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Catalogna, è il giorno più lungo

È iniziato lo sciopero generale indetto dagli indipendentisti della regione dopo il risultato del referendum e le violenze ai seggi. Il premier Rajoy ha lasciato i 10mila agenti mandati per la tornata elettorale abusiva sul territorio

di Lorenzo Maria Alvaro

Le strade di tutta la Catalogna sono bloccate. Sia quelle interne che le autostrade, anche quelle verso la Francia. Così è iniziato quello che si prospetta il girono più lungo della Spagna. Sul piatto ci sono lo sciopero generale proclamato dai sindacati spagnoli Cgt, Iac, Intersindical Csc e Cos. Le sigle sindacali hanno spiegato che l'invito è rivolto non solo ai lavoratori, ma a tutta la cittadinanza e all'appello hanno risposto tutte le altre sigle sindacali della regione, che hanno deciso di aderire per mostrare un'immagine di unità di fronte all'aggressione subita domenica dai catalani durante il referendum.

Alcune scuole non hanno aperto, il trasporto pubblico è ridotto al minimo, con lunghe attese nella metropolitana di Barcellona, fermo il porto di Barcellona, le università pubbliche, i trasporti, il Museo d'arte contemporanea. Resterà chiusa anche la Sagrada Familia. Anche il Club del Barcellona, in tutte le sue formazioni – quella professionistica e le giovanili – ha deciso di scioperare: nessuno dei suoi tesserati si allenerà nella giornata odierna.

Durante la giornata andrà in scena anche la grande manifestazione che popolerà le vie di Barcellona. Da segnalare anche il fatto che i 10mila agenti della Guardia Civil che sono intervenuti per bloccare il referendum sono stati lasciati sul territorio da Mariano Rajoy dopo le violenze ai seggi di domenica.

Ma non è tutto perché molti analisti si attendono la proclamazione dell’indipendenza da parte dei leader separatisti.

Gli stessi analisti sono convinti che Madrid continuerà con la linea dura. Anche fino ad applicare l'art 155 della Costituzione. Un articolo che testualmente stabilisce:

(I) Ove la Comunità Autonoma non ottemperi agli obblighi imposti dalla Costituzione o dalle altre leggi, o si comporti in modo da attentare gravemente agli interessi generali della Spagna, il Governo, previa richiesta al Presidente della Comunità Autonoma e, ove questa sia disattesa con l’approvazione della maggioranza assoluta del Senato, potrà prendere le misure necessarie per obbligarla all’adempimento forzato di tali obblighi o per la protezione di detti interessi.

(II) Il Governo potrà dare istruzioni a tutte le Autorità delle Comunità Autonome per l’esecuzione delle misure previste nel comma precedente.



L'applicazione di questo articolo nel concreto significherebbe il ritiro progressivo dei poteri dei membri del governo della Catalogna, la sostituzione dello stesso governo con un rappresentante nominato da Madrid e la convocazione di nuove elezioni. Scontro frontale e nessuna negoziazione possibile insomma.

Tutti questi sono gli ingredienti di un cocktail che, come spiegava ieri Moni Ovadia, rischia di diventare esplosivo.

Mentre Il presidente catalano Carles Puigdemont chiede aiuto all’Unione, spiegando che è «il momento di una mediazione internazionale» con Madrid e chiedendo proprio all'Ue di «smettere di guardare dall'altra parte», il silenzio imbarazzato e imbarazzante europeo è stato spezzato da una flebile nota di un portavoce della Commissione Europea che ha sottolineato come «la violenza non può essere mai una risposta in democrazia». L’Ue però ha voluto rimarcare anche il sostegno al premier «abbiamo fiducia in Rajoy». Un colpo al cerchio e uno alla botte che dimostra ancora una volta l'ininfluenza della isituzione europea.

Un altro silenzio assordante arriva dalla corona spagnola. Il re Filippo VI infatti non ha commentato in alcun modo le vicende che stanno scuotendo il Paese.


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