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Sempre più piccoli e più femmine: come cambia la foto dei minori non accompagnati

Il 2016 è stato l'anno record di minori stranieri non accompagnati sbarcati in Italia: 25.772. Crescono i numeri ma cambia anche il profilo: sono sempre più giovani e sempre più le ragazze, legate verosimilmente alla tratta di esseri umani. Per loro serve un sistema che superi l'emergenza e che preveda risposte differenziate: la più innovativa sono gli alloggi educativi di avvio all'autonomia.

di Sara De Carli

Nel 2016, secondo il ministero del’Interno, sono sbarcati in Italia 25.772 minori stranieri non accompagnati, più del doppio dei 12.360 sbarcati nell’anno precedente (+108%). I minori soli sono il 14% dei 181.436 migranti sbarcati sulle nostre coste. Un dato numericamente in crescita esponenziale, ma non solo: una realtà che sta cambiando, perché non si tratta più solo di ragazzini di 16/17 anni, maschi, che hanno scelto di cercare qui un futuro migliore o mandati avanti dalla famiglia. Sempre più spesso arrivano anche femmine (per cui è facile immaginare un coinvolgimento nel sistema della tratta di esseri umani e della prostituzione) e ragazzini più piccoli, di 13 o 14 anni. Il censimento mensile del Ministero dell’Interno al 30 novembre 2016 parlava di 17.245 minori stranieri soli censiti e 6.508 irreperibili. Di quelli censiti, 1.198 sono femmine, 1.301 hanno fra i 7 e i 14 anni, 40 hanno fra 0 e 6 anni, con una diversificazione fra le età molto più accentuata fra le femmine.

Il tutto mentre la legge Zampa-Pollastrini (AS 2583) che ridisegna il sistema dell’accoglienza per i minori stranieri non accompagnati, sta lentamente avviando il suo iter al Senato, dopo essere stato approvato a ottobre alla Camera, tre anni dopo la sua presentazione. Ne parliamo con Liviana Marelli, responsabile Infanzia del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (CNCA).

Che quadro possiamo fare, dal campo?
Il dato certo è che i minori stranieri non accompagnati sono in aumento e che non si tratta di un’emergenza: arriveranno anche nel 2017 e anche l’anno dopo ancora, quindi la prima cosa è la necessità, già ripetuta tante volte, di uscire immediatamente dalla logica dell’emergenza. In secondo luogo il dato su cui stiamo ragionando è che pur restando alte le percentuali di maschi grandi, di 16-17, sta avvenendo un cambiamento. Il numero delle ragazze sta crescendo: sono ancora poche, ma la curva è in aumento. Si sta abbassando anche l’età, non è più il ragazzino grande mandato dalla famiglia o che ha scelto di migrare, cominciamo ad avere anche ragazzini di 14 anni arrivati con il barcone. Quindi aumentano i numeri e contemporaneamente cambia il panorama: questo porta fare una riflessione su cosa sta succedendo nei Paesi d’origine e qui in Italia ovviamente a progettualità di accoglienza diverse, da ripensare.

La presenza crescente di ragazzine è collegata alla tratta?
È facile immaginarlo. La tratta di esseri umani sta coinvolgendo ragazze di età sempre più bassa, nelle nostre case di protezione le vittime di tratta sono già ragazzine poco più che neomaggiorenni, ma fra 19 e 16 anni c’è comunque differenza. Ancora una volta dobbiamo fare attenzione a non immaginare che la risposta possa essere unica, la differenziazione delle problematiche e delle età detta innanzitutto la necessità di ricostruire dei luoghi di pensiero: il nostro lavoro – e stiamo cominciando anche a cogliere qualche risposta dagli enti locali – punta a smettere di lavorare sull’emergenza, creando luoghi di pensiero locali dove si mettano insieme pensieri e risorse del pubblico e del privato, per costruire un sistema stabile e flessibile, per dare risposte differenziate ma dentro un sistema coordinato dall’ente locale. Questo sistema è assolutamente necessario e francamente non possiamo attendere ancora molto tempo per metterlo in piedi.

Cosa dovrebbe stare dentro questo sistema di risposte?
Intanto chi. L’ente locale e la comunità locale, non solo il Comune e l’ente gestore perché certo, la cooperazione può strutturare le risposte, ma qui serve coinvolgere anche le parrocchie, le famiglie, il volontariato. Quanto al cosa, servono risposte diverse, proprio perché i bisogni sono diversi, ma dentro una cornice di diffusione dei luoghi di pronta accoglienza. Non dei Cas quindi, e per fortuna la circolare di settembre di Morcone che autorizzava ad aprire centri di accoglienza straordinaria anche per i minori sopra i 14 anni, senza indicare un tempo massimo di permanenza, da 50 posti, senza nessuna condivisione con gli enti locali, non è stata attuata da nessuna parte. Forse anzi il rischio dell’imposizione di un CAS ha mosso i Comuni a dire “proviamo ad attivarci”. Diverse realtà locali ultimamente si sono attivate, anche con una certa sensibilità e disponibilità, però serve una regia a livello nazionale, serve un sistema organizzato che preveda centri di pronta accoglienza per 15/20 ragazzi, che duri davvero 3 mesi e lavori bene sulla valutazione del caso. Dopo i tre mesi c’è una rete di possibili accoglienze, diffusa e flessibile come dicevo.

La risposta più innovativa, sono gli alloggi educativi di avvio all’autonomia, pensati per ragazzi di 17/18 anni, che si differenziano dalle comunità perché hanno un presidio educativo più leggero. Abbiamo fatto una sperimentazione con il Comune di Milano e in alcune comunità lombarde, è una buona risposta e stiamo costruendo una proposta. È molto interessante anche per i minori italiani.

Ovvero? Quali sono queste risposte differenziate per l’accoglienza diffusa?
Innanzitutto la rete di comunità di accoglienza già esistenti. Avviene già, all’interno delle mie comunità ci sono MSNA pur non avendo noi comunità specifiche per MSNA. Possono stare insieme agli altri ragazzi, con progetti che rispondano alle loro specificità, non è necessario creare una cosa ad hoc. Due, le comunità per MSNA del ministero dell’interno: devono essere di più. Il problema allora è dove le apriamo? Chi ha case a disposizione? C’è bisogno di una sinergia con il volontariato e con le famiglie, ci affittate luoghi per costruire risposte con numeri contenuti, massimo 10, per ragazzini utra14enni? Ci deve essere una corresponsabilità, se il Comune e la cooperazione sono insieme nel fare questa proposta, la risposta è diversa. Peraltro in queste comunità la retta riconosciuta è di 45 euro al giorno, pochissimo, la cooperazione lavora in perdita: in un discorso di corresponsabilità però siamo disposti a metterci del nostro, se siamo all’intero di un sistema io ci sto. Una terza risposta, la più innovativa, sono gli alloggi educativi di avvio all’autonomia.

Di che si tratta?
Sono realtà pensate per ragazzi di 17/18 anni, che si differenziano dalle comunità perché hanno un presidio educativo più leggero, ma sempre H24 e lavorano molto sull’autonomia. Un ragazzo di 17 anni e sei mesi, nel giro di pochi mesi sarà fuori, è ovvio che devi innanzitutto pensare alla sua autonomia. Però sempre con appropriatezza, quei tre mesi della pronta accoglienza devono servire per capire di cosa ha bisogno il singolo ragazzo: noi lo vediamo nelle comunità, non è che il fatto di essere MSNA di 17 anni equivalga ad essere autonomi, magari hanno una enorme capacità di cavarsela ma una fragilità incredibile. Nei giorni scorsi un ragazzo in Toscana ha accoltellato due educatori, è ovvio che quello è un ragazzo fragile, che ha bisogno della comunità anche se ha 17 anni, non puoi pensare solo all’elemento etnico. Differenziare fra la comunità e gli alloggi educativi permette di avere risposte più appropriare e anche di riequilibrare i costi. Abbiamo fatto una sperimentazione a Milano con il Comune e anche in alcune nostre comunità lombarde, abbiamo visto che è una buona risposta, tanto che stiamo costruendo una proposta. Tra l’altro sarebbe una risposta molto interessante anche per i minori italiani.

La legge Zampa-Pollastrini serve assolutamente, insieme a quella sulla cittadinanza. Queste due leggi vanno approvate in tempi rapidissimi, così come sono: non perché siano perfette, ma perché è urgente avere qualcosa, anche minimo. Tutto è migliorabile se hai una base, ma non possiamo sempre ripartire da capo.

Nel sistema di risposte non ci sono le famiglie?
È un tassello, certo: come attiviamo famiglie accoