Welfare

Riforma Terzo Settore, Residenze socio sanitarie al bivio

Con il nuovo codice gli enti del terzo settore che svolgono attività socio sanitaria, come le RSA, con l'addio alla qualifica di Onlus potranno optare per varie alternative ottimizzando il carico fiscale in funzione delle modalità di svolgimento dell’attività istituzionale. Come spiega in questo intervento il consulente del Governo Gabriele Sepio

di Gabriele Sepio

Nell’ottica di rendere più chiari i confini tra attività commerciale e attività non profit il codice del Terzo settore ridisegna i parametri su cui commisurare il carattere non commerciale dell’attività svolta. Spetterà agli enti verificare le proprie caratteristiche e il modello operativo al fine di selezionare la soluzione fiscalmente più conveniente tra quelle messe a disposizione dalla riforma.

È possibile sul punto fare un esempio prendendo spunto dal trattamento fiscale dei proventi percepiti nella gestione di una RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali). Secondo la disciplina attuale, in linea di massima se le RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali) sono gestite da una ONLUS (art. 10, d.lgs. n. 460 del 1997) sarà possibile individuare una attività principale decommercializzata ai fini dell’IRES (es. attività svolta nei confronti di anziani qualificabili come “svantaggiati”) oppure “attività direttamente connesse” alle precedenti (ad es. attività delle case di cura nei confronti di ospiti non in condizioni di svantaggio, cfr. circ. 48/E/2004) che non concorrono alla formazione del reddito imponibile se svolte nei limiti del 66 per cento rispetto alle spese complessive dell’ente.


Con il codice del terzo settore gli enti che svolgono attività socio sanitaria, come le RSA, potranno optare per varie alternative ottimizzando il carico fiscale in funzione delle modalità di svolgimento dell’attività istituzionale. In primo luogo, tenendo conto dei requisiti richiesti all’art. 79 del CTS occorrerà verificare se i costi (sia diretti che indiretti) relativi alla gestione del servizio (considerando sia le attività istituzionali principali che secondarie) superano i corrispettivi ricevuti dall’utenza, considerato anche l’eventuale contributo erogato dalla pubblica amministrazione (nel calcolo della prevalenza non vanno considerati i ticket sanitari). In caso di esito positivo l’ente potrà considerarsi, a tutti gli effetti, come “non commerciale” e potrà accedere ai regimi forfetari agevolati per la tassazione dei relativi proventi. Laddove l’ente dovesse qualificarsi come commerciale mantiene, a differenza della attuale legislazione, il proprio status di “ente del terzo settore” con assoggettamento a tassazione dei proventi in misura ordinaria (gli effetti fiscali sotto questo profilo potrebbero risultare irrilevanti laddove gli esercizi dovessero risultare in perdita).

Nel caso in cui il requisito della prevalenza richiesto all’art. 79 non dovesse essere soddisfatto o l’ente ritenesse di voler fruire comunque di un diverso trattamento, potrà accedere al regime dell’impresa sociale che, con la riforma del terzo settore, trova per la prima volta una autonoma dignità sotto il profilo fiscale. In questo modo l’ente si vedrà detassare tutti gli utili conseguiti se reinvestiti entro due anni nelle finalità sociali perseguite, senza alcun obbligo di svolgere alcun calcolo di prevalenza in merito alla natura dell’attività svolta.

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