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Palermo, ecco i primi 54 tutori volontari di minori non accompagnati

Sono operativi da giugno e sono i primi in Italia ad operare secondo la cornice disegnata della legge 47/2017. Ecco cosa fa concretamente un tutore volontario e perché Palermo è un laboratorio d'avanguardia

di Sara De Carli

Sono di Palermo, sono 54, sono operativi da giugno: sono i primi tutori volontari per minori non accompagnati con le caratteristiche definite dalla legge 47/2017, approvata in aprile. È Palermo quindi la città pioniera di questa nuova forma di accompagnamento per i 17mila minori soli presenti sul nostro territorio, che allo stesso tempo è anche una nuova forma di cittadinanza attiva. Quali sono i primi effetti? Come sta andando? «Il punto di forza di questa nuova figura si sta rivelando essere quello relazionale. Ragazzi che sono da otto o dieci mesi nei centri di prima accoglienza e che non avevano mai raccontato nulla di sé, ora stanno iniziando ad aprirsi e a raccontare. Questo è il punto di partenza fondamentale», spiega Lino D’Andrea, il Garante dell’Infanzia e dell’Adolescenza del Comune di Palermo, uno dei pochi garanti cittadini d’Italia.

Sono 500 in città i minori non accompagnati, 7mila in Sicilia, 17mila in Italia. D’Andrea racconta di un ragazzino del Bangladesh di 17 anni, che si era cucito addosso un po’ il ruolo del “cattivo” della comunità, che di nascosto andava a lavorare e quando in comunità lo hanno scoperto e lo hanno ripreso, lui ha reagito in modo estremo, violento, addirittura con minacce, al punto che si era ipotizzato un TSO. «Lui non ha mai parlato con nessuno della sua storia, ora con il tutore l’ha fatto. Così abbiamo scoperto che dal Bangladesh è andato in Libia, dove è stato violentato e rapito, hanno chiesto un riscatto alla sua famiglia, che ha dovuto vendere la capanna per pagare. Quando lo hanno liberato, lui è riuscito ad arrivare in Italia. Ciò che voleva più di ogni altra cosa era lavorare e guadagnare dei soldi da mandare a casa. Ovviamente conoscere questa vicenda cambia la prospettiva, getta una luce diversa sulle cose. Abbiamo iniziato a cercare per lui una borsa lavoro. Ora è tranquillo e frequenta la scuola d’italiano», spiega D’Andrea. Il punto di partenza è questo: far sì che questi ragazzini possano tornare a fidarsi di un adulto, loro che dagli adulti sono stati traditi così tante volte nel viaggio che li ha portati da casa alla costa italiana. È questo su cui stanno lavorando i 54 tutori volontari, il resto verrà dopo.

Il punto di forza di questa nuova figura si sta rivelando essere quello relazionale. Ragazzi che sono da otto o dieci mesi nei centri di prima accoglienza e che non avevano mai raccontato nulla di sé, ora stanno iniziando ad aprirsi e a raccontare. Questo è il punto di partenza

Lino D’Andrea

Palermo è stato l’apripista rispetto alla figura del tutore prevista dalla legge Zampa. Il Garante racconta che hanno iniziato a lavorarci nel 2016, stringendo un protocollo d’intesa con tutte le istituzioni – Prefettura, Questura, Comune, Università, Ufficio scolastico regionale e provinciale, Tribunale dei Minori e ordinario, azienda sanitaria – attivando un tavolo tecnico e poi, a maggio, facendo un primo corso di formazione. Molto del lavoro fatto a Palermo è confluito nelle Linee Guida nazionali per i tutori volontari. In Sicilia come in altre regioni d’Italia esperienze di tutori volontari per i minori non accompagnati esistevano già, ma con questo nuovo bando la figura è molto cambiata: prima si trattava essenzialmente di avvocati, sindaci o assessori che avevano la tutela anche di 50 ragazzini, con un approccio essenzialmente istituzionale. Tutele così non si fanno più e quelle in essere stanno iniziando piano piano ad essere revocate. Ora invece i 54 tutori hanno un ragazzino ciascuno (uno ha due fratelli), come prevede la legge 47. Fra loro ci sono psicologi, avvocati, dirigenti scolastici, insegnanti in pensione, giovanissimi educatori, mamme e casalinghe: «tutti possono essere tutori, anzi credo sarebbe molto interessante avere dei tutori provenienti dalle nostre famiglie povere. La motivazione? È per tutti quella dell’impegno civile, tutti hanno compreso che l’immigrazione sarà un elemento caratterizzante del futuro, non una emergenza, e vogliono essere parte attiva della costruzione della società a colori del futuro». Al bando hanno risposto un centinaio di palermitani, di cui 70 sono stati ammessi al corso. Alcuni alla fine del corso hanno ritirato la loro disponibilità, gli altri 54 hanno iniziato la tutela lo scorso giugno. Con i ragazzi si vedono almeno due volte alla settimana, spesso escono insieme a piccoli gruppi, aperti anche ad altri ragazzi della comunità: l’integrazione si costruisce così. «Fin dal corso di formazione, dinanzi alla eterogeneità degli aspiranti tutori abbiamo puntato a creare gruppo, in modo che fra loro si supportassero a vicenda con le loro diverse competenze. Ovviamente poi abbiamo messo a disposizione dei tutori uno sportello di sostegno, con alcune risorse professionali pagate grazie all’Unicef, per il monitoraggio», racconta il Garante.

