Politica

Fine vita, per il mondo delle cure palliative la legge è un buon compromesso

Il 20 febbraio è attesa in Aula alla Camera la legge sul fine vita, che disciplina il consenso informato e le dichiarazioni anticipate di trattamento. Il testo esplicita che il rifiuto del trattamento sanitario o l'interruzione «non possono comportare l'abbandono terapeutico» ed è sempre assicurata l'erogazione delle cure palliative. Per SICP e FCP finalmente si copre un vuoto normativo

di Sara De Carli

La Commissione Affari Sociali ha iniziato a votare gli emendamenti presentati alla legge sul fine vita, più propriamente “Norme in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari” (qui il testo adottato come testo base). Il testo è atteso in Aula alla Camera per il 20 febbraio.

Sotto la lente della Commissione, per il momento, c’è l’articolo 1 della legge (sono 5 articoli in tutto), dedicato al "consenso informato". Gli emendamenti ad oggi approvati riguardano l’introduzione della parte dell'unione civile o il convivente ovvero una persona di sua fiducia accanto ai familiari che possono essere coinvolti, se il paziente lo desidera, nella relazione di cura; il fatto che il consenso informato è espresso in forma scritta ovvero, nel caso in cui le condizioni fisiche del paziente non lo consentano, attraverso videoregistrazione o dispositivi che consentano alla persona con disabilità di comunicare; il consenso informato, in qualunque forma espresso, viene inserito nella cartella clinica o nel fascicolo elettronico.

La Società Italiana di Cure Palliative (SICP) e la Federazione Cure Palliative (FCP) esprimono apprezzamento per il testo unificato in esame, «che valorizza le volontà del malato espresse sia in forma attuale (consenso informato) che in forma anticipata (disposizioni anticipate di trattamento) ma anche in situazioni di emergenza e urgenza».

Per Luca Moroni, presidente della FCP, «è importante sancire il diritto del malato di rifiutare qualsiasi trattamento, compresa la nutrizione e l’idratazione artificiale che risultano peraltro quasi sempre controindicate nella fase terminale di malattia e rispettare le sue visioni valoriali. Il testo sottolinea che il rifiuto di trattamento non comporta l’abbandono terapeutico del malato ma, al contrario, valorizza un approccio orientato al controllo delle sofferenze, alla gestione dei bisogni psicofisici globali e a un accompagnamento costante realizzato dalle cure palliative, come prescritto dalla legge 38/2010». Il testo attualmente in discussione infatti, all’articolo 1 comma 5 prevede che «ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere ha il diritto di accettare o rifiutare qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico per la sua patologia o singoli atti del trattamento stesso. Ha, inoltre, il diritto di revocare in qualsiasi momento il consenso prestato, anche quando la revoca comporti l'interruzione del trattamento, ivi incluse la nutrizione e l'idratazione artificiali. L'accettazione, la revoca e il rifiuto sono annotati nella cartella clinica o nel fascicolo sanitario elettronico». Sul punto nutrizione e idratazione artificiale si è a lungo dibattuto negli anni scorsi, in particolare in seguito alla vicenda di Eluana Englaro e la proposta che più era arrivata vicina all’approvazione, quella di Calabrò, prevedeva che idratazione e nutrizione, anche artificiali, fossero sempre da considerare sostegni vitali e che nelle DAT non si potesse chiederne la sospensione.

Un altro cambiamento, segno del diverso sentire culturale, riguarda il fatto che ora «il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente e in conseguenza di ciò è esente da responsabilità civile o penale» (art 1 comma 7), mentre anni fa le indicazioni sulle Dat erano «non vincolante per il medico». Il rifiuto del trattamento sanitario indicato o la rinuncia al medesimo, precisa la legge, «non possono comportare l'abbandono terapeutico. Sono quindi sempre assicurati il coinvolgimento del medico di famiglia e l'erogazione delle cure palliative di cui alla legge 15 marzo 2010, n. 38». Per Italo Penco, presidente di SICP, che sottolinea questa parte di normativa «garantisce il rispetto realistico della volontà del malato». Su questo punto nei giorni scorsi Mario Riccio, l'anestesista e rianimatore che nel 2006 esaudì la volontà di Piergiorgio Welby, ha paventato il rischio che anche questa legge sia «inutile» perché non si potranno rispettare realmente le volontà del paziente, mentre altri hanno mosso critiche esattamente opposte, affermando che con questo testo, il medico rischia di diventare mero esecutore testamentario delle scelte del paziente.

SICP e FCP della legge in esame apprezzano il fatto che la comunicazione sia riconosciuta come «un’esigenza di malati, familiari e sanitari», mentre oggi questa è spesso «ignorata dalle attività cliniche orientate alle prestazioni più che alla costruzione di un rapporto fiduciario ed empatico». Gli articoli sulla disposizione anticipata di trattamento e sulla pianificazione anticipata delle cure «rappresentano, in continuità con il consenso informato, la parte più innovativa del testo, perché finalmente coprono un vuoto normativo vissuto come critico da malati e sanitari. Le formule prescritte per legalizzare le disposizioni anticipate fanno riferimento alla cartella clinica, realizzando un buon compromesso fra le comprensibili esigenze di tutela giuridica delle volontà espresse e la indispensabile flessibilità operativa che la clinica impone e che sarebbe compromessa da una burocratizzazione eccessiva delle procedure formali».

Foto Unsplash

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