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L’ong Moas lascia il Mediterraneo per assistere i Rohingya
"Non vogliamo diventare parte di un meccanismo in cui, mentre si fa assistenza e soccorso in mare, non ci sia la garanzia di accoglienza in porti e luoghi sicuri", sottolinea l'organizzazione non governativa nel motivare il proprio cambio d'azione, volto ora "a portare assistenza alla minoranza perseguitata nel Sud-Est asiatico"
di Redazione
"Oggi non è chiaro cosa succeda in Libia ai danni delle persone più vulnerabili i cui diritti andrebbero salvaguardati in ottemperanza al Diritto internazionale e per difendere il principio di umanità. Moas non vuole diventare parte di un meccanismo in cui, mentre si fa assistenza e soccorso in mare, non ci sia la garanzia di accoglienza in porti e luoghi sicuri. In questo contesto, nel rispetto dei nostri principi fondativi, sospendiamo le operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo". E' perentoria la nota con cui, nel primo pomeriggio di lunedì 4 settembre, l'ong maltese, la prima a entrare in azione nel 2014, dopo la chiusura dell'Operazione Mare nostrum, annuncia di recarsi altrove per contiuare la propria missione fondativa di ridurre le tragiche perdite di vite umane lungo la rotta fatale delle migrazioni".
Fondata nello stesso 2014 dai coniugi Christopher e Regina Catrambone, l'ong, in coordinamento con la Guardia costiera italiana e l'Agenzia europea per il controllo delle frontiere Frontex e le altre ong coinvolte nei salvataggi, annovera il salvataggio, dal 30 agosto di quell'anno "di almeno 40mila persone tra bambini, donne e uomini vittime di violenza, povertà e persecuzione". Il suo impegno umanitario è stato riconosciuto di recente dall'Onu e da Papa Francesco, tra gli altri. "Al centro della missione Moas ci sono sempre state le persone: persone che sognano una vita migliore al sicuro e persone che le assistono con assoluta dedizione per non farle morire in mare", scrive inoltre Regina Catrambone nella lettera ai sostenitori dell'ong.
"Al momento sono troppe le domande senza risposta e i dubbi in merito al destino di chi è intrappolato o viene riportato in Libia. Le terribili testimonianze di chi sopravvive raccontano un inferno di abusi, violenze, torture, rapimenti ed estorsioni".
Il primo aprile 2017 Moas ha lanciato la sua missione nel Mediterraneo centrale, portando in salvo 2mila persone in un solo mese. "Nel prosieguo della missione, l’equipaggio ha affrontato ogni giorno sfide più impegnative, inclusi il sovraffollamento della nave e il deterioramento delle condizioni psico-fisiche dei migranti assistiti. Ciononostante, Moas ha assistito 7,826 persone". Nel frattempo, sono arrivate prima il tourbillon mediatico contro le ong in mare poi le azioni governative e, in ultimo, le indagini giudiziarie che hanno avuto come conseguenza il radicale cambiamento dello scenario dei salvataggi in mare: "abbiamo studiato e monitorato il complesso scenario del Mediterraneo centrale, sottoscrivendo il Codice di Condotta come atto di fiducia verso il Governo Italiano", spiega Moas, "ma in seguito ai recenti sviluppi, spostiamo strategicamente le nostre operazioni nel Sud-Est asiatico, rimanendo in ogni caso determinata a proseguire la sua azione umanitaria laddove sia necessario".
Perché la scelta di questa nuova zona? "Lo scorso 27 agosto, Papa Francesco ha richiamato l’attenzione di tutti sulla crescente crisi dei Rohingya in Myanmar, così come, nel 2014, Moas ha seguito l’appello del pontefice ad assistere i migranti lungo il confine del Mediterraneo, oggi rinnova il suo impegno nel golfo del Bengala". Da lì "Moas fornirà alla minoranza Rohingya assistenza e aiuti umanitari, e lavorerà alla creazione di un sistema organico di trasparenza, sostegno e responsabilità nella regione, dove è in corso un esodo mortale alla frontiera fra Bangladesh e Myanmar.
Nel frattempo, l'ong "continuerà a tenere sotto osservazione le rotte migratorie nel Mediterraneo, pronta a rispondere a quei cambiamenti che consentano di operare secondo i propri principi. Fin dalla sua fondazione, Moas ha riconosciuto che l’opera di ricerca e salvataggio non è la soluzione alla crisi migratoria in corso, e proseguirà pertanto a supportare l’apertura di canali umanitari sicuri per consentire ai gruppi più vulnerabili di mettersi al sicuro".
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