Cultura

Pisa: all’ombra della Torre, il buon governo dei beni artistici

Migliaia di persone si apprestano, in questi giorni di festa, a visitare il Duomo, la piazza dei Miracoli e la celebre Torre di Pisa. A prendersi cura del sito patrimonio dell'Unesco è l'Opera della Primaziale Pisana, ente no profit, senza scopo di lucro, che rappresenta un modello efficiente - tutto da conoscere - di gestione del patrimonio culturale italiano: occupa più di 100 persone, con contratti a tempo indeterminato, fa più di 11 milioni di fatturato l’anno, di cui il 90% derivato dalla tariffazione dei biglietti e senza alcun contributo statale, né privato garantisce tutela, valorizzazione e restauro del complesso pisano

di Marco Dotti

Costruire non basta. Bisogna aver cura di quanto costruito. Affinché tutto si tenga, all’edificare va affiancato il conservare, all’amministrare il valorizzare, al fine di mettere quanto fatto e si fa al servizio del bene comune. Per questa ragione sono nate le fabbricerie. Che cosa sono le fabbricerie? Sono fabbriche – il termine deriva infatti dal latino fabrica, inteso come luogo del fare – sorte proprio per questa mutuo coinvolgimento di amministrazione e conservazione, dopo la costruzione di una cattedrale. Per il nostro ordinamento, fabbriceria è l’ente che provvede alla conservazione di un luogo sacro, come una chiesa, un duomo, una cattedrale. Sono fabbricerie quelle del Duomo di Milano e Pavia, di Santa Maria del Fiore e di Santa Croce a Firenze, ma anche quelle del Duomo di Orvieto e della Procuratoria di San Marco di Venezia.

L’Opera della Primaziale Pisana, o Opera del Duomo di Pisa è tra le più antiche e si prende cura dei monumenti della piazza dei miracoli di Pisa, sin dalla fondazione stessa della Cattedrale. Creata due mesi prima della costruzione del Duomo, nel 1063, col nome di Opera di Santa Maria Maggiore e dal 1999 è riconosciuta come organizzazione non a fini di lucro (ONLUS), regolata da un proprio Statuto che tra i suoi fini istituzionali individua la «tutela, promozione e valorizzazione del suo patrimonio artistico».

Un’efficientissima non profit culturale a tutti gli effetti. Un modello di buon governo dei beni artistici che, proprio dal suo non essere a scopo di lucro (Il presidente e la deputazione, ovvero il consiglio di amministrazione prestano inoltre la loro opera a titolo gratuito), ma avendo la struttura di un ente privatistico, trae gli strumenti per poter competere in un ambiente sempre più complesso come quello della valorizzazione dei beni artistici.
Per capire le ragioni di questa efficacia e per comprendere a pieno la modernità dell’impatto sociale delle azioni di una fabbriceria, anche in termini di sussidiarietà e ritorno sulla scena dei corpi intermedi, oltre a quella di lunga durata bisogna però ricorrere alla storia recente. La data spartiacque è il 1929.

Nel 1929, quando in fase di concordato Stato e Chiesa puntavano a regolamentare i reciproci rapporti, si pose la questione di questi enti particolari che erano (e sono) le fabbricerie. Enti di specifica caratterizzazione religiosa, le fabbricerie furono al cuore di una interessantissima disputa che – ecco il tratto fondamentale e a oggi caratterizzante la modernità di questo modello – non riguardava tanto la proprietà, quanto la gestione.

Il modello delle fabbricerie: radicare il futuro

Nella legislazione nata dai Patti Lateranensi del 1929, il tratto qualificante e qualificante di un ente ecclesiastico era di essere «formalmente riconosciuti dall’autorità ecclesiastica, e quindi appartenenti o collegati all’organizzazione giuridica della Chiesa cattolica». Ad oggi, l’Opera della Primaziale Pisana è soggetta in quanto fabbriceria proprio alla Legge Concordataria del 1929 ed è amministrata da un Consiglio composto da sette membri, nominati ogni tre anni. Cinque amministratori sono nominati dal Ministro degli Interni e gli altri due dalla diocesi. Questi amministratori provvedono a eleggere nel proprio seno il Presidente.

