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Link 2007: L’indagine parlamentare sulle ONG stravolta dalla macchina del fango

La rete Link 2007 commenta il documento conclusivo approvato all’unanimità dalla IV Commissione del Senato il 16 maggio scorso sul ruolo delle ONG nelle operazioni di salvataggio di migranti nel Mediterraneo. Il quadro che ne esce fuori è lontano dalla accuse lanciate da alcuni autorevoli politici, protagonisti di una strumentalizzazione senza precedenti di chi salva vite umane in fuga dalle guerre e dalla povertà.

di Link 2007

Il documento conclusivo, approvato all’unanimità dalla IV Commissione del Senato il 16 maggio scorso, non riflette l’animosità, la diffidenza, le accuse gratuite e le strumentalizzazioni di alcuni parlamentari durante le intense 20 ore di audizione tra aprile e maggio, riprese poi da autorevoli esponenti politici, pronti a seguire l’onda del momento. Un apprezzabile ripensamento finale da parte dei commissari.

Più in generale, l’effetto positivo delle audizioni è l’acquisizione di conoscenze da parte degli stessi parlamentari, che evidentemente prima non le avevano. I principali temi emersi in seguito ai chiarimenti ottenuti sono in sintesi i seguenti:

1. L’attività di ricerca e soccorso in mare è disciplinata dal diritto internazionale, che si basa su due concetti: il pericolo di vita e il luogo sicuro nel quale condurre le persone salvate. “Ogni imbarcazione è tenuta, indipendentemente dalla sua natura istituzionale o mercantile, segnalare il natante in difficoltà e prestare soccorso secondo le istruzioni delle autorità competenti”.

2. L'Italia “si fa carico attualmente dell'intero spazio marittimo del Mediterraneo centrale fino al confine delle acque territoriali libiche”. Il Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo della Capitanerie di porto assicura l'organizzazione dei servizi di ricerca e salvataggio ed individua il porto sicuro sul territorio italiano, data l’impossibilità di prevedere il rientro in Libia.

3. “Sulla base del diritto internazionale, è possibile anche procedere al soccorso di imbarcazioni che si trovino all'interno delle acque territoriali libiche, se richiesti ovvero autorizzati dal Centro nazionale delle Capitanerie”.

I pareri sull'operato delle ONG

Il documento conclusivo mette fine alle superficialità e alle strumentalizzazioni delle settimane precedenti, riportando che:

i) dopo la fine della missione Mare nostrum nell'ottobre 2014, le Ong hanno intensificato le attività di soccorso e ricerca in mare per sopperire alle carenze delle istituzioni, in particolare europee; le Ong hanno confermato di perseguire finalità esclusivamente umanitarie e hanno respinto con fermezza qualsiasi ipotesi di effetto negativo legato al loro operato, “ribadendone la piena conformità ai principi del diritto umanitario e del diritto del mare”;

ii) come evidenziato dal comandante generale della Guardia costiera, ammiraglio Melone, “le Ong devono essere considerate, a tutti gli effetti, risorse utili ai fini dell'attività di soccorso” e sia il generale Screpanti della Guardia di finanza, sia il procuratore Giordano di Siracusa, hanno affermato “l'assenza di evidenze investigative atte a provare eventuali collusioni tra le Ong e i trafficanti di esseri umani”; per l'ammiraglio Marzano, comandante della Squadra navale, “le Ong non costituiscono intralcio alle attività della Marina militare nell'area”.

iii) Il direttore di Frontex, Leggeri e il procuratore capo di Catania, Zuccaro hanno fatto riferimento a elementi “non trasparenti” (ipotesi di cellulari dei migranti con il numero delle Ong, dubbi sul possibile spegnimento del trasponditore per non essere individuati) che porterebbero a considerare la presenza delle Ong “come fattore di attrazione del fenomeno migratori o di incentivo per i trafficanti”. Ipotesi a cui esse hanno risposto “ribadendo di non aver mai spento i trasponditori e di essere entrate in acque territoriali libiche sempre e solo dietro autorizzazione del Centro nazionale di Roma”;

iv) il procuratore Zuccaro ha inoltre rilevato che “l’intervento delle Ong preclude spesso la raccolta di elementi utili alle indagini” non essendoci sulle loro navi agenti di polizia giudiziaria; e infine il procuratore di Trapani, Cartosio ha ricordato l’art. 54 del codice penale sullo ‘stato di necessità’, che prevede l’impunibilità per chiunque salvi vite in mare di fronte ad ‘un pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile’.

