Politica
L’infrastruttura sociale? Senza un volano, somiglia a una rete piena di buchi
Fra sette giorni si potranno presentare le domande per il Reddito di Inclusione, l'innovativa misura nazionale di contrasto alla povertà. Ma l'infrastruttura dei servizi che lo deve sostenere è troppo fragile. Ecco perché in Legge di Bilancio serve un segnale forte, coerente con le attese che il ReI ha suscitato. «Visto che il ReI è un livello essenziale, l'assistente sociale deve essere garantito come il medico di base»
Dal 1° dicembre 2017 chi si trova in condizione di povertà assoluta potrà presentare domanda di accesso al Reddito di Inclusione, che sarà operativo dal 1° gennaio 2018. Ieri a Napoli il ministro Giuliano Poletti, gli assessori regionali alle politiche sociali, sindaci e assessori di città metropolitane e comuni in rappresentanza dell’Anci, hanno dato il via al Tavolo sulla Protezione ed inclusione sociale, previsto dal decreto istitutivo del ReI, che dovrà d’ora in poi elaborare il Piano Sociale nazionale, il Piano per gli interventi e servizi sociali di contrasto alla Povertà e il Piano per la non Autosufficienza. Si va disegnando una “rete” che metta insieme i servizi sociali e gli altri servizi territoriali (lavoro, salute, scuola, casa), nell’ottica di garantire opportunità: per uscire dalla povertà, certo, per attuare il ReI, ma non solo. Dalla qualità di questa «infrastruttura sociale» dipende il futuro non solo dei ReI come strumento innovativo e delle persone che vi faranno riferimento: «Poniamo le basi per la costruzione di una vera e propria infrastruttura sociale, riconoscibile sul territorio, e con la partecipazione più ampia della comunità, a protezione dei suoi componenti più fragili», ha detto ieri il ministro Poletti.
Gli assistenti sociali oggi? 1,3 per Comune
Tutto bene, allora? Non esattamente, perché questa «infrastruttura sociale» – un termine piuttosto recente nel linguaggio della politica, che mette insieme due parole che afferiscono a sfere diverse, le strade, i ponti, le ferrovie e il nostro vivere insieme – al momento somiglia più che altro a una rete piena di buchi. «Se non si guarda al sistema Paese, non si capisce l’urgenza del problema», afferma Gianmario Gazzi, presidente del Consiglio nazionale degli assistenti sociali (Cnoas). «Veniamo da anni in cui non si è investito sui servizi, nel 2013 i fondi sociali erano simbolici. Ora si è costruita un’inversione partendo dai diritti delle persone e in questo senso il ReI è l’innovazione maggiore, ma il ReI arriva dentro una desertificazione dei servizi, dovuta al blocco del turn over, a un’esternalizzazione selvaggia e alla mancanza di risorse». Gli assistenti sociali che esercitano negli enti locali sono 11.052, che per 7.978 Comuni significa una media di 1,3 assistenti sociali per Comune: un numero che comprende gli assistenti sociali in maternità, in malattia, con part time e che tiene dentro tutto, perché questi 1,3 assistenti sociali per Comune si devono occupare di tutti temi e le problematiche che afferiscono ai servizi sociali: tutela minori, Sprar, progetti di vita indipendente, avviamento al lavoro, famiglia, integrazione sociosanitaria… Questo dato impressionante Gazzi lo ha portato nella sua audizione in Commissione Periferie della Camera, il 10 ottobre scorso, riferendo di come in Italia ci siano aree con un assistente sociale ogni 2.500-3mila abitanti e aree con un assistente sociale ogni 9-10mila abitanti. «I dati dicono che alcune zone del Paese sono assolutamente prive di servizio sociale, ci sono Comuni che non hanno assistenti sociali, non solo nelle zone meno sviluppate ma anche nelle periferie delle grandi città, perché non basta dire che c’è un’assistente sociale ogni x abitanti, è evidente che là dove le situazioni sono più complesse servono più persone».
