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Moni Ovadia: «Sulla Catalogna si gioca il futuro dell’Europa»

La scelta di Mariano Rajoy di adottare la linea dura e schierare la polizia ha precipitato la situazione e dato vigore alle istanze scissioniste. Nelle prossime ore, oltre alla grande manifestazione e allo sciopero indetti per domani, si attende uno strappo dei leader indipendentisti. «Quello che risulta evidente è l’inesistenza dell’Unione», sottolinea l’intellettuale. L’intervista

di Lorenzo Maria Alvaro

Secondo fonti del governo catalano 2,26 milioni di persone – su oltre 5,3 milioni di elettori – hanno partecipato alla consultazione referendaria. 2,02 milioni hanno risposto “sì” alla domanda: “Vuoi che la catalogna diventi uno Stato indipendente sotto forma di Repubblica?”. 176.000, invece, il totale di chi ha votato “no”. Numeri che anche a fronte della chiusura di 319 seggi da parte della polizia nazionale, rendono ancora più lunare il discorso del premier spagnolo Mariano Rajoy il quel ha parlato di «messa in scena», sostenendo che «non c'è stato un referendum per l'auto determinazione della Catalogna». Per capire quali sono gli scenari che si aprono abbiamo chiesto a Moni Ovadia.




La cosa più evidente, rispetto agli avvenimenti di ieri, è la scarsa strategia nella scelta di mandare la polizia a cercare di impedire il voto da parte del governo centrale spagnolo…
Sì, senza dubbio. Basti pensare alla contraddizione in termini: Mariano Rajoy sostiene che non sia successo nulla ma nello stesso tempo manda la Guardia Civil. Parla di messa in scena e nello stesso tempo di azione del Governo per salvaguardare la Costituzione. Politicamente un disastro.

Oggi Aldo Cazzullo nel commentare la situaizone parla di uno scontro tra due “torti”. A ben vedere però sia Madrid, volendo far rispettare la Costituzione, che la Catalogna, volendo far valere il diritto all’autodeterminazione dei popoli, hanno una quota di ragione…
Partiamo da una precisazionio. Per me il concetto di popolo, come è riconosciuto universalmente, è una cazzata pazzesca. È indubbio però che i Catalani abbiano una propria specificità. Hanno una lingua comune e propria, hanno tradizioni ed espressioni culturali specifiche. Quindi stando alla definizione di popolo condivisa possono giustamente appellarsi alla carta dei diritti dei popoli che parla di diritto all’autodeterminazione.

E Madrid deve giustamente preservare la Costituzione spagnola…
Si, certamente. È giusto far valere e difendere la costituzione. Ma il governo, nel farlo, si è dimostrato poco intelligente e lungimirante.

Per il fatto di aver mandato le forze dell’ordine?
Non solo. Il problema sta anche nelle dimensioni del fenomeno. Si ha a che fare con un vasto movimento che chiede indipendenza. Di fronte ad una cosa del genere devi lavorare in termini politici. Per capirci: per reprimere un movimento di questa portata non puoi pensare di mandare la polizia. È, come si è visto, inutile. Se veramente Rajoy avesse voluto soffocare le istanze Catalane avrebbe dovuto mandare l’esercito. Basti pensare che i Mossos (la polizia regionale ndr) si sono rifiutati di obbedire agli ordini. È immaginabile che Madrid mandi l’es4rcito a Barcellona? Dunque l’unica steada possibile è quella del dialogo. Però, se mi è permesso, credo che il vero tema non sia in Spagna.

In che senso?
Il vero tema è l’Europa. O meglio: è inutile continuare a fare finta di averne una. Noi non abbiamo un’Europa. È un’anatra zoppa sin dalla sua formazione. È un’istituzione senza autorevolezza né identità precise. La dimostrazione della debolezza europea l’abbiamo già vista nella guerra della ex Jugoslavia. Un conflitto che andava fermato e su cui invece ci fu un silenzio assordante e, come è diventata normale oggi, la vittoria degli egoismi dei singoli Paesi rispetto al bene comune.

Parla di una guerra così sanguinosa perché immagina che in Spagna la situazione possa degenerare così tanto?
No. Però il fatto catalano può innescare una reazione a catena che coinvolgerà altre realtà. Penso ad esempio ai Baschi. C’è già stata la Brexit. Si va verso una frammentazione sempre più acuta. L’Europa di fronte a tutto questo non sta facendo nulla. Per questo parlo della ex Jugoslavia. Perché se Rajoy non riesce a gestire la situazione, e niente lascia immaginare che ci riesca, il rischio è che esplodano più focolai simili a questo. E allora tutto può succedere. Ricordo che il primo Paese a volersi staccare dalla Jugoslavia fu la Slovenia. Il governo centrale mandò i tank. I manifestanti salirono su uno dei carri armati, tirarono fuori il carrista, un giovane di 19/20 anni, e o linciarono. Fu il primo sangue versato da cui esplose la guerra nei Balcani. È sempre così: sangue chiama sangue.

Ma l’Europa oggi può prendere posizione?
Dovrebbe. L’unica cosa che abbiamo in comune nella zona Ue Europa è l’erasmus. A questo si aggiunge la burocrazia. Ci vuole qualcosa di più. Anche solo una squadra di calcio europea, e lo dico io che odio il calcio, potrebbe aiutare. O l’Europa entra nel cuore della gente o non avrà mai autorevolezza. E sempre di più le istanze territoriali e individualiste saranno forti e determinate.

In attesa dell’Europa a dover dirimere la questione è Rajoy…
Si. Il premier deve capire che l’unica via è che Madrid tenda la mano ai Catalani. Deve far loro capire che è anche nel loro interesse che venga rispettata la Costituzione. Guai a chi straccia una Carta Costituente. Deve sapere che un girono potrebbe capitare alla loro. Rajoy deve lasciar loro fare lo sciopero e la manifestazione liberamente. E poi aprire un tavolo, all’interno dei limiti della legge, per cercare insieme una soluzione. Qualunque altra soluzione apre a rischi inimmaginabili.

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