Come evidenziato dal comandante generale della Guardia costiera, ammiraglio Melone, “le Ong devono essere considerate, a tutti gli effetti, risorse utili ai fini dell'attività di soccorso”.

Le conclusioni e le proposte della Commissione parlamentare

1. Il lavoro svolto dalla IV Commissione ha consentito di “appurare che non ci sono indagini in corso a carico di Ong in quanto tali”; c’è solo l’avvio di un'inchiesta della Procura di Trapani “concernente, tra gli altri, singole persone impegnate nelle operazioni”.

Dopo il clima velenoso lanciato sulle Ong, favorito da una pessima gestione mediatica dell’indagine e da un ingiustificato astio mostrato pregiudizialmente da non pochi parlamentari di questa Commissione come del Comitato parlamentare ‘Shengen’ che ha svolto audizioni analoghe e da altri esponenti politici, si tratta di una doverosa precisazione, anche se rimane pesante il vulnus che si è creato e che sarà difficile alle Ong superare.

2. La “principale risultanza dell'indagine” consiste nell'aver messo in luce un’ovvietà: “l'emersione di un tertium genus di unità operanti in mare, a metà tra le unità navali pubbliche e quelle mercantili”, una “fattispecie non contemplata dal vigente ordinamento internazionale”.

Se questa è la “principale risultanza”, dopo tanto clamore, forse i parlamentari dovrebbero porsi qualche interrogativo sulla conduzione di simili indagini conoscitive.

3. “Il controllo dei flussi migratori deve essere improntato ai due principi cardine della solidarietà e del rigore. Non è infatti in alcun modo tollerabile lasciare perire in mare le persone che lasciano le coste africane nel tentativo di raggiungere l'Europa, a prescindere dalla loro condizione legale: al contempo va contrastato ogni incentivo all'immigrazione clandestina e, soprattutto, al traffico di esseri umani, con una lotta senza quartiere contro i trafficanti di morte”.

Si tratta di una problematica ben presente alle Ong umanitarie e su cui riflettono da tempo, dato che sovente si trovano di fronte a dilemmi analoghi, in particolare in aree di conflitto dominate da milizie armate che tengono in ostaggio le popolazioni confondendosi spesso con esse. Sono problematiche che in questo caso, con persone in alto mare e con una Libia in mano a contrapposti potentati ed alla criminalità, non sono semplici da risolvere e che richiederebbero attente analisi, riflessioni, confronto politico: quel confronto che il clima avvelenato delle scorse settimane ha certamente frenato e reso più difficile.

La “principale risultanza dell'indagine” consiste nell'aver messo in luce un’ovvietà: “l'emersione di un tertium genus di unità operanti in mare, a metà tra le unità navali pubbliche e quelle mercantili”

4. “Dal momento che i soccorsi effettuati non possono prescindere dal contatto con le autorità italiane, si rende necessaria una razionalizzazione della presenza delle Ong”, sarebbe opportuno che esse “rientrassero a pieno titolo in un coordinamento permanente curato dalla Guardia costiera, ricevendo istruzioni anche su tempi e modalità di svolgimento del servizio, oltre che sull'area nella quale posizionarsi”.

Ben venga ogni forma di coordinamento e quindi di maggiore efficienza dei soccorsi: le Ong, in tutte le situazioni di crisi, sono sempre favorevoli a forme di coordinamento e razionalizzazione che rappresentino realmente un valore aggiunto e non costituiscano un freno burocratico alle attività umanitarie.

