Cultura

L’Alternanza? Quelli da convincere sono i docenti

Per Emmanuele Massagli per capire davvero l'Alternanza Scuola-Lavoro bisogna ripartire da cosa essa è: «Non un ponte fra la scuola e il lavoro ma un metodo formativo, per fare meglio scuola». I media non l'hanno capito, molti insegnanti neppure, i ragazzi invece sì. «Per questo ora occorre tantissimo racconto delle esperienze positive, parlando prima di tutto ai docenti»

di Sara De Carli

«I ragazzi hanno ben chiaro una cosa che buona parte dei docenti non ha ancora colto e men che meno i vari Crozza e Gramellini, che hanno raccontato la protesta dei ragazzi montando una caricatura del novecentesco scontro tra capitale e lavoro»: così esordisce Emmanuele Massagli. Quel che i ragazzi hanno capito, anche quelli scesi in piazza per protestare, diversamente dallo storytelling dei media, è che «l’Alternanza Scuola-Lavoro è un metodo e non un mero strumento o momento didattico, come se fosse la gita o l’utilizzo della sala computer. È una conquista di significato non di poco conto». Massagli è Presidente di ADAPT, l’Associazione per gli studi internazionali e comparati sul diritto del lavoro e sulle relazioni industriali fondata dal Marco Biagi nel 2000, professore a contratto di Pedagogia del lavoro e di Welfare della persona presso l’Università degli Studi di Bergamo e giusto un anno fa ha pubblicato “Alternanza formativa e apprendistato in Italia e in Europa (edizioni Studium).

I media hanno fatto un racconto sbagliato dello sciopero degli studenti contro l’Alternanza?
Non so quanti l’abbiano fatto, ma se uno legge le motivazioni dello sciopero, nessuno ha mai contestato l’Alternanza come metodo né lo sfruttamento del lavoro sullo studente, come invece hanno fatto Crozza e Gramellini. Non si può parlare di sfruttamento per un’esperienza di 25 giorni in tre anni e chi afferma che i ragazzi di 17 anni possono sostituire dei lavoratori produttivi non è mai entrato né in un’azienda né in una scuola. I ragazzi criticano i percorsi mal programmati, che ti riducono a essere un esecutore. In quest’ottica la protesta è legittima, ovviamente non nel lancio delle uova, il problema è chi contesta l’Alternanza come non formativa, sostenendo che il lavoro va incontrato il più tardi possibile. La legge 107 ha portato dal giorno alla notte – da luglio a settembre per la scuola equivale a dire dal giorno alla notte – l’esperienza dell’Alternanza da essere qualcosa che riguardava 200mila alunni per 10-11 giorni a qualcosa riguarda 1,5 milioni di studenti per 25-50 giorni: era presumibile che nel breve ci fosse una certa disorganizzazione nei percorsi.

L’Alternanza non è uno strumento, una attività aggiuntiva, un momento formativo… È un metodo formativo. Come momento l’Alternanza non fa problema a nessuno, il punto è affermarla come metodo. Se è un metodo formativo vale a tutti i livelli, anche per la scuola dell’infanzia


Cosa è mancato?
Forse le scuole hanno avuto più fretta di rispettare l’adempimento burocratico che attenzione a sfruttare l’Asl nel suo potenziale pedagogico. Insomma, l’urgenza del “dove li mando” è venuta prima del pensare “a che cosa serve, se li mando lì”. Di sfondo, come dicevo all’inizio, è mancata la comprensione che l’Alternanza non è uno strumento, non è una gita o una attività aggiuntiva, non è un momento formativo ma un metodo formativo. Come momento formativo l’Alternanza non fa problema quasi a nessuno, il punto è affermarla come metodo: se è ridotta a strumento non mi pongo problema di cosa c’entra con il tuo percorso, mentre se è un metodo formativo intanto vale a tutti i livelli, anche per la scuola dell’infanzia, certo non facendola con il tirocinio curricolare ma con l’osservazione della realtà lavorativa e in seconda battuta deve essere vista nell’ottica di un pezzo della tua formazione come persona. A cascata quindi è mancata una progettazione a questo livello. Che non vuol dire che chi fa ragioneria deve per forza fare un’esperienza di ASL in un ufficio contabilità, perché le competenze trasversali si possono maturare ovunque. Il tema però è se l’Alternanza è un metodo formativo, la regia è della scuola e quindi ciò che non va è innanzitutto responsabilità della scuola: ci saranno aziende che ne approfittano, ma se l’Alternanza è come la matematica e la filosofia qualcosa che fa parte del core business della scuola, le esperienze di cattiva Alternanza dicono che la scuola ha perso il controllo del suo core business. Le imprese ad esempio dicono che non riescono a dialogare con la scuola e chiedono un mediatore, qualcuno che co-progetti l’Alternanza al posto loro con le scuole, ad esempio il tutor Anpal o le associazioni datoriali o le agenzia del lavoro, ma se passa questa idea forse si faranno più progetti ma per la scuola è una sconfitta perché i docenti saranno riusciti a delegare fuori quello che è una parte della loro professionalità e della loro vocazione, che è l’apertura al mondo del lavoro.

