasce il piano anti-deportazione in nome di Anna Frank

Lanciata da un gruppo di 130 rabbini, l'Anne Frank Home Sanctuary Movement punta ad una mobilitazione popolare per contrastare il programma di espulsione e detenzione forzata annunciato dal Governo e comprende anche la creazione di una rete di persone disposte ad ospitare a casa propria i migranti a rischio deportazione

di Ottavia Spaggiari

È un movimento apertamente ispirato ad Anna Frank, quello lanciato da un gruppo di rabbini israeliani, per creare una rete di sostegno per i migranti africani dopo l’annuncio, da parte del governo di Netanyahu, dell’avvio di un un programma di espulsione di massa.

All’inizio di gennaio, infatti il primo ministro israeliano ha emanato una direttiva, per la stesura di un piano di espulsione dei cittadini eritrei e sudanesi entrati nel Paese negli ultimi dieci anni, ai quali verrebbero date due opzioni: accettare di essere espulsi dal Paese, in cambio di 3.500 dollari, oppure essere trasferiti in un centro di detenzione, per un periodo indefinito.

Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, l’Anne Frank Home Sanctuary movement punta ad assistere circa 40mila persone, principalmente eritree e sudanesi che, nell’ambito del piano governativo che dovrebbe essere inaugurato ad aprile, rischiano la deportazione, offrendo, se necessario, letteralmente un rifugio a casa propria.

«Anna Frank è stata costretta a vivere nascosta proprio per non essere uccisa e noi oggi abbiamo documenti che ci dicono che queste persone rischiano effettivamente la morte», ha spiegato la rabbina Susan Silverman, ideatrice dell’iniziativa organizzata insieme all’Ong Rabbis for Human Rights, (letteralmente Rabbini per i diritti umani), riferendosi alle 80 persone identificate dall’Unhcr, che avevano rischiato la propria vita per raggiungere l’Europa, dopo essere stae trasferite da Israele in altri Paesi africani, nell’ambito di un programma di “partenza volontaria” avviato dal Paese nel 2013. Attraverso questo programma il governo offriva alle persone 3.500 dollari per partire ma poi, secondo l’Unhcr, non era in grado di garantire condizioni di sicurezza adeguate al loro arrivo. «Sentendo di non avere nessun’altra scelta, queste persone hanno attraversato centinaia di chilometri, attraverso il Sud Sudan, il Sudan e la Libia, dopo essere stati trasferiti da Israele», ha dichiarato il portavoce dell’Unhcr, William Spindler.

Anna Frank è stata costretta a vivere nascosta proprio per non essere uccisa e noi oggi abbiamo documenti che ci dicono che queste persone rischiano effettivamente la morte.

Susan Silverman

Secondo l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati, da dicembre 2013 fino a giugno 2017, circa 4mila eritrei e sudanesi sono stati trasferiti in Rwanda e Uganda ma «a causa della segretezza di questo piano e della mancanza di trasparenza rispettivamente alla sua implementazione è stato molto difficile per l’Unhcr seguire e monitorare sistematicamente la situazione delle persone trasferite nei Paesi africani». Nel 2013 Israele aveva anche terminato la costruzione del muro con l’Egitto, pensato proprio per bloccare l’ingresso nel Paese ai migranti.

Circa 130 rabbini hanno partecipato alla prima riunione dell’Anne Frank Home Sanctuary movement, che intende lanciare, insieme al programma di protezione, anche una campagna di sensibilizzazione civile sul tema, attraverso il coinvolgimento di altre associazioni locali e lo sviluppo di diversi eventi e manifestazioni, tra cui l’organizzazione di visite dei richiedenti asilo al Giardino dei Giusti a Yad Vashem, il memoriale dedicato alle persone che si sono battute per la difesa degli esseri umani, contro ogni discriminazione. «Abbiamo un primo ministro che cita il Faraone quando, riferendosi ai richiedenti asilo, dice che "i loro numeri cresceranno". Ricordiamo le parole del Faraone quando annunciava che gli ebrei sarebbero cresciuti e avrebbero superato il popolo egizio», ha dichiarato Silverman. «Le persone hanno rischiato la vita per salvare gli ebrei, e noi oggi, come Paese, stiamo dicendo che non vogliamo nemmeno rischiare la più lieve alterazione demografica?» Il gruppo sta anche organizzando delle proteste negli uffici delle compagnie aeree, che dovrebbero trasportare le persone in altri Paesi.

Silverman ha dichiarato che spera non si debba arrivare a dover nascondere le persone, ma che dare vita ad un progetto del genere può servire da deterrente per il governo. Il piano è ispirato agli "stati e alle città santuario" negli Stati Uniti, che hanno rifiutato di portare avanti la deportazione delle persone senza documenti. La Rabbina ha inoltre portato ad esempio la storia di un richiedente asilo eritreo. «Questo giovane aveva saputo per la prima volta dell’olocausto leggendo Il diario di Anna Frank, in un campo rifugiati in Etiopia. Era così devastato quando è arrivato alla fine del Diario, scoprendo che Anna è morta nel campo di Bergen-Belsen, nel 1945, che ha deciso di tradurre il libro in Tigrinya, una lingua parlata in Eritrea e nel nord dell’Etiopia», ha raccontato Silverman. «Mentre attraversava il deserto continuava a ripetersi, "la gente di Anna Frank mi proteggerà" e quando finalmente è arrivato al confine, è caduto davanti ai soldati israeliani e ha chiesto: “avete mai sentito parlare di Anna Frank”? Voleva restare qui, fino a quando, per lui, non fosse stato sicuro tornare a casa», ha continuato Silverman, «ma noi non ne volevamo proprio sapere». Oggi il ragazzo vive in Canada.

Oltre a diverse Ong, ad essersi uniti alle proteste contro la deportazione dei migranti, anche diversi intellettuali, accademici e decine di sopravvissuti all’Olocausto, che in una lettera al primo ministro: «Sappiamo bene cosa significa essere rifugiati. Non espellete i profughi africani, il loro destino è come il nostro: così li condannate a sofferenze, torture e morte».

L’Assistente dell'Alto Commissario per la Protezione dei rifugiati Volker Türk aveva sottolineato che «come firmatario della Convenzione sui Rifugiati del 1951, Israele ha l’obbligo legale di proteggere i rifugiati e le altre persone che hanno bisogno di protezione». Secondo l’Unhcr nel Paese ci sono al momento circa 27,500 eritrei e 7.800 sudanesi. Da quando le autorità locali hanno preso in mano le procedure di determinazione dello status di rifugiato nel 2009, che prima venivano gestite dall’Unhcr, appena 8 eritrei e 2 sudanesi sono stati riconosciuti come idonei a ricevere lo status di rifugiato.

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