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La Campagna Banche Armate è tornata, e nel mirino c’è l’Italia

C’è una Banca Popolare in provincia di Brescia che ha ammesso di avere tra i propri clienti un’azienda che vende all’Arabia gli ordigni con cui l’aeronautica saudita bombarda i civili in Yemen. Ma secondo i combattivi promotori della Campagna, tra cui alcuni missionari, l’Istituto di credito non dice tutta la verità

di Gabriella Meroni

Una Banca Popolare «vicina a te», presente nel territorio di Brescia, Verona e Mantova con una settantina di filiali (ma una ha aperto di recente anche a Milano), attenta alle donne e ai giovani, punto di riferimento per artigiani e imprese del territorio. Così si presenta Banca Valsabbina, che sul proprio sito ha un’intera sezione dedicata alla trasparenza e si è dotata di un codice etico. Ebbene, si tratta dello stesso istituto di credito finito sul banco degli accusati da parte della Campagna Banche Armate, mobilitazione sorta nell’anno del Giubileo del 2000, ai tempi della grande discussione sul debito dei paesi poveri, in parte composto dalle spese che regimi autoritari o dittatoriali avevano effettuato per l'acquisto di armamenti, venduti spesso dai Paesi occidentali come "aiuti allo sviluppo".

Questi i fatti. La Valsabbina è finita nel mirino dei combattivi missionari (e non) che animano la campagna (padre Mario Menin direttore di Missione Oggi, padre Efrem Tresoldi direttore di Nigrizia e padre Alex Zanotelli direttore di Mosaico di pace, oltre al coordinatore Giorgio Beretta) per i rapporti che la legano a R.W.M. Italia, azienda che produce ed esporta all’Arabia Saudita le micidiali bombe della classe MK 80, impiegate dall’aeronautica militare saudita in bombardamenti che hanno devastato diversi centri abitati in Yemen. Il fatto che l’azienda italiana sia correntista dell’istituto di credito bresciano non è di per sé un problema, né ovviamente è vietato dalla legge: dalla Campagna però temono che oltre al conto corrente ci sia di più, e hanno chiesto alla Banca di chiarire «alcune questioni» su «finanziamenti alla produzione di sistemi militari e ai servizi che la Banca concede alle aziende del settore per esportare materiali d’armamento». In pratica, i promotori – che hanno scritto una lettera aperta ripresa da alcuni organi di informazione – chiedono maggiore trasparenza, anche per fugare i dubbi che la Banca finanzi il commercio e l’esportazione di armi attraverso operazioni finanziarie che coinvolgono la R.W.M. Italia.

Il punto, sottolinea Giorgio Beretta, è la mancanza di informazioni essenziali: «Fino a qualche anno fa, le operazioni bancarie che coinvolgevano aziende produttrici di armi erano tutte documentate al dettaglio e facilmente reperibili nella Relazione annuale della Presidenza del Consiglio sulle esportazioni di armamenti», spiega, «in seguito però, a partire dalla Relazione consegnata alle Camere dal governo Berlusconi nel maggio del 2008, è diventato difficile ricostruire: mancano informazioni fondamentali affinché il Parlamento possa esercitare il ruolo di controllo che gli compete».

Data l’opacità del governo, i missionari hanno dunque pensato di rivolgersi direttamente alla Banca chiedendo dettagliato conto, nella loro lettera, su «operazioni per esportazioni definitive di materiali d’armamento svolte da Banca Valsabbina un ammontare complessivo di 262.020.210,90 euro per “Importi segnalati” e di 107.125.423,51 euro per “Importi accessori segnalati”», come risulta dalla Relazione al Parlamento sull’export di armi riferita al 2016 e presentata lo scorso aprile. Si tratta, continua la lettera, dell’ammontare «più consistente per operazioni del settore» dal 2006, da quando cioè la Banca è comparsa per la prima volta nella relazione; inoltre, esiste una «peculiare analogia» tra gli importi segnalati da R.W.M. Italia e quelli segnalati dalla succursale di Ghedi di Banca Valsabbina per esportazioni di sistemi militari (in pratica si tratta quasi della stessa somma); infine, si segnala l’acquisto, da parte dell’azienda produttrice di armi, di azioni della Banca Valsabbina per 29.700 euro.

Insomma, che tra Banca Valsabbina e la R.W.M. Italia ci siano rapporti finanziari, sembra ormai accertato, come del resto ha confermato uno scarno comunicato emesso dalla banca stessa, nel quale l’Istituto precisa che «adotta delle regole precise per l’implementazione di servizi bancari di conto corrente ad aziende del settore armiero, come la verifica preventiva che le operazioni commerciali siano dotate di tutte le autorizzazioni previste dalla legge», e che «il rapporto in atto con RWM Italia si riferisce esclusivamente alla normale attività di conto corrente, mentre non vi sono in atto, non vi sono mai state, né vi sono allo studio altre operazioni quali ad esempio quelle di finanziamento». «Questo comunicato Banca Valsabbina non smentisce alcuna delle affermazioni e dell’ampia documentazione riportate nella nostra lettera», sottolinea Beretta. «E quindi è più che legittimo ritenere, fino a prova contraria, che tutto quanto ha documentato la Campagna è attendibile e veritiero. E non è poco».

Ma Beretta si spinge oltre, e conclude: «A una domanda la Banca non ha risposto: sta svolgendo o no, per conto di RWM Italia, le operazioni bancarie relative alla fornitura all’Arabia Saudita di 19.675 bombe Mk 82, Mk 83 e Mk 84 del valore complessivo di 411 milioni di euro? Tutti gli elementi forniti dalla Relazione della Presidenza del Consiglio portano a Banca Valsabbina. Perché su questo punto il comunicato tace?». La battaglia continua.

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