5. “In nessun modo può ritenersi consentita la creazione di corridoi umanitari da parte di soggetti privati, trattandosi di un compito che compete esclusivamente agli Stati e alle organizzazioni internazionali o sovranazionali”.

Quando mai le Ong in mare hanno creato autonomamente corridoi umanitari, dato che ogni volta il “porto sicuro” è stato indicato dal Centro nazionale di Roma? Gli unici corridoi umanitari sono stati creati insieme al governo italiano da Comunità ed Enti religiosi e sarebbero da potenziare. Il problema evidenziato dalla IV Commissione, pur corretto, non è mai esistito nei salvataggi in mare. Esiste invece una contraddizione nella politica italiana, a cui non si sta dando risposta: si lotta contro gli ingressi illegali ma non si è fatto nulla, da anni, per favorire quelli legali. Non vi è dubbio sull’esistenza di una correlazione tra ingressi illegali e mancanza di vie legali di ingresso. L’unica possibilità di ingresso continua quindi a rimanere – per cieca e cattiva gestione politica – quella illegale.

Non vi è dubbio sull’esistenza di una correlazione tra ingressi illegali e mancanza di vie legali di ingresso. L’unica possibilità di ingresso continua quindi a rimanere – per cieca e cattiva gestione politica – quella illegale.

6. Nel momento in cui le organizzazioni non governative vengono riconosciute parte e integrate in un sistema di soccorso nazionale, “dovranno conformarsi ad obblighi e requisiti che le abilitino allo svolgimento di tali compiti. Occorrerà perciò elaborare forme di accreditamento e certificazione che escludano alla radice ogni sospetto di scarsa trasparenza organizzativa e operativa”.

Ben vengano la massima trasparenza ed i controlli. I parlamentari dovrebbero però sapere che esistono già, in modo consolidato, procedure italiane ed europee che regolano, con i dovuti controlli, il rapporto delle Ong con le istituzioni che contribuiscono finanziariamente alle loro attività, per esempio nei programmi di cooperazione allo sviluppo o negli interventi umanitari. Si tratta di disposizioni che sono periodicamente rafforzate e migliorate. Ricominciare sempre da capo, come se si affrontasse la questione per la prima volta, può servire forse a lanciare messaggi politici di severità ma, nella realtà, rischia di favorire solo appesantimenti burocratici, dimostratisi sempre inefficaci. Si aggiunga il fatto che le Ong hanno da anni autonomamente adottato sistemi di controllo amministrativi e gestionali, riconosciuti anche a livello internazionale, improntati al rigore e alla trasparenza.

7. “Al fine di non disperdere preziosi dati ed elementi di prova utili per perseguire i trafficanti di esseri umani, sarebbe opportuno adeguare l'ordinamento italiano o comunque prevedere modalità operative tali da consentire l'intervento tempestivo della polizia giudiziaria contestualmente al salvataggio da parte delle organizzazioni non governative”.

Lo Stato faccia ciò che ritiene giusto, doveroso ed efficace per combattere la criminalità organizzata: in questo troverà sempre le Ong al suo fianco e pienamente collaborative. Non si potrà però pretendere Ong embedded come non potranno mai essere travisati il loro mandato umanitario e la loro indipendenza.

Ben vengano la massima trasparenza ed i controlli. I parlamentari dovrebbero però sapere che esistono già, in modo consolidato, procedure italiane ed europee che regolano, con i dovuti controlli, il rapporto delle Ong con le istituzioni che contribuiscono finanziariamente alle loro attività.

8. La Commissione termina con: a) la proposta di intese bilaterali per: – istituire un Centro nazionale libico per il soccorso in mare e accompagnare la guardia costiera libica “fino alla completa autonoma capacità operativa” nelle acque di competenza; – concordare le aree di competenza maltese e italiana, esigendo da Malta piena assunzione di responsabilità; – procedere ad un analogo accordo con la Tunisia; b) un invito alle istituzioni internazionali perché rendano operativi gli impegni assunti, anche provvedendo a “realizzare luoghi sicuri in territorio libico, tunisino e maltese in grado di accogliere i migranti soccorsi in corrispondenza delle zone di competenza sotto l'egida dell'Onu, dell'Unhcr e dell'Oim”.