Stato e Chiesa intervengono però unicamente nella fase di nomina degli amministratori, dell’approvazione dello Statuto (quello attuale è in vigore dal 2002) e di controllo dei bilanci. Al di fuori di questo intervento, non c’è altra ingerenza: l’Opera della Primaziale Pisana è una onlus che si muove in forma assolutamente privatistica. Un modello ibrido, assolutamente vincente soprattutto nel campo dei beni culturali. Da un lato, c’è la questione del controllo: il modello-fabbriceria obbliga gli amministratori ad avere un fine molto chiaro e preciso – tra l’altro, pienamente conforme al dettame della Costituzione repubblicana – come la conservazione e valorizzazione dei beni. Alienazioni, vendite, strane partite di giro che, ahinoi, spesso vediamo nel privato questo ibrido virtuoso non le permette. Il bilancio è sottoposto a stretto controllo, preventivo e consuntivo, approvato dalla Prefettura – organo del Ministero degli Interni sul territorio – sentito l’Ordinario diocesano.


L'Opera della Primaziale Pisana è una onlus che si muove in forma assolutamente privatistica. Un modello ibrido, assolutamente vincente soprattutto nel campo dei beni culturali, sottoposto a un fermo controllo pubblico: alienazioni, vendite, strane partite di giro che, ahinoi, spesso vediamo nel privato questo ibrido virtuoso non le permette. Il bilancio è sottoposto a stretto controllo, preventivo e consuntivo, approvato dalla Prefettura – organo del Ministero degli Interni sul territorio – sentito l’Ordinario diocesano

La forma del decidere: un modello di buone pratiche

Dall’altro, c’è l’agilità della forma e della decisione: la fabbriceria è un soggetto privato e, come tale, può intervenire conformemente ai suoi scopi che, dall’articolo 1 dello Statuto, sono «custodia, tutela, conservazione e manutenzione, nonché nella promozione dell’immagine e valorizzazione» e «promozione della conoscenza della storia e dell’arte, in ogni sua forma e manifestazione culturale».

Da quasi quindici anni, l’Opera della Primaziale Pisana chiude i propri bilanci in utile. Essendo una no profit, questi utili vengono interamente reinvestiti per il buon governo di Piazza dei Miracoli.

Le maestranze: il fiore all'occhiello di Pisa

La struttura dell’Opera ha, come fiore all’occhiello, proprio le maestranze, ovvero i restauratori. L’Opera è oggi praticamente autonoma nel restauro materico e pittorico. Alle maestranze specializzate, si aggiungono quelle più generiche – falegnami, muratori, elettricisti -, oltre a un laboratorio di progettazione composto da due architetti e da una storica dell’arte. Ci sono poi i personali di custodia, di cassa e le guardie giurate, oltre a un piccolo personale addetto al culto.

La fabbriceria di Pisa occupa più di cento persone, tutte assunte a tempo indeterminato con un contratto collettivo ad hoc approvato da tutti i sindacati, con un efficientissimo sistema di conservazione, manutenzione e restauro interno e un modello di gestione del database, dei big data sui flussi turistici davvero invidiabili e un lavoro diretto con i tour operator globali e un flusso di visitatori in crescendo che è arrivato a 3milioni di visitatori l’anno. Un modello vincente e efficiente che fa più di 11 milioni di fatturato l’anno, di cui il 90% derivato dalla tariffazione dei biglietti. Nessun contributo statale, né privato: a Pisa l’Opera lavora – 365 giorni l’anno, senza un giorno di chiusura – con le proprie risorse, guadagnandosi il proprio spazio

Una struttura solida e agile che, oggi, a Pisa, occupa più di cento persone, tutte assunte a tempo indeterminato con un contratto collettivo ad hoc approvato da tutti i sindacati, con un efficientissimo sistema di conservazione, manutenzione e restauro interno e un modello di gestione del database, dei big data sui flussi turistici davvero invidiabili e un lavoro diretto con i tour operator globali e un flusso di visitatori in crescendo che è arrivato a 3milioni di visitatori l’anno. Un modello vincente e efficiente che fa più di 11 milioni di fatturato l’anno, di cui il 90% derivato dalla tariffazione dei biglietti. Nessun contributo statale, né privato: a Pisa l’Opera lavora – 365 giorni l’anno, senza un giorno di chiusura – con le proprie risorse, guadagnandosi il proprio spazio.

E se in tempi in cui si parla molto di “svecchiare il sistema”, di “innovare senza distruggere”, di “cercare nuovi modelli di gestione” il modello giuridico efficiente fosse proprio quello pisano?

In copertina: fotografia di Franco Origlia/Getty Images

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