Non profit

Associazioni sportive, che caos

Mentre è aperto un tavolo di confronto sulla Riforma del terzo settore la Legge di Stabilità introduce nuovi cavilli. Il presidente del Csi Vittorio Bosio: «Vediamo sempre tutelati gli interessi dei giganti del mondo sportivo. Così vengono meno il volontariato e una storia lunga 75 anni»

di Lorenzo Maria Alvaro

Lo sport dilettantistico e sociale attraversa da tempo una fase delicatissima di allarmi e preoccupazioni che arrivano direttamente dalle decine di migliaia di società sportive di base che siamo chiamati a rappresentare. Le stesse sono state in grado di rispondere alla lunga crisi economica grazie all’apporto volontario di centinaia di migliaia di persone che ogni giorno permettono di svolgere una qualunque attività motoria e sportiva a bambini, giovani, adulti ed anziani. Per capire cosa stia succedendo abbiamo chiesto al presidente nazionale del Centro Sportivo Italiano, Vittorio Bosio.



È un grido d’allarme il vostro che non è inedito…
Sì, già in giugno abbiamo avuto modo di richiamare l’attenzione del Governo sul rischio che corrono le Associazioni sportive dilettantistiche e gli Enti di Promozione Sportiva nel non poter beneficiare della qualifica di associazioni di promozione sociale dovendo avere tra i propri affiliati soggetti che non avrebbero condizioni vantaggiose dall’iscrizione nel Registro Unico del Terzo Settore. A tal proposito c’è già stato un incontro con il tavolo tecnico legislativo del Ministro dello Sport che dovrebbe prevedere la partecipazione anche del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali per trovare un’armonizzazione normativa con il D.Lgs. 117/2017 (Codice del Terzo settore) e confermare il riconoscimento delle organizzazioni sportive dilettantistiche come soggetti attivi in questo mondo a partire dal ruolo sociale che svolgono.

Oggi cosa vi spinge a tornare a sottolineare la vostra natura?
L’inserimento nel panorama dei soggetti sportivi, attraverso “il pacchetto sport” nella Legge di Stabilità, della nuova figura di società sportiva dilettantistica lucrativa. Una cosa che da un lato minerebbe alla base il volontariato sportivo che è quello che ha permesso fino ad oggi una crescita capillare nel Paese fino a diventare il 47% dell’intera realtà della promozione sociale italiana, dall’altro produrrebbe un ulteriore effetto spiazzamento rispetto alla recente normativa sul terzo settore.

Insomma regna il caos?
Negli ultimi giorni assistiamo anche a forme di “schizofrenia decisionale”: da un lato la Corte di Giustizia dell’Unione Europea che definisce che il bridge non possa essere ritenuto attività sportiva, mentre dall’altro, il Cio, il Comitato Olimpico Internazionale, che afferma che i videogiochi competitivi possono essere considerati un’attività sportiva e che i giocatori che si preparano e si allenano con intensità possono essere paragonati a quelli delle discipline tradizionali e quindi poter entrare a far parte delle stesse attività olimpiche. Il 1° di gennaio 2018, inoltre, avrà efficacia la delibera del Coni che esclude tutta una serie di attività sportive dichiarandole non ammissibili per l’iscrizione al Registro del Comitato Olimpico e come tali non più considerate meritevoli di pubblico interesse e, di conseguenza, neppure destinatarie della fiscalità di vantaggio; di contro, pochi giorni fa, il presidente del Consiglio Gentiloni ha annunciato che lavorerà per inserire lo yoga nelle ore di educazione fisica a scuola. Tutto questo mentre l’Istat nell’ultima indagine sull’attività sportiva 2015 in Italia censisce per la prima volta una categoria di persone attive considerandole di diritto come facenti parte della grande galassia di coloro che svolgono un’attività motoria legata al benessere. Senza dimenticare la irrisolta questione del Decreto Balduzzi relativa alla tutela sanitaria per l’attività ludico motoria, che crea disparità di trattamento tra associazioni per il solo fatto di far parte o meno dell’ordinamento sportivo.

Che fare a questo punto?
Secondo noi c’è materia sufficiente per chiedere al Governo, al Parlamento e al Coni di fermarsi e di aprire una stagione, come è stato fatto per altri settori, per una vera e propria riforma di sistema dello sport italiano, auspicata ancora una volta non solo da noi ma dallo stesso presidente del Coni Giovanni Malagò in occasione dell’ultimo Consiglio Nazionale. Solo così si può immaginare di risolvere problemi che vanno misurati sul campo. Abbiamo la sensazione che ci siano pronte alcune decisioni che non ci aiuteranno perché che le prende non fa i conti con la concretezza della realtà né con la nostra storia di oltre 75 anni. Abbiamo la necessità, non di essere sostenuti, ma di essere messi nelle condizioni di poter lavorare per il bene della comunità sportiva.


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