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Cronache dal Sud Sudan: ecco cosa sta succedendo

La crisi rifugiati peggiore dell’Africa si trova in Sud Sudan. Intervista a don Dante Carraro cardiologo e prete, direttore di Medici con l’Africa Cuamm, appena tornato dal Paese, che racconta le condizioni difficilissime in cui operano le Ong sul posto e perché non bisogna mai perdere la speranza. “Penso alle nostre guerre, a tutta la strada che abbiamo percorso e al fatto che finalmente siamo riusciti a raggiungere la pace”

di Ottavia Spaggiari

Sono 1,9 milioni i profughi interni in Sud Sudan e circa 250mila rifugiati nei Paesi vicini. Per molti è la crisi umanitaria più grave nel continente africano, determinata da fattori diversi, tra cui una grave carestia, una guerra civile e l’economia nazionale al collasso. Don Dante Carraro cardiologo e prete, direttore di Medici con l’Africa Cuamm, appena tornato dal Paese, dove l’organizzazione è presente con quattro cliniche.

Qual è la situazione in Sud Sudan al momento?

È il Paese più giovane al mondo con una storia molto travagliata, fragilissimo dal punto di vista istituzionale. Se pensiamo alle guerre di indipendenza italiane e ai costi umani, forse possiamo iniziare a farci un’idea di cosa significa la creazione una nazione. Inoltre c’è in atto uno scontro etnico che innesca una reazione di violenza a catena. Una denuncia che va fatta, ma per avere un quadro il più possibile completo bisogna anche che ci sia la consapevolezza lucida di un processo di costruzione dello stato di diritto in un Paese che per 50 anni è stato succube di violenze e scontri. Il prezzo più caro lo paga, come sempre, chi è in fondo alla piramide socio-economica.

Recentemente ci siamo resi conto che anche nei nostri ospedali, nella regione dei laghi, il numero dei bambini malnutriti è raddoppiato in pochi mesi. Abbiamo capito che erano i bimbi e le mamme fuggite da Unity. Così abbiamo deciso di iniziare ad operare alla sorgente di quella carestia, a nord.

C’è un detto terribile, secondo cui la carestia si vede quando iniziano a morire le capre, poi le vacche, i bambini, le mamme e gli anziani".

Don Dante Carraro, direttore di Medici con l’Africa Cuamm


Come si vive lì?

Il conflitto si respira ovunque, a questo si aggiunge il calo del prezzo del petrolio, che ha causato un margine di guadagno più basso. Lo scorso anno c’è stata una siccità pesantissima e la carestia è stata aggravata dagli scontri, per cui le merci hanno smesso di circolare, i contadini hanno dovuto sospendere il lavoro e le sementi non sono state piantate.

Quali sono le emergenze più gravi in questo momento?

Il Paese è in una condizione di carestia, ma una carestia particolare, chiamata “man made famine”, ovvero creata dall’uomo. La situazione più grave riguarda l’aspetto sanitario ed educativo. Nello stato dei laghi si è diffusa un’epidemia di colera, dovuta al fatto che l’acqua disponibile è poca e sporca. La mortalità è elevata e questo è anche dovuto alla malnutrizione, che ha abbassato le difese umanitarie dei bambini.

Qual è l’impatto degli scontri sulla vita delle persone?

Il conflitto è concentrato in alcune aree del Paese, che comunque rimane enormemente vasto, quasi due volte l’Italia. Il prezzo più caro del conflitto viene pagato dai più deboli, i bambini e le loro mamme. La malnutrizione aggrava notevolmente il quadro clinico, anche un semplice raffreddore può diventare letale. C’è un detto terribile, secondo cui la carestia si vede quando iniziano a morire le capre, poi le vacche, i bambini, le mamme e gli anziani.

In questo caos, la speranza va nutrita e, per quanto sia difficile, anche l’allegria. Penso alle guerre che abbiamo fatto noi, a tutta la strada che abbiamo fatto e al fatto che finalmente siamo riusciti a raggiungere la pace.

Don Dante Carraro, direttore di Medici con l’Africa Cuamm

Abbiamo letto delle testimonianze terribili rilasciate da ragazze e donne. Una di loro ha dichiarato che l’unico modo per sentirsi al sicuro per una donna, è essere morta…

Moltissime donne, tante con figli anche piccolissimi, scappano e si rifugiano nelle foreste o nelle isole, per nascondersi dai gruppi armati. Si tratta di persone già deboli, che hanno bisogno di cure. Spesso però, per la paura di essere trovate, si nascondono in luoghi così remoti, che neppure noi riusciamo a raggiungerle. Per i giovani impegnati del conflitto, le ragazze e le donne diventano una delle due leve di compensazione, insieme alla birra. È tremendo.

In Sud Sudan ci sono 1,9 milioni di profughi interni e circa 250mila rifugiati nei Paesi vicini. È la più grave crisi umanitaria al momento in Africa, perché se ne parla così poco?

C’è una situazione globale di pesantezza di fondo, come se la gente fosse costretta ad alzare bandiera bianca e i media si adeguano. Inoltre si tratta di una situazione molto complessa anche da raccontare e il fatto che si tratti di una carestia, causata dall’uomo, rappresenta un deterrente ancora maggiore. Allo stesso tempo dovrebbe esserci una risposta più determinata da parte della Comunità Internazionale. A determinare i flussi migratori sono due elementi: uno è demografico, ma l’altro è la situazione drammatica in cui le persone si trovano a vivere. Ci vuole un piano Marshall per l’Africa Sub-sahariana, bisogna investire. Ci sono buone pratiche e buoni esempi. Penso all’Uganda. Da prete cattolico, poi voglio invitare il Papa a venire in Sud Sudan, dove la presenza di cristiani è estremamente alta. La sua presenza aiuterebbe molte persone e potrebbe sensibilizzare la comunità internazionale.

Quali sono le difficoltà più grosse di operare in una situazione del genere?

È facile farsi prendere dallo sconforto. A volte sembra che alla sofferenza non ci sia fine. Ma il nostro lavoro adesso è più importante che mai. Questo è il posto dove dobbiamo essere adesso. Quello che dico sempre, anche davanti alla tragedie, è di non perdere la speranza. Dobbiamo rimanere fiduciosi nel futuro che bisogna costruire. La scorsa settimana ho assistito alla laurea di venti nuove ostetriche e ostetrici, 13 ragazze e otto ragazzi. Sono venti nuovi fiori in un Paese in cui c’è solo un’ostetrica ogni 20mila abitanti. Il Sud Sudan ha bisogno di loro. In questo caos, la speranza va nutrita e, per quanto sia difficile, anche l’allegria. Penso alle guerre che abbiamo fatto noi, a tutta la strada che abbiamo fatto e al fatto che finalmente siamo riusciti a raggiungere la pace.

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