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Il valore della parità. Rapporto 2017 sulla scuola cattolica

Il Rapporto di quest’anno del Centro Studi per la Scuola Cattolica si intitola “Il valore della parità”. Si sente spesso ripetere che l’esistenza delle scuole paritarie costituisce un grosso risparmio per lo Stato, poiché si tratta di circa un milione di alunni che assolvono regolarmente i loro obblighi scolastici senza gravare che in minima parte sulle casse dello Stato, ma in gioco è anzitutto il diritto incomprimibile dei genitori a scegliere l’educazione scolastica più adatta per i propri figli

di Nunzio Galantino

Il Rapporto di quest’anno del Centro Studi per la Scuola Cattolica reca un titolo sul quale vale la pena soffermarsi un attimo con attenzione: Il valore della parità. Il titolo gioca intenzionalmente sull’ambiguità del concetto di valore, interpretabile in termini materiali ed economici oppure in termini più ideali. Credo che sia giusto tenere insieme i due significati del termine, perché non si può ridurre tutto a una questione di soldi, né si può fare solo un discorso teorico sui benefici del pluralismo educativo senza fare i conti con i costi di un tale sistema. Il Rapporto ci consente di tenere uniti i due aspetti, evitando letture unilaterali o parziali. E mi sembra che tra i due versanti del problema debba essere la dimensione ideale a prevalere su quella materiale.

Si sente spesso ripetere che l’esistenza delle scuole paritarie costituisce un grosso risparmio per lo Stato, poiché si tratta di circa un milione di alunni che assolvono regolarmente i loro obblighi scolastici senza gravare che in minima parte sulle casse dello Stato. Ma non è questa l’impostazione che intendo dare alla questione, proprio perché credo che il significato ideale del pluralismo educativo debba prevalere sulla convenienza economica e sarebbe ben triste se alla fine lo Stato dovesse convincersi a sostenere le scuole paritarie solo perché ci guadagna. In realtà sono in gioco valori molto più importanti e fondamentali.

È in gioco anzitutto il diritto incomprimibile dei genitori a scegliere l’educazione scolastica più adatta per i propri figli. Lo ha ricordato anche Papa Francesco nell’Amoris Laetitia, al n. 84, che vale la pena rileggere. Dice il Papa: «Mi sembra molto importante ricordare che l’educazione integrale dei figli è “dovere gravissimo” e allo stesso tempo “diritto primario” dei genitori. Non si tratta solamente di un’incombenza o di un peso, ma anche di un diritto essenziale e insostituibile che sono chiamati a difendere e che nessuno dovrebbe pretendere di togliere loro. Lo Stato offre un servizio educativo in maniera sussidiaria, accompagnando la funzione non delegabile dei genitori, che hanno il diritto di poter scegliere con libertà il tipo di educazione – accessibile e di qualità – che intendono dare ai figli secondo le proprie convinzioni. La scuola non sostituisce i genitori bensì è ad essi complementare. Questo è un principio basilare: “Qualsiasi altro collaboratore nel processo educativo deve agire in nome dei genitori, con il loro consenso e, in una certa misura, anche su loro incarico”».

Il punto di partenza deve essere la responsabilità educativa dei genitori e la libertà che deve essere loro assicurata di poter scegliere la scuola dei figli senza condizionamenti di sorta: economici, pratici, giuridici. La libertà deve essere effettiva o non è libertà.

Il Rapporto ci mostra come i documenti internazionali condannino ogni forma di monopolio educativo statale. L’educazione è un diritto primario e deve essere garantita nella sua piena libertà. Per l’Italia la parità scolastica dovrebbe offrire questa garanzia di libertà ed infatti essa è innanzitutto un principio costituzionale, contenuto nel ben noto art. 33 della nostra Costituzione, del quale si tende a ricordare solo la clausola “senza oneri per lo stato”, anziché il principio di fondo, cioè il diritto di enti e privati di istituire scuole e istituti di educazione.

Scuola pubblica statale e Scuola pubblica paritaria: né avversari né concorrenti

La scuola statale non è certo un avversario, anzi le va riconosciuto il merito di aver alfabetizzato gli italiani negli ultimi decenni e di essere oggi impegnata a garantire a tutti gli alunni una formazione di qualità. Non è quindi in termini conflittuali che desidero impostare il rapporto e il confronto tra scuola statale e scuola paritaria ma, come si afferma nella presentazione del Rapporto, «l’educazione non è un servizio qualsiasi che può essere assicurato da qualunque gestore perché il suo contenuto è indifferente. […] la scuola non è una qualsiasi agenzia di servizi ma il principale collaboratore della famiglia nell’educazione dei figli».

Spetta indubbiamente alla Repubblica, secondo la saggia formula dell’art. 33, dettare le norme generali sull’istruzione e istituire scuole statali di ogni ordine e grado per assicurare il servizio su tutto il territorio nazionale, fissando un modello o uno standard minimo di offerta formativa. Ma deve essere assicurata a tutti la possibilità di promuovere scuole che, nel rispetto delle regole fissate dallo Stato, possano soddisfare una più ricca e articolata domanda educativa. La libertà di insegnamento con cui si apre l’art. 33 («L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento») non è solo la libertà didattica e metodologica degli insegnanti ma anche e soprattutto la libertà garantita dall’intero sistema di accostare le arti e le scienze con una pluralità di approcci metodologici e valoriali, ovviamente nel rispetto della natura culturale, epistemologica e formativa degli oggetti dell’insegnamento. Ridurre tutta la libertà di insegnamento e di istituire scuole alla sola condizione che non si creino oneri per lo Stato è una lettura miope e restrittiva di un problema che merita un respiro ben più ampio e attento.

