Salute
Centri NeMo: ricerca, clinica e assistenza con le associazioni in regia
Una delle best practice sul numero del Magazine in distribuzione per raccontare chi dà risposte concrete a bisogni sanitari che fino ad oggi sono in larga misura rimasti orfani. I quattro centri promossi da Fondazione Serena e Fondazione Aurora dedicati alle malattie neuromuscolari
Il futuro è già iniziato e si chiama cura. «Una parola nuova, che quando NeMO è nato non immaginavamo di poter pronunciare in tempi così brevi», ammette Alberto Fontana. Milanese, 45 anni, tre figli, una vita in prima linea nell’associazionismo (a soli 19 già guidava la sezione milanese dell’Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), Fontana è il presidente di Fondazioni Serena e Fondazione Aurora, gli enti gestori dei quattro Centri NeMO d’Italia.
Al NeMO di Milano, il primo nato, a fine 2007, ha appena inaugurato il Clinical Research Center Nanni Anselmi, 650 mentri quadrati di laboratori e spazi per la sperimentazione clinica di nuove terapie per le distrofie muscolari, la sclerosi laterale amiotrofica (Sla) e le atrofie muscolari spinali (Sma), le tre patologie su cui NeMO lavora. La sperimentazione più promettente è quella di un farmaco per la cura della Sma1, iniziata da pochi mesi, che viene somministrato ai bambini e che si sta svolgendo per il 70% all’interno dei Centri NeMO, ma sono diverse le sperimentazioni prossime ad arrivare alla fase clinica e Fontana vuol farsi trovare pronto: «È fondamentale costruire una rete che assicuri una presa in carico omogenea, dove chi ha una proposta farmacologica seria trovi le competenze per realizzare una ricerca che renda la cura applicabile».
Un nome a due facce
Ma NeMO cos’è? Il celebre pesciolino con la pinna atrofica della Pixar, certo, che fa parte di diritto alla famiglia di malati di cui questi centri si occupano. Ma anche l’acronimo di NEuroMuscolar Omnicenter, che è l’approccio peculiare di questi centri clinici ad alta specializzazione per malattie neuromuscolari: essere un unico punto di assistenza completa, multidisciplinare, che eviti al paziente il peregrinare da un ospedale all’altro alla ricerca dello specialista di riferimento per ogni singolo aspetto della malattia, con una continuità di percorso clinico-assistenziale e fra ricerca e clinica.
Il primo centro NeMO è nato a Milano nel 2007 e ha appena inaugurato il Clinical Research Center Nanni Anselmi
L’integrazione con il pubblico
L’approccio multidisciplinare migliora la qualità della vita e uno studio interno ha rivelato che un malato di Sla preso in carico a NeMO rimanda di quasi 20 mesi la tracheotomia. In sintesi, nei fatti, NeMO è un’eccellenza della sanità italiana e insieme un suo unicum, poiché è un’iniziativa privata per la sanità pubblica. L’idea l’ha avuta Fontana, nel 2003. «Oggi se ne parla tanto, ma all’epoca mancava una presa in carico multidisciplinare delle malattie neuromuscolari, un’infrastruttura in grado di farsi carico di noi pazienti dalla diagnosi al fine vita. Io ho visto molti amici morire, la cosa più intollerabile era l’incapacità di accogliere il bisogno», racconta l’allora presidente nazionale di Uildm. «Bellissima la ricerca, dissi un giorno a Francesca Pasinelli di Telethon, ma come vogliamo che arrivino i malati alla cura futura? Sentivo la responsabilità, come associazione, di essere non solo erogatore di risorse economiche ma di progettare una nuova presa in carico sanitaria. Ovviamente NeMO è nato dalle tante persone che ci hanno creduto, dal mix di passione e competenze specifiche che attorno a questa idea si è aggregato».
È stata questa la scommessa inaudita di NeMO: il fatto che alcune associazioni di pazienti — Uildm, Aisla, Telethon e in seguito Famiglie Sma e SLAnciamoci — abbiano saputo portare a sistema il loro ruolo di advocacy, arrivando a co-progettare e realizzare nuovi modelli di cura e di presa in carico. «La nostra è un’ottica sussidiaria, siccome pensiamo di essere portatori di un know how unico, vivendo la malattia, abbiamo chiesto al pubblico di essere messi nelle condizioni di costruire insieme un nuovo progetto di presa in carico. Noi non siamo imprenditori della sanità, qualsiasi margine viene reinvestito», continua Fontana. Sono proprio le risorse aggiuntive che arrivano dalla raccolta fondi e dai donatori istituzionali e privati — circa un milione di euro all’anno — che consentono un di più tanto nella presa in carico quanto nell’innovazione: «Il minutaggio assistenziale a NeMO è molto più alto di quello richiesto dagli standard regionali, dovremmo avere uno psicologo e ne abbiamo tre, un terapista occupazionale e ne abbiamo due, fin dal 2010 abbiamo un nurse coach, cioè un infermiere specializzato nella gestione del paziente nel passaggio dal centro al territorio, che va a domicilio, forma i familiari e li accompagna anche nella gestione delle pratiche burocratiche. Stiamo sperimentando anche degli occhiali che diventano un contatto diretto tra il caregiver e il nostro medico, che in un certo senso può “guidare” determinati interventi da remoto, usando le mani del caregiver come se fossero le sue», racconta Fontana.
Oggi NeMO, a nove anni dalla sua nascita, è presente a Milano, Roma, Messina e Arenzano (all’interno della città metropolitana di Genova) e vuole crescere ancora, cominciando da Torino e magari poi da Ancona.
«L’obiettivo non è aprire un Centro NeMO in ogni regione ma contribuire alla creazione di una rete. Siamo andati e andremo nei luoghi in cui la nostra presenza ha valorizzato una storia meritoria di presa in carico delle malattie neuromuscolari, come nel caso di Messina, o dove il pubblico probabilmente non sarebbe in grado da solo di completare questa presa in carico. Quella con il Gemelli, a Roma, è anche un’alleanza di senso».
Solo in convenzione
Nel 2016 i quattro centri hanno erogato 3.434 prestazioni, di cui 2mila in day hospital, con un fatturato complessivo vicino ai 7 milioni di euro (di cui circa 6 derivano dalla sola area sanitaria). I centri operano esclusivamente in regime convenzionato, come parte integrante del servizio pubblico, senza spesa per i pazienti.
Le prestazioni che non ci sono all’interno del Centro vengono acquistate dall’Ospedale ospitante: dal Niguarda ad esempio NeMO acquista ogni anno servizi per un milione di euro circa. «Abbiamo scelto di andare nel pubblico e siamo orgogliosi ad esempio che qui al Niguarda NeMO non sia percepito come una realtà esterna», commenta Fontana. Uno studio della Sda Bocconi di recente ha definito NeMO come un «esempio compiuto di sussidiarietà orizzontale, in cui chi è più vicino al bisogno presenta le proprie istanze in termini di soluzioni di servizio, assumendosi la responsabilità del rischio imprenditoriale connesso». Fontana lo dice con parole dense di affetto:
«NeMO non è una proprietà delle associazioni, è un investimento che appartiene alla collettività e se un domani consegnassimo le chiavi dei centri al pubblico, questo si ritroverebbe patrimonializzata un’esperienza di presa in carico che non potrà non proseguire».
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