Il ReI arriva dentro una desertificazione dei servizi. I dati dicono che alcune zone del Paese sono assolutamente prive di servizio sociale, ci sono Comuni che non hanno assistenti sociali, non solo nelle zone meno sviluppate ma anche nelle periferie delle grandi città
Gianmario Gazzi, presidente Cnoas
Davanti a numeri del genere è evidente che se l’infrastruttura sociale fosse una rete di sicurezza per trapezisti, questa rete è piena di buchi. Non solo, su di essa sta per arrivare un carico talmente grande che rischia letteralmente di farla crollare. Per questo, a sette giorni dall’avvio della macchina operativa del ReI, è urgente che già con la legge di Bilancio 2018, attualmente in discussione, si trovi una soluzione. «Questa legislatura ha capito che così non si andava avanti e ha avviato una fase di ricostruzione e rammendo della rete, ma bisogna andare fino in fondo», afferma Gazzi. Servono risorse e serve liberare i Comuni dal blocco del turn over, consentendo l’assunzione degli assistenti sociali necessari per garantire l’attuazione del ReI e di tutta quella rete di servizi necessaria a non ridurre il ReI a ciò che non è, un bonus monetario. «Il paradosso è che molti Comuni non possono assumere anche avendo le risorse per farlo. La nostra non è una rivendicazione di categoria, è il riconoscere che serve una professionalità per fare quanto previsto dal ReI». Per dirla semplicemente, senza assistenti sociali il rischio da qui a sette giorni è quello di una presa in giro, perché l’erogazione del sussidio è vincolata all’adesione al progetto, ma se non ci sono abbastanza assistenti sociali (e oggi non ci sono) i progetti arriveranno con tempi lunghissimi oppure saranno più o meno progetti “fotocopia” oppure si tradirà lo spirito del ReI e arriveranno i soldi senza progetto. Un disastro, perché il ReI – così come è stato disegnato – è davvero uno strumento innovativo.
Già con il SIA abbiamo visto triplicare le domande. Questa misura di sostegno prevede la presa in carico complessiva di tutta la famiglia, con la necessità di lavorare in maniera differenziata su ciascuno componente. Serve rafforzare l’infrastruttura dei servizi in maniera stabile, anche perché la qualità viene dalla continuità
Edi Cicchi, Presidente Commissione Welfare e Politiche Sociali di ANCI
I Comuni: la qualità viene dalla continuità
Perugia, guidata da una giunta di centrodestra, conta 168mila abitanti e 25 assistenti sociali, ovvero uno ogni 6.720 abitanti. Ciononostante «ne servirebbero 38 come minimo», afferma l’assessore Edi Cicchi, assessore ai Servizi sociali e alla Famiglia del Comune di Perugia, nonché Presidente della Commissione Welfare e Politiche Sociali di ANCI. Già con la misura ponte del SIA, partita nel settembre 2016, a Perugia hanno visto «triplicare la platea delle persone che hanno chiesto un intervento, sono emersi bisogni da parte di persone che non si erano mai presentate prima ai servizi, ed è chiaro che con il Rei aumenteranno ancora». Oltre ai numeri, spiega l’assessore, il punto è che «questa misura di sostegno prevede la presa in carico complessiva di tutta la famiglia, con la necessità di lavorare in maniera differenziata, personalizzata, su ciascuno componente, dalla scuola agli anziani, in più c’è da mettere in conto un lavoro importante a livello di équipe multiprofessionali. Per questo si chiede di rafforzare l’infrastruttura dei servizi in maniera stabile, anche perché se l’utente si trova a dover raccontare la propria storia sempre daccapo a persone diverse, si perde la possibilità di entrare nell’intimità della famiglia e di dare qualità ai percorsi, la qualità in questo caso è data molto dalla continuità, non si può ogni volta ricominciare».