Le intese con Libia, Malta e Tunisia sono già all’ordine del giorno del Governo italiano, con non facili problemi da superare. Quanto ai luoghi sicuri, se saranno realmente tali e non solo occasione di scarico di ‘merce umana’ per liberarsene, luoghi cioè in cui siano garantiti il rispetto dei diritti umani, la tutela della dignità e la protezione di ogni persona, l’accoglienza, il sostegno nel definire e accompagnare scelte consapevoli, compreso il ritorno volontario, si tratta di quanto le Ong da tempo stanno chiedendo e su cui sono pronte a collaborare e ad impegnarsi direttamente. Ma tali dovranno essere i ‘luoghi sicuri’.

Di fronte all’insufficienza della politica – perché di questo si tratta, in Europa ma anche in Italia – come si sta reagendo? Scaricando tutte le colpe sugli immigrati. E di chi si occupa di loro.

Lo scarica barile

Cosa non è stato detto nel documento conclusivo della IV Commissione del Senato e probabilmente non sentiremo dire da nessuna Commissione parlamentare?

Ci sarebbe stata bene un po’ di autocritica in merito alla debolezza dimostrata negli anni nel proporre modalità per governare in modo umano e giusto una realtà che stava crescendo sotto gli occhi di tutti. Non c’è stata, in concreto, alcuna visione di prospettiva, alcun piano politico complessivo capace di guardare al futuro e di definire normative e impegni adatti alla gestione dei cambiamenti in atto e alle necessità di cooperazione con i principali paesi di provenienza migratoria. La materia è certo complessa è richiede tempo, ma il ritardo accumulato pesa ormai troppo. L’aspetto securitario ha preso il sopravvento, pur sapendo che la sola sicurezza non può dare quelle risposte di efficacia e perfino di convenienza utili all’Italia odierna.

Di fronte all’insufficienza della politica – perché di questo si tratta, in Europa ma anche in Italia – come si sta reagendo? Scaricando tutte le colpe sugli immigrati. Troppo facile. Oppure scaricando le responsabilità sulle organizzazioni che di loro si occupano nella doverosa accoglienza umana, negli sforzi di interazione e integrazione per accompagnare i cambiamenti della società, nel salvataggio delle vite in mare. Si approfitta di casi di disonestà – che, quando accertati, vanno perseguiti senza alcuna attenuante – per lanciare condanne generalizzate. Raramente sono messi in discussione l’incapacità, le contraddizioni, i litigi inconcludenti, i continui rinvii, le falsità di una politica malsana, né è messa in discussione la funzione di megafono che su tutto questo esercitano i media, aumentando spesso la confusione e aggravando paure e odi. La grande manifestazione di Milano ha avuto anche questo significato: lanciare alla politica il segnale che è ora di fare sul serio sull’integrazione e la convivenza e sulla possibilità di canali di ingresso legali.

Non tutta la politica e certamente non tutti gli esponenti politici sono così. Alcune e alcuni, anche a livello istituzionale, si fanno sentire e agiscono con coraggio e determinazione. Ma la loro voce è spesso lasciata sola. In altri vince talvolta la prudenza e la paura della perdita di consenso, senza rendersi conto che è proprio questo ‘esserci e non esserci’ a provocarla. Le Ong chiedono alla politica più coraggio e più visione strategica, sia in tema di accoglienza e di integrazione, sia in tema di cooperazione internazionale per lo sviluppo, sapendo che il ‘sottosviluppo’ e la povertà che spingono a migrare dipendono in molta parte dall’inaccettabile realtà delle estreme disuguaglianze, delle ostentate ingiustizie, delle sopraffazioni che si aggravano grazie ad un sistema basato sull’iniquità e la disumanità delle regole del capitale e della finanza che i governi hanno difficoltà a mettere in discussione.

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