Formazione

L’infanzia è a rischio in Italia? L’antidoto è la scuola

Dialogo con Giulio Cederna, curatore delle 360 pagine dell'Atlante dell'Infanzia a rischio 2017 promosso dall'ong Save the children, monografia sullo stato dell'arte del mondo scolastico oggi. "I problemi ci sono e il più grave è la disparità di opportunità tra bambini poveri e benestanti. Ma si può ripartire, se al centro oltre all'alunno si mette anche il rilancio motivazionale dei docenti, oggi troppo svalutati"

di Daniele Biella

Si chiama “Atlante”, ma è molto di più. E’ una vera e propria monografia sull’infanzia a rischio in Italia, vista attraverso quello che dovrebbe essere il cuore pulsante della società: la scuola. Ben 360 pagine di narrazioni, interviste, fatti, numeri e mirate fotografie (di Riccardo Venturi) che sono in libreria da fine novembre grazie a Treccani e soprattutto sono piene di contenuti per volontà di chi l’Atlante lo ha promosso, l’ong Save the children Italia. Che ha dato libertà d’azione a un curatore d’eccezione, il giornalista esperto di comunicazione sociale Giulio Cederna, 50 anni e padre di due figli, raggiunto da Vita per un’intervista a tutto tondo sulla nuova pubblicazione (qui in versione adattata per il web, molto interattiva: atlante.savethechildren.it), a cui hanno collaborato Diletta Pistono, Elena Scanu e Cristina Gasperin, oltre al fotografo.

In otto anni di edizione è il primo anno in cui al centro c’è la scuola. Perché questa scelta?
Per raccontare l’infanzia a rischio abbiamo sempre lavorato su fili tematici, come per esempio i 150 anni dell’Italia o la preoccupazione verso il futuro nell’epoca dello spread, che per un po’ è rimasto centrale poi è uscito dalle cronache. Ora ci troviamo di fronte a una crisi economica duratura che è aggravata da forti indicatori di povertà proprio nel mondo della scuola: se oggi il 12% dei bambini in Italia vive in povertà assoluta, è tra i banchi che poi si nota maggiormente questa differenza, perché il numero dei bocciati è molto più alto nelle famiglie di reddito basso rispetto a quelle benestanti (vedi dati qui, ndr) e la dispersione aumenta in quelle scuole con basso indice socio-economico e culturale. Fare la fotografia dell’infanzia partendo dalla scuola, quindi, significa andare direttamente al centro del problema.

Quali sono le spie di questo quadro che si delinea come un allarme rosso per l’infanzia italiana?
Lo dicono bene gli ottimi contributi, contenuti nell'Atlante stesso, raccolti da grandi maestri del passato e del presente – Alberto Manzi e Franco Lorenzoni per citarne due – il problema è l’effettiva centralità del bambino. Ci sono ottime direttive del Miur, Ministero dell’Istruzione e ci sono docenti straordinari per impegno e costanza, ma l’assenza di risorse e vari “buchi neri” ovvero scuole non attrezzate a dovere rende negativa l’immagine complessiva. Se ci aggiungiamo la crescente denatalità e il grosso problema della frammentazione delle famiglie, la preoccupazione cresce. Ci sono realtà che funzionano molto bene, sia chiaro, come per esempio i vari progetti di scuole aperte: ma sono a spot, non assunte a modello.

Come se ne esce?
Lavorando con progetti specifici per quei luoghi in cui la potenza liberatrice di cultura del sistema scolastico è debole o assente. Non bisogna lasciare tutto in mano alla progettazione per Pon (Programma operativo nazionale) e i vari bandi, anche perché spesso chi primeggia in tal senso sono quelle scuole in cui c’è un buon ufficio progettazione, quindi già all’avanguardia. Chi è già svantaggiato, rimane sempre di più indietro. Si crea così un grupo di “super scuole” da una parte e di scuole arrancanti dall’altra.

Cosa c’è da cambiare nell’immediato?
In primo luogo c’è da sottolineare che dove si dà voce agli alunni il risultato positivo è garantito: l’abbiamo sperimentato direttamente con le 150 scuole che hanno aderito al progetto di Save the children “Fuoriclasse”. La forza creativa delle idee dei ragazzi, riuniti con gli adulti, ha dato un forte rinnovamento anche alla didattica: sottoposto a valutazione dalla Fondazione Agnelli, ha dimostrato che aprire un dialogo con gli studenti aumenta l'autostima, il coinvolgimento, contribuisce a contrastare la dispersione. Poi c’è da aprire un discorso a parte per quanto riguarda i docenti, oggi loro malgrado in forte difficoltà.

Perché i docenti sono al centro del problema?
Perché il loro lavoro è ampiamente svalutato: sono negli ultimi gradini dei salari e quindi la loro mansione è ritenuta di poco prestigio quando invece sono il cuore pulsante per creare una nuova società. Manca una spinta motivazionale dall’alto che dia al corpo insegnanti un antidoto alla demotivazione diffusa, che blocca anche chi dà tutto se stesso per l’insegnamento. Servirebbe davvero un Piano Marshall per la scuola, per la sua rinascita. Bisognerebbe investire molto di più nella formazione del personale docente, nei processi di valutazione stessa degli insegnanti e per il miglioramento delle scuole, e non solo nella valutazione degli esiti degli studenti. Oggi gli insegnanti italiani non hanno praticamente feedback rispetto al loro operato, l'osservazione in classe ad esempio è una pratica quasi sconosciuta. I docenti devono potere trovare gli stimoli giusti per dare il massimo, ma questo non accade con la giusta frequenza nella scuola italiana di oggi.

Le esperienze positive in atto (a cui è dedicato un intero capitolo dell’Atlante, il sesto) possono dare il passo al cambiamento per il mondo della scuola?
Certo, se implementate con decisione. Faccio un esempio: su tutta la provincia di Como la Fondazione Comasca promuove il progetto "Non uno di meno", che prevede tra le varie cose l'introduzione della figura dei Community Raiser, una persona che stringe i rapporti tra la scuola e l’esterno. Ovvero le famiglie, certo, che così facendo si riavvicinano agli insegnanti aumentando così il rispetto reciproco che negli anni si è deteriorato. Ma non solo loro: il Community Raiser va a sancire patti educativi anche nei luoghi della quotidianità, come gli esercizi commerciali. Per esempio, con un tabaccaio si è fatto un lavoro comune contro il bullismo che ha dato ottimi risultati.

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.