L'assistente sociale? Visto che il Rei è un livello essenziale, è come il medico di base
In Commissione ci sono emendamenti alla Legge di Bilancio che vanno nella direzione di rafforzare l’infrastruttura sociale. Due in particolare sono stati presentati dagli stessi deputati Pd. Uno aumenta dal 15% al 20% del Fondo contro la Povertà la quota di risorse da destinare obbligatoriamente all’implementazione dei servizi sociali, l’altro prevede che «al fine di garantire sistematicamente l'infrastruttura sociale della legge e i servizi» richiesta dal ReI in quanto livello essenziale, «possono essere effettuate assunzioni di assistenti sociali in deroga ai divieti e alle limitazioni di nuove assunzioni previste dalla legislazione vigente, anche nel caso in cui l'amministrazione interessata sia in situazione di soprannumerarietà ovvero in condizioni strutturalmente deficitarie o in stato di dissesto». Più risorse e più persone, senza necessità di stanziamenti aggiuntivi, perché i soldi sono già. Ma senza le persone – su cui la fase uno del Rei sarà imperniata, dalle valutazioni multidimensionali alla stesura del progetto individuale – tutto l’impianto costruito in questi anni, con competenza e con una grande capacità di collaborazione, rischia di scivolare. Anna Maria Parente, che è stata relatrice del ReI al Senato ed è la prima firmataria dei due emendamenti in questione, la «battaglia per creare l’infrastruttura sociale» è decisa a combatterla: «il Reddito di Inclusione è il primo livello essenziale dei servizi, questa è una novità assoluta, non garantire assistenti sociali oggi è impossibile, è come non garantire il medico di base. Il fatto che il ReI sia il primo livello essenziale dei servizi cambia tutto. I due emendamenti sono entrambi necessari, perché vanno entrambi nella direzione di costruire l’infrastruttura necessaria, è questo che rende il ReI diverso dal reddito di cittadinanza. Inoltre dal 1° luglio il ReI non avrà più categorie di accesso: anche l’universalismo impone il rafforzamento dell’infrastruttura sociale».
Roberto Rossini, portavoce dell'Alleanza contro la Povertà, che tanto si è impegnata sul ReI, afferma che «come abbiamo sempre sottolineato in tutti i nostri documenti, infrastrutturare il welfare locale e sostenere il lavoro degli assistenti sociali è fondamentale, sono due parametri che quali più si riesce a rafforzarli meglio è».
Il Reddito di Inclusione è il primo livello essenziale dei servizi, questa è una novità assoluta, non garantire assistenti sociali oggi è impossibile, è come non garantire il medico di base
Anna Maria Parente, capogruppo Pd in Commissione Lavoro
Lo scippo dei 10 milioni per il Dopo di Noi
Nella medesima direzione va anche l’emendamento che ripristina il Fondo per il Dopo di Noi ai valori previsti dalla legge 112, mettendo una toppa a quell’incredibile riduzione di 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018 e 2019, inspiegabilmente spariti dalle tabelle allegate dalla Legge di Bilancio. «Chiedere che vengano lasciati intatti gli stanziamenti previsti dalla legge 112 è quasi paradossale», afferma Roberto Speziale, presidente di Anffas Onlus, «anche perché l’obiettivo vero sarebbe quello di avere il Fondo per il Dopo di Noi stabilizzato a 90 milioni l’anno. Il Dopo di Noi parte tarato su 90 milioni di euro, che è la dotazione del primo anno, dopodiché scende a 38 e poi a 56 milioni di euro a regime: ma come è possibile pensare che i progetti partiti con la prima annualità vengano interrotti? Sappiamo che nella prima annualità ci sono risorse non utilizzate, previste per le agevolazioni fiscali per trust e assicurazioni, che fin dall’inizio avevamo detto essere sovrastimate. A saldi invariati si potrebbe quantomeno destinare ai progetti individuali quelle risorse non utilizzate».
Photo by Clint Adair on Unsplash
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