Volontariato

Bambini maltrattati: proteggere non basta, ci vuole la cura

Abusato a sei anni, preso in cura a dieci, nonostante il caso fosse noto: non è un caso eccezionale, denuncia il Cismai, i servizi sono sempre più in affanno e oltre alla prevenzione ormai manca anche la cura. In Italia sono 100mila i minori maltrattati e la sfida culturale vera è smettere di pensare che a maltrattare i bambini siano "gli altri", i mostri: «il maltrattamento riguarda tutte le classi sociali, però ha forme differenti»

di Sara De Carli

In Italia sono 100mila i minori maltrattati presi in carico dai servizi sociali. Bambine e stranieri sono le categorie più esposte. Il fenomeno è più frequente al Sud, con 273,7 bambini maltrattati ogni mille minori: al Nord le statistiche si fermano a 155,7. Il 10 e l’11 febbraio il CISMAI – Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia organizza a Bologna gli Stati generali sul maltrattamento in Italia: l’obiettivo è fare il punto della situazione su un fenomeno così drammaticamente diffuso nel nostro Paese. Ne parliamo con Monica Micheli, componente del Consiglio Direttivo del CISMAI, giudice onorario del Tribunale per i Minorenni di Roma e supervisore al Centro di Aiuto al Bambino Maltrattato e alla Famiglia di Roma.

Cos’è cambiato nei tre anni trascorsi dai precedenti Stati generali del Cismai? La violenza sui minori in Italia è davvero in aumento, come hanno affermato alcuni commentatori che hanno parlato di una «preoccupante escalation»?
Un nodo cruciale di questo fenomeno è la difficoltà di avere dati organici. Per questo faccio fatica a rispondere oggettivamente alla sua domanda: non abbiamo dati organici, abbiamo solo numeri spot o disomogenei. Serve invece un sistema adeguato di raccolta dati e la messa in rete dei dati dei servizi: è un lavoro iniziale che richiede un investimento economico, di energie e di volontà, poi a regime andrebbe avanti quasi da solo. È una urgenza che diciamo a gran voce da tempo, ma nulla è mai stato fatto.

L’esperienza sul campo invece cosa dice?
Le difficoltà che incontriamo sul campo sono a vari livelli. Per esempio c’è un impoverimento dei servizi ASL deputati alla cura, che stanno diventando delle scatole vuote, con pochissime risorse: ormai non riescono a prendere in carico le persone. Le cito solo un caso, che non è un’eccezione: un bambino abusato a sei anni da un amico di famiglia, che non è stato curato per il trauma subito, se non quando è arrivato a 10 anni, nonostante avesse tre diagnosi e nonostante il caso fosse emerso (perché sappiamo che sul tema maltrattamenti e abusi c’è moltissimo sommerso ancora). Nessuno l’ha preso in carico sul piano terapeutico, nonostante il bambino manifestasse dei disturbi comportamentali importanti, finché i genitori l’hanno portato in casa famiglia perché non erano in grado di occuparsene. È naturale che questo bambino avesse dei disturbi, le ferite non guariscono da sole: le misure protettive servono ma non basta, quello è il primo step, dopo aver protetto ci vuole la cura. Su questo però purtroppo siamo molto indietro. Nessuno sembra volersi render conto che vanno attivate le cure, in maniera tempestiva. Altrimenti, come in questo caso, bambino paga il doppio scotto, alla fine viene allontanato dalla famiglia stessa, non per proteggerlo ma perché “per noi è un peso troppo grande”.

Le cito un caso, che non è un’eccezione: un bambino abusato a sei anni da un amico di famiglia non è stato curato per il trauma subito, se non quando è arrivato a 10 anni. Nessuno l’ha preso in carico sul piano terapeutico, nonostante il bambino manifestasse disturbi comportamentali importanti, finché i genitori l’hanno portato in casa famiglia perché non erano in grado di occuparsene.

Se sulla cura siamo a questo livello, figuriamoci sulla prevenzione…
E dire che la prevenzione, anche solo dal punto di vista economico, è un investimento: una ricerca che abbiamo commissionato all’Università Bocconi ha dimostrato che un euro in prevenzione porta sette euro risparmiati nella cura. E oggi spendiamo oltre 13miliardi di euro annui (lo 0, 84% del Pil) per interventi di cura e assistenza. Sappiamo benissimo quello che bisognerebbe fare: formazione dei pediatri e degli insegnanti affinché possano riconoscere tempestivamente i segnali di maltrattamento e abuso, attivazione di interventi per parlare direttamente con i bambini, dare un sostegno precoce alla relazione madre bambino… mancano volontà e risorse.

