Welfare

Welfare: quanto dei trasferimenti alle famiglie finisce nel mercato nero?

L'intervento di un esperto di spesa sanitarie e fondi previdenziali svela un nervo scoperto del nostro sistema. L'alternativa? Mettere mano alla spesa privata attraverso una maggiore incidenza della quota intermediata da fondi e mutue. È la strada giusta

di Massimo Campedelli

Come si sa, uno dei tratti caratteristici del nostro sistema di welfare è quello della forte incidenza che in esso rivestono i trasferimenti monetari rispetto alla erogazione di servizi (qui il numero di Vita magazine di maggio dedicato al tema). Sia che si consideri l’incidenza della spesa previdenziale su quella di protezione socile, che quella strettamente assistenziale, noché il difficilmente districabile sistema delle agevolazioni fiscali, lo Stato distribuisce una ingente massa di risorse monetarie con le quali poi le famiglie rispondono ai bisogni non altrimenti coperti, ovvero gestiscono quello che possiamo considerare un vero proprio pilastro.

A fianco, infatti, di quello pubblico (primo), di quello dei fondi previdenziali o sanitari variamente regolamentati (il secondo), di quello assicurativo privato (il terzo), ve ne è un quarto (quello delle famiglie), la cui consistenza solo per parte sanitaria e sociosanitaria è nell’ordine dei 50-60 miliardi di lire, più o meno il 50% del fondo sanitario nazionale. Esso è in parte alimentato con risorse proprie – out of pocket -, in parte autoprodotto – il lavoro di cura – ma per una significativa ulteriore parte è finanziato direttamente o indirettamente – leggi: agevolazioni fiscali e riconoscimenti indiretti dell’attività di assistenza come la legge 104 – dal sistema pubblico, in particolare attraverso l’Inps e i sussidi di varia natura erogati dai Comuni.

Ricostruirne l’ammontare effettivo non è cosa semplice. Perimetrazioni diverse producono, ovviamente, risultati diversi. Negli scorsi anni diversi istituti di ricerca, oltre che Istat, con riferimento alla sola spesa assistenziale hanno indicato un ammontare che varia tra i 33,800 mld (Istat 2009), i 51,700 mld (riclassificazione con il metodo della Commissione Onofri dei dati Istat 2009 da parte della Fondazione Zancan 2011) ed i 66,800 mld ( dati Irs/Capp su Istat 2013). Comunque si calcoli, solo circa 7-8 di questi miliardi si trasformano in servizi erogati dai Comuni (domiciliari piuttosto che socioeducativi) mentre il resto è tutto cash. In altri termini, seguendo la stima Irs/Capp, il pubblico eroga alle famiglie circa 57 miliardi (di cui 55 dal livello centrale e 2 da quello locale).

Non sappiamo con precisione quanto vada in lavoro di cura autoprodotto dai caregiver familiari ovvero serva ad acquistare servizi sociosanitari, dalla assistente familiare, al fisioterapista, all’infermiere. Sappiamo però che queste aree di attività sono fortemente segnate da rapporti irregolari, evasione contributiva, evasione fiscale,

Non sappiamo con precisione quanto vada in lavoro di cura autoprodotto dai caregiver familiari ovvero serva ad acquistare servizi sociosanitari, dalla assistente familiare, al fisioterapista, all’infermiere. Sappiamo però che queste aree di attività sono fortemente segnate da rapporti irregolari, evasione contributiva, evasione fiscale, ecc.

In altri termini, se è vero che il welfare monetario pubblico finanzia il mercato irregolare di cura, mettere mano alla spesa privata attraverso una maggiore incidenza della quota intermediata da fondi e mutue sarebbe un modo anche per regolarizzare (almeno una parte) di esso. Non solo. Diverrebbe un mercato controllabile dal punto di vista della qualità delle prestazioni e della tutela dei pazienti, nonché una fonte di entrata fiscale, magari da utilizzare per la copertura di bisogni/domande insufficientemente riconosciute. Avrebbe inoltre conseguenze non irrilevanti sul sistema economico complessivo, in quanto favorirebbe un circolo virtuoso di emersione/occupazione femminile, il famoso fattore D.

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