Se l’Alternanza è un metodo formativo, la regia è della scuola e quindi ciò che non va è innanzitutto responsabilità della scuola: ci saranno aziende che ne approfittano, ma se l’Alternanza è al pari della matematica e della filosofia qualcosa che fa parte del core business della scuola, le esperienze di cattiva Alternanza dicono che la scuola ha perso il controllo del suo core business

Quindi quali sono gli errori che la scuola ha fatto?
Esistono due ordini di motivi per cui c’è errore della scuola. Uno è la fretta dell’adempimento, il fatto che non riesci a progettare bene i percorsi perché hai mille ragazzi. Lì c’è approssimazione, ma non dolo. In altri casi invece c’è dolo, quando il docente fa la scelta culturale di non accettare che il ragazzo vada in azienda, che contesta l’Alternanza, non la cura, dice che non lo riguarda: qui fa un danno ai ragazzi.

Non ha ragione però chi dice, come ha fatto il diciottenne Enrico in una lettera al Corriere della Sera, che i ragazzi hanno il diritto di rifiutarsi di lavare i pavimenti come esperienza formativa, se il tuo sogno è quello di diventare medico?
Questa cosa è molto pericolosa, pensare che ci siano lavori che non hanno potenziale formativo è inaccettabile. E chi per tutta la vita lava piatti e pavimenti cos’è? Un automa? Certo che anche lui impara qualcosa nel fare quel lavoro. O pensiamo che dobbiamo tutti dedicarci all’ozio creativo? Il punto è: perché un ragazzo oggi svilisce il lavoro? Perché non ha mai incontrato qualcuno che lavora con passione. Se tu incontri qualcuno che lavora con passione, fosse anche un falegname e tu sei uno studente del classico, magari non è il tuo lavoro ma capisci che c’è passione.

Pensare che ci siano lavori che non hanno potenziale formativo è inaccettabile. E chi per tutta la vita lava piatti e pavimenti cos’è? Un automa?

Quindi il bilancio di questi primi due anni, per lei qual è?
Gli stessi ragazzi dicono che almeno il 50% degli studenti è soddisfatto dell’esperienza che per il nostro Paese è tantissimo, pensiamo a qual è il grado di soddisfazione della politica ad esempio… Temo che l’operazione mediatica in questo momento di passaggio politico porti a una retromarcia. In realtà è troppo presto per giudicare gli effetti di una norma, l’aver introdotto l’obbligo è un principio culturale forte che ha determinato una baraonda prevedibile, non è strano, non è né giusto né sbagliato, è una conseguenza dei numeri. Dire che è andata male è ideologico. L’obiettivo è che man mano tutte le esperienze diventino buone, se si parte dall’Alternanza come metodo, accadrà.

Che cosa fare ora?
Non toccare la norma e fare tantissima comunicazione delle esperienze di successo: non per convincere gli studenti e famiglie, ma i docenti. Dobbiamo far capire ai docenti che con quel metodo si fa più scuola e meglio scuola. D’altronde non c’è un risultato Pisa Ocse che dica che la nostra scuola, così com’è, funzioni. Molti dicono, anche fra chi sostiene l’Alternanza, che il suo valore è nel fare da ponte con il mondo del lavoro, ma non è questo. Anzi, pensare che l’Alternanza serva per insegnare competenze specialistiche sarebbe un inganno, vista la rapidità con cui cambiano le competenze richieste dal mercato del lavoro. No, l’Alternanza serve per la crescita della persona, per le competenze personali, per le soft skills: autocontrollo, decidere sotto stress… Sono competenze che non puoi trasmettere, puoi solo allenarle e migliorarle, per questo c’è bisogno dell’Alternanza. Sul piano pratico, poi, c’è bisogno di continuità, le imprese si stancano a parlare ogni anno con un referente diverso, perché cambia il docente e devi ricominciare tutto daccapo: oggi la continuità è garantita solo dal dirigente, ma senza continuità l’Alternanza non ha futuro.

In foto, alternanza scuola-lavoro in Loccioni.

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