Fra loro ci sono psicologi, avvocati, dirigenti scolastici, insegnanti in pensione, giovanissimi educatori, mamme e casalinghe. Tutti possono essere tutori, anzi credo sarebbe molto interessante avere tutori provenienti dalle nostre famiglie povere. La motivazione? È per tutti quella dell’impegno civile

Lino D’Andrea

«Stanno cambiando molte cose perché l’approccio è completamente diverso: istituzioni e comunità devono abituarsi al cambiamento. Fino ad oggi siamo stati abituati a un approccio istituzionale, incentrato quasi esclusivamente sugli aspetti giuridici», spiega D’Andrea, «ora invece la legge intervenendo su “chi” fa il tutore ne ha cambiato la figura stessa». Un avvocato con 50 tutele, quante volte pensate che potesse andare in comunità a incontrare il ragazzo? Ora invece una comunità di prima accoglienza con 25 ragazzi si ritrova “per casa” 10 tutori: è una forma di controllo, di stimolo, di collaborazione. «Un ragazzo parlava da sempre di voler raggiungere la zia a Trento, ma finora aveva ottenuto soltanto un generico “sì, vedremo, faremo”. Il tutore invece, che doveva già andare a Milano, ha deciso di “allungare il viaggio”, è andato a Trento, ha parlato con la zia, stiamo facendo le pratiche, il ragazzo è sereno», racconta ancora D’Andrea. Riconquistata la fiducia dei ragazzi, instaurata una relazione autentica, il secondo compito del tutore è quello di raccogliere tutte le informazioni possibili per costruire – insieme agli assistenti sociali, agli educatori della comunità e all’ufficio del garante – il progetto educativo del ragazzo: i suoi desideri, il suo percorso formativo (compresa anche l’educazione informale e non formale), i suoi progetti. Molti ragazzi ormai desiderano rimanere sul nostro territorio, non vogliono più scappare, vogliono costruire un progetto di vita qui.

«Cinquantaquattro tutele su 500 ragazzi che abbiamo a Palermo sono pochi, ma il nostro obiettivo è creare un modello che funzioni e da cui trarre suggerimenti utili a livello nazionale e anche per le Fondazioni che volessero mettere risorse. Il Garante regionale (nominato per la prima volta in Sicilia solo nel dicembre 2016 e ancora in fase di costruzione dello staff, ndr) sta lavorando al bando regionale, la Sicilia da sola ha 7mila minori non accompagnati dei 17mila presenti in Italia. Nel caso in cui i tempi fossero lunghi, non escludo che a Palermo si faccia un secondo bando cittadino, il bisogno è grande e abbiamo già altre disponibilità. Il nostro obiettivo è creare un clima di accoglienza, che si fa vivacizzando i territori e creando delle comunità educanti. E il tutore volontario, come risorsa che si affianca ai ragazzi partendo dall’ascolto dei loro desideri e dei loro bisogni, è una figura che potrebbe rivelarsi utile non solo per i minori non accompagnarti ma per tutti i nostri ragazzi».

Foto di copertina Danilo Balducci/Sintesi

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