Cultura
Riforma Terzo settore? «È una grande opportunità, ma occorre conoscerla»
Dialogo con Antonio Fici, research fellow di Euricse e consulente del Governo: «Il riconoscimento sociale, economico e istituzionale che questa riforma dà al Terzo settore sono fortemente ancorati all’impianto giuridico. Il Terzo settore invece fino ad oggi è stato molto concentrato su se stesso, vivendo in una sorta di “stato di nascita” che da un certo punto di vista prescindeva dalle norme. Ora si apre una nuova stagione».
di Redazione
Per il Terzo settore inizia una nuova epoca. L’approvazione dei quattro decreti legislativi che danno corpo alla delega per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e del servizio civile universale segnano «me lo faccia dire un po’ brutalmente, la fine dell’era romantica e poetica di un non profit a cui bastava “fare” per sentirsi bello e buono. Il nuovo corpus normativo finalmente “normalizza” il Terzo settore. E credo che questo passaggio rappresenti una grandissima opportunità oltre che responsabilità». A parlare in questo dialogo con Vita.it è il professore Antonio Fici, docente di Diritto privato presso l’Università degli Studi del Molise, componente del Comitato scientifico del nuovo Osservatorio sul Terzo settore di Cattolica Assicurazioni e senior research fellow di Euricse (per cui è responsabile scientifico del percorso di formazione “La riforma del Terzo settore e dell’impresa sociale” che inaugurerà le lezioni a fine settembre a Milano, in allegato il depliant informativo). Fici, nella sua veste di consulente del Ministero del lavoro per la riforma del Terzo settore, è una anche delle firme del numero del magazine di settembre in distribuzione da oggi intitolato “La grande riforma dalla A alla Z”).
Grazie al codice del Terzo settore e al Registro ci sono regole chiare. Già solo questo aspetto credo sia di straordinario impulso per l’intero settore, riducendo anche i costi organizzativi dei singoli enti
Professore, perché questa riforma segna una svolta storica?
Finora il terzo settore era un comparto “senza un diritto proprio”, e perciò non aveva la medesima dignità legislativa che da tempo hanno le società di capitali o le cooperative. Ora non è più così. In primo luogo si definisce chi è dentro il perimetro del Terzo settore e chi no. Un passaggio fondamentale nei rapporti col fisco, con la pubblica amministrazione, ma anche fra gli stessi enti o nelle relazioni con i donatori. Grazie al codice del Terzo settore e al Registro ci sono regole chiare. Già solo questo aspetto credo sia di straordinario impulso per l’intero settore, riducendo anche i costi organizzativi dei singoli enti.
Una ricerca qualitativa di Swg di cui diamo conto sul numero di settembre del magazine evidenzia da parte degli enti del Terzo settore una sostanziale approvazione dell’impianto generale, con qualche nota di diffidenza da parte del volontariato che in alcuni casi si sente un po’ troppo “compresso” della normativa sull’impresa sociale. Si sente di rincuorare questa parte importante della società civile italiana?
L’articolo 4 del codice del Terzo settore che definisce gli enti mette le organizzazioni di volontariato al primo posto. Non è una scelta casuale, perché in effetti i maggiori benefici ed incentivi sono rivolti alle odv, in particolare a quelle più piccole, e non è affatto vero che tutti gli enti, grandi e piccoli, sono messi sullo stesso piano sotto il profilo degli oneri organizzativi. Le faccio due esempi concreti: sotto i 100mila euro di entrate non vige l’obbligo di pubblicare on line i compensi corrisposti. Un tetto, dico io, che se c’è la volontà politica si può peraltro facilmente elevare. Parimenti, l’obbligo per l’ente di nominare un organo di controllo interno o un revisore legale dei conti scatta solo superate soglie dimensionali abbastanza elevate. In linea generale credo perciò che questa nuova disciplina prima di essere criticata, debba essere letta ed esaminata per bene. Soprattutto perché apre orizzonti larghi, dentro una cornice definita e finalmente riconosciuta.
Sta dicendo che gli enti dovrebbero dotarsi di uffici legislativi o di qualcosa di simile?
Magari non tutti, magari su questo fronte un ruolo importante potranno giocarlo le reti di secondo e terzo livello. Ma la formazione e la conoscenza giuridica della propria legge di riferimento, del proprio nuovo sottosistema normativo, diventano imprescindibili. Il riconoscimento sociale, economico e istituzionale che questa riforma dà al Terzo settore sono fortemente ancorati all’impianto giuridico. Il Terzo settore invece fino ad oggi è stato molto concentrato su se stesso, vivendo in una sorta di “stato di nascita” che da un certo punto di vista prescindeva dalle norme. Per dirlo in una battuta: il Terzo settore è diventato grande, e, tra le altre cose, deve anche occuparsi della sua dimensione giuridica. Il legislatore, finalmente, se ne è accorto. Adesso incomincia un’altra sfida. In conclusione però mi permetta di fare un’osservazione su Vita.
Prego…
In questo frangente la vostra testata svolge un ruolo decisivo. Vita, il magazine, il sito e tutto ciò che circuita attorno, costituiscono un formidabile strumento di raccordo fra chi, come noi giuristi o come gli economisti, si occupa di studiare, analizzare, normare il settore e il mondo degli operatori, il mondo di chi questo settore lo incarna giorno dopo giorno. Perdere la vostra voce sarebbe davvero dannoso per tutto il Terzo settore.
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