Famiglia

Charlie Gard, è il giorno del giudizio

Oggi si pronuncerà il giudice Nicholas Francis, che in primo grado aveva deciso per lo spegnimento dei macchinari salva vita, sulla nuova strada sperimentale proposta dall'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma

di Lorenzo Maria Alvaro

«La nostra visione non è cambiata. Ma riteniamo opportuno vedere la posizione della Corte di giustizia. La nostra priorità è sempre stata e sarà sempre l’interesse di Charlie Gard». È il modo in cui i medici del Great Ormond Street Hospital di Londra hanno motivato la propria scelta di tornare dai giudici per sottoporre la nuova possibilità che si è aperta dopoi l’intervento del Bambino Gesù di Roma.

È infatti italiana la nuova speranza di Charlie Gard. Il bimbo avrebbe dovuto, come da sentenza, essere staccato dai macchinari salva vita due settimane fa. I medici però hanno scelto di aspettare, per permettere ai genitori di passare ancora qualche giorno in compagnia del figlio.

È allora che c’è stato l’intervento dei nove esperti internazionali di sindrome mitocondriale del dna, coadiuvati dall’ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma per tentare una cura sperimentale.

La palla è del tribunale. Solo il giudice Nicholas Francis, che ad aprile aveva firmato la decisione di staccare le macchine che tengono in vita Charlie, può decidere se aprire a questa nuova possibilità.

Giudice che, al contrario di quanto in molti hanno sostenuto, ad aprile, quando aveva giudicato per la prima volta il caso, aveva cercato un pertugio, un modo per tenere aperto uno spiraglio per Charlie.

Durante l’udienza finale, Francis aveva più volte ripreso l’avvocato dei medici, che sosteneva non ci fossero prove dell’efficacia della terapia, dicendo: «Una volta non c’erano prove neppure del fatto che funzionasse la penicillina, invece guardi cos’è successo. La maggioranza delle cure, quando è all’inizio, non ha prove a suo favore».

L’avvocato dell’ospedale aveva allora sostenuto che il bambino stesse soffrendo inutilmente, e ancora il giudice aveva ribattuto: «Se è capace di soffrire, allora è capace di provare piacere, come sostengono i genitori».

Alla prima udienza la legge però non lasciava grandi spazi di manovra al magistrato. La speranza è che oggi invece, grazie proprio alla cordata capitanata dal Bambin Gesù di Roma, ci siano degli appigli più solidi per cambiare la sentenza.

Una cosa ormai però è certa: è evidente come tutte le parti – medici, giudici e famiglia – stiano facendo il massimo per riuscire a sbloccare un empasse dovuta al vicolo cieco legale in cui si è finiti quasi per caso, come hanno sottolineato anche i vescovi inglesi.

Proprio la Chiesa è stata al centro di questp nuovo capitolo della vicenda. Sotto traccia infatti il Vaticano ha lavorato diplomaticamente per provare a costruire un epilogo diverso di una vicenda che sembrava ormai chiusa.

Il Papa il 30 giugno aveva twittato «difendere la vita umana, soprattutto quando è ferita dalla malattia, è un impegno d'amore che Dio affida ad ogni uomo».





Nessun riferimento diretto ma un segnale chiaro. Il 3 luglio poi il direttore della Sala Stampa Vaticana, Greg Burke aveva rotto gli indugi dichiarando come «Il santo Padre segue con affetto e commozione la vicenda del piccolo Charlie Gard ed esprime la propria vicinanza ai suoi genitori. Per essi prega, auspicando che non si trascuri il loro desiderio di accompagnare e curare sino alla fine il proprio bimbo». Una presa di posizione netta che vedrà una nuova sentanza del tribunale una settimana dopo.

La partita di Charlie insomma sembra tutt'altro che conclusa.

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