Economia
Impatto sociale: servono più dati certi
Spesso l'Inghilterra viene guardata come un modello. Ma anche in quel contesto le evidenze sull'efficacia di strumento come i Social Impact Bond sono ancora molto poche. Inoltre proprio il modello d'oltremanica comporta rischi che i nostri policy maker dovrebbero evitare
Negli ultimi anni le politiche riguardanti l’impresa sociale italiana si sono ispirate a modelli sviluppati in Inghilterra (la Scozia invece ha deciso di non inserire nel suo contesto strumenti finanziari come i Social Impact Bond) e sono state promosse da un’ampia coalizione di politici, intermediari finanziari, consulenti e accademici (Caló e Teasdale, 2016). Questi modelli sono stati indicati come il possibile futuro dell’impresa sociale, basandosi sull’idea (neoliberalista) che le regole del mercato siano le piu efficaci (anche) per raggiungere un piú ampio impatto sociale (Nicholls and Teasdale, 2016). Visto che queste politiche sono state sviluppate da qualche anno nel mondo anglosassone, viene spontaneo chiedersi quali siano i risultati ottenuti fino ad ora e se ci siano dati disponibili per affermare che questi modelli debbano essere utilizzati per rispondere ai problemi sociali e/o per affermare che rappresentino un’alternativa efficace ed efficiente rispetto allo ‘status quo’ o ad interventi alternativi.
Prendiamo come esempio due delle policy sviluppate oltremanica spesso portate come esemplificazione di buone pratiche in Italia: I Social Impact Bond e l’utilizzo dell’impresa sociale come modello alternativo di sanitá low cost.
Relativamente ai Social Impact Bond, il Governo Britannico aveva fissato come obbiettivo da raggiungere la diminuzione del tasso di recidiva del 10% relativo agli ex carcerati (condannati a pene brevi) della prigione di Peterborough (foto), al raggiungimento del quale sarebbe stato pagato un early outcome. L’ultimo report pubblicato dal Governo (qui potete trovalo) evidenzia che nella prima fase del progetto non era stato raggiunto il livello previsto di diminuzione della recidiva (il tasso di recidiva si era fermato all’8.4%), tuttavia era stato superato il livello minimo del 7.5% per accedere alla seconda fase e eventualmente ricevere il pagamento. I risultati della seconda fase, giunta a compimento nell’estate 2016, non sono stati ancora promulgati. Sulla base di questi dati non vi é quindi per ora alcuna evidenza che il meccanismo dei SIB abbia raggiunto gli outcome previsti, ovvero il 7.5% di riduzione della recidiva complessivamente (prima e seconda fase).
Visto che queste politiche sono state sviluppate da qualche anno nel mondo anglosassone, viene spontaneo chiedersi quali siano i risultati ottenuti fino ad ora e se ci siano dati disponibili per affermare che questi modelli debbano essere utilizzati per rispondere ai problemi sociali e/o per affermare che rappresentino un’alternativa efficace ed efficiente rispetto allo ‘status quo’ o ad interventi alternativi.
Una simile mancanza di dati é presente anche nel caso delle imprese sociali impegnate sul fronte sanitario. Le imprese sociali britanniche che vengono piú spesso presentate dal Governo Britannico come esempi di successo sono organizzazioni che collaborano con (e non sostitutiscono) il servizio pubblico (vedere ad esempio i casi presentati Social Enterprise: Scaling New Heights). Inoltre secondo i risultati di una review sistematica della letterature accademica (di prossima pubblicazione), gli studi che comparano l’impresa sociale e il servizio pubblico nell’ambito socio-sanitario presentando dati di outcome, sono pochi e con risultati discordanti. Ricerche che hanno analizzato l’introduzione di dinamiche di mercato all’interno del terzo settore hanno evidenziato il rischio di diminuire l’impatto sociale di queste organizzazioni, trasformandole in strumenti molto piu simili ad organizzazioni for profit (Aiken and Bode, 2009; Eikenberry and Kluver, 2004).
Analizzare outcome come la diminuzione dei tassi di recidiva invece di includere anche una piú ampia analisi che potrebbe ad esempio coinvolgere le determinanti sociali della salute, porta a probabili alti rischi nell’analizzare il reale successo di un intervento
Questa breve analisi mostra quindi che al momento non ci sono dati per supportare queste politiche: semplicemente non sappiamo se porteranno a diminuire i problemi sociali. La mancanza di dati puó probabilmente derivare dalla difficoltá nel valutare l’impatto con i metodi fino ad oggi adottati. Si ha quindi la necessitá di determinare quali strumenti e metodi sia necessario sviluppare per valutarne corretamente l’impatto, nonché è necessario stabilire chi dovrebbe svilupparli (tematica che ha bisogno di un articolo di per se).
Tuttavia in questo articolo vorrei solo sottolineare i dubbi relativamente alla scelta di misurare solo un ristretto numero od un solo outcome quando vengono analizzati problemi sociali che sono per definizione complessi (per maggiori dettagli si consiglia un recente articolo che si puó leggere qui). Analizzare outcome come la diminuzione dei tassi di recidiva (come viene riportato nel report sul primo social bond inglese) invece di includere anche una piú ampia analisi che potrebbe ad esempio coinvolgere le determinanti sociali della salute, porta a probabili alti rischi nell’analizzare il reale successo di un intervento. Ad esempio calcolando solo la diminuzione del tasso di recidiva, é difficile se non impossibile determinare i meccanismi e le variabili di contesto che abbiano influenzato questo risultato e il ruolo che l’intervento ha avuto nel raggiungere l’outcome identificato. Diventa fondamentale quindi analizzare le variabili di contesto e i meccanismi che portano alla creazione di risultati affinché la valutazione dei progetti o interventi sia critica e complessiva (Pawson, 2002). In un secondo esempio, analizzando solo l’aumento dei servizi forniti dalla ‘sanitá low cost’ ai cittadini e l’aumento dei pazienti si potrebbe concludere che sia stato raggiunto un risultato sociale positivo. Ma questo risultato supera l’impatto negativo derivante dal perpetuarsi delle diseguaglianze della salute, possibilmente connesse alla creazione della sanitá accessibile solo da una parte della popolazione (ceto medio)? Quali sono, se ci sono, ad esempio gli effetti avversi di un intervento e i meccanismi sottostanti (Bonell et al., 2014)? Diventa quindi imprenscindibile analizzare i possibili rischi nell’introdurre questi strumenti, primo tra tutti il rischio di generare ulteriore diseguaglianza, quindi diminuire l’impatto sociale e trasformare o snaturare le imprese sociali in strumenti per raggiungere le prioritá politiche.
La sfida per i policy-makers, i ricercatori e i practitioners del nostro Paese dovrebbe essere quindi istituire a priori strumenti (e politiche) che identifichino e disinneschino questi rischi. Questo peró significa andare oltre il modello neoliberalista presentato in Inghilterra e ripensare un sistema pronto ad affrontare le sfide dell’Italia.
*l'autrice è PhD candidate dello Yunus Centre for Social Business and Health presso Glasgow Caledonian University
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