La riforma scolastica: un’incompiuta?

In appendice al Rapporto è stato pubblicato anche un documento approvato nei mesi scorsi dal Consiglio Nazionale della Scuola Cattolica, dal titolo Autonomia, parità e libertà di scelta educativa. Il Consiglio Nazionale della Scuola Cattolica è l’organismo che riunisce tutte le sigle operanti nel mondo della scuola cattolica ed ha raggiunto una posizione unitaria sulla situazione del sistema italiano di istruzione e formazione che rimane incompiuto sotto diversi aspetti:

  • è incompiuta l’autonomia, che ancora risulta sotto una forte tutela dell’amministrazione statale che fissa i confini per l’esercizio dell’autonomia stessa e fornisce solo a una parte del sistema nazionale gli strumenti per realizzarla;
  • è incompiuta la parità, che a 17 anni dalla legge istitutiva è ancora solo una dichiarazione nominale: una parità giuridica non accompagnata da una parità economica è una parità formale e non sostanziale;
  • è incompiuta la libertà di scelta educativa, che troviamo in tutti i documenti internazionali e nella Costituzione italiana, ma che risulta essere solo un enunciato teorico non accompagnato da strumenti concreti che rendano effettivo questo diritto.

Lo stesso documento del Consiglio Nazionale riconosce però che negli ultimi anni sono stati fatti alcuni passi per rendere questi principi sempre meno astratti. C’è ancora molta strada da fare e il Consiglio Nazionale passa in rassegna alcune proposte che, complementari tra loro, possono contribuire a realizzare un sistema davvero “nazionale” ed una parità davvero equa.

Non entro nel merito degli aspetti tecnici delle diverse proposte (dal costo standard alle convenzioni, dalle misure fiscali a quelle per il diritto allo studio, ecc.). Mi limito a ricordare che all’incompiutezza del sistema contribuisce anche la condizione di emarginazione della formazione professionale, ulteriore possibilità di scelta educativa che viene di fatto negata in tutte quelle Regioni che hanno deciso di non attivare i relativi percorsi scaricandoli sull’istruzione professionale di Stato. Eppure tutti i dati mostrano quanto la formazione professionale sia in grado di intercettare positivamente le attese di tanti giovani, consentendo loro di inserirsi nel mondo del lavoro molto più rapidamente di quanto riesca a fare la scuola, anche grazie a una metodologia attiva e laboratoriale che riesce a coinvolgere di più soprattutto i cosiddetti ragazzi “difficili” che la scuola si lascia scappare. Oltre ad essere una mancata occasione di libertà di scelta educativa, dunque, la condizione attuale della formazione professionale in Italia è anche una strategia sbagliata perché tende a tagliare proprio i rami più fruttiferi del sistema, che non a caso si chiama “di istruzione e formazione”.

Sto parlando dell’intero sistema nazionale – inteso nella sua accezione completa, composto da scuole statali e scuole paritarie e da scuole e centri di formazione professionale – perché come Chiesa abbiamo a cuore non solo le scuole cattoliche ma tutte le scuole. Abbiamo a cuore tutti gli alunni e auspichiamo per ognuno di essi un’offerta formativa all’altezza delle attese, in nome dell’interesse personale di ognuno e per il bene di tutto il Paese. Perché tutti gli alunni, di scuola statale e non statale, una volta usciti dalla scuola e entrati nel mondo del lavoro, avranno la responsabilità di mandare avanti insieme il nostro Paese.

Da parte nostra, ovviamente, c’è una particolare attenzione alla scuola cattolica perché avvertiamo la responsabilità di assicurare alle future generazioni un’educazione di qualità. Con un certo orgoglio possiamo notare come tante soluzioni adottate inizialmente a titolo sperimentale nelle nostre scuole sono poi transitate nel sistema statale ed sono potute tornare utili a un maggior numero di ragazzi. Mi ha fatto piacere leggere nel Rapporto che alcuni studiosi americani parlano di un “effetto scuola cattolica” come fattore di efficacia del servizio educativo: è in certo modo intuitivo che una scuola che possa contare su una motivazione ideale aggiuntiva nei propri docenti possa poi ottenere migliori risultati anche nella formazione dei propri allievi, ma vedere questa intuizione empirica suffragata da autorevoli ricerche scientifiche è senz’altro motivo di soddisfazione.

Come Chiesa teniamo molto all’identità ecclesiale delle nostre scuole, che sono scelte proprio per la qualità del servizio che offrono e per la bontà dell’ambiente di apprendimento. In quanto scuole paritarie, anche le scuole cattoliche partecipano alle rilevazioni ultimamente previste per la valutazione della qualità. Da un certo punto di vista, la continuità nella scelta delle scuole cattoliche da parte delle famiglie, pur in condizioni economiche sfavorevoli, è la miglior prova della qualità del loro servizio. Ritengo dunque di dover difendere questa libertà dei genitori. Se non potesse essere esercitata, tutto il sistema (e il nostro Paese) sarebbe meno libero.

* Segretario generale della CEI

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