La prima forma di maltrattamento in Italia è la trascuratezza: il 47% dei bambini e delle bambine in carico ai servizi è vittima di gravi forme di trascuratezza materiale e affettiva. Ci spiega perché è un dato da non sottovalutare?
Ha ragione, tendiamo a sottovalutare ciò che il termine trascuratezza esprime. Abuso sessuale sappiamo cos’è, le botte idem, la trascuratezza è meno evidente, si manifesta in tante forme, è necessario mettere insieme tanti dati, è difficile fare una diagnosi. Facciamo un esempio: un’insegnante vede un bambino che arriva sempre senza materiale, sporco, con i denti cariati, un po’ denutrito, messi tutti insieme sono espressione del fatto che il bambino non è visto nei suoi bisogni fondamentali, che sono tanti. Trascuratezza significa non essere pensato come qualcuno che necessita di cure, negli aspetti materiali, affettivi, emotivi… Per il Consiglio d’Europa il maltrattamento è attivo e passivo, sono gli atti e le carenze che turbano gravemente il bambino: c’è maltrattamento quando ci sono atti maltrattanti ma anche quando c’è carenza di atti di cura, ossia cose che non faccio e che invece dovrei fare. Non è una questione da poco, perché questo non essere visto e curato nei propri bisogni, questa continua carenza di cura mette il bambino in una condizione di trauma cronico con cui deve fare continuamente i conti: è come una pianta che non innaffio quasi mai . La pianta, il fiore, si trova a vivere continuamente in carenza, in disagio.


Il cuore della trascuratezza è non vedere i bisogni del bambino e questo è trasversale alle classi sociali. Culturalmente tendiamo a pensare che il maltrattamento dei bambini sia qualcosa di lontano da noi, che riguardi qualcun altro, invece non è così. Questo è il primo passo da fare. Non sono i mostri che maltrattano i bambini, non è qualcosa fuori da noi, è qualcosa che riguarda noi tutti.

Questa immagine della pianta non innaffiata è simile alla metafora che si usa parlando di povertà educativa, quando si dice che la povertà educativa è come un fiore che non è messo nelle condizioni di poter fiorire. C’è un nesso tra la crescente povertà delle famiglie con minori (questa sì documentata come galoppante) e il maltrattamento dei bambini stessi?
Una relazione statistica può esistere, come quando diciamo che il fenomeno riguarda di più gli stranieri: il fatto però ovviamente non è che le famiglie degli stranieri in sé si curino meno dei loro figli, ma che molte famiglie straniere vivono in condizione di marginalità, di disagio, di provvisorietà, in situazioni che rendono più fragile la loro genitorialità. Quindi no, maltrattamento e povertà non sono assolutamente la medesima cosa e anzi dobbiamo sfatare questo nesso, dobbiamo vedere la povertà come uno dei fattori di rischio. La trascuratezza e il maltrattamento si manifestano in realtà in tutti i ceti sociali, trasversalmente, solo assumono forme diverse. Esistono famiglie benestanti che mandano a scuola i bambini puliti, ma che trascurano i figli in altri modi importanti, seppur meno socialmente stigmatizzati: bambini che trascorrono la giornata intera in solitudine, a cui nessuno spiega come usare la tecnologia, che nessuno accompagna nello sviluppo emotivo. Se il cuore della trascuratezza è non vedere i bisogni del bambino, questa è trasversale alle classi sociali. Culturalmente tendiamo a pensare che il maltrattamento dei bambini sia qualcosa di lontano da noi, che riguardi qualcun altro, invece non è così. Questo è il primo passo da fare. Non sono i mostri che maltrattano i bambini, non è qualcosa fuori da noi, è qualcosa che riguarda noi tutti.

Una ricerca che abbiamo commissionato all’Università Bocconi ha dimostrato che un euro in prevenzione porta sette euro risparmiati nella cura.

Dagli Stati generali emergeranno anche richieste da fare alla politica?
Innanzitutto fondi e stanziamenti, perché questo è un problema di salute pubblica. È urgente inoltre che lo Stato si doti di una legge organica sulla prevenzione che sistematizzi in maniera strutturale a livello nazionale le misure su questa materia. Io non credo però che tutto si esaurisca con la legge: il problema sono i passi successivi, individuare priorità e tradurre tutto in azioni di sistema, organiche. Siamo pieni di linee guida, a cui spesso non seguono le azioni concrete. Alla fine degli Stati Generali, il Cismai produrrà un documento in cui ribadirà in 10 punti le priorità del momento attuale e i principi da porre all’attenzione delle istituzioni.

Foto Annie Sprat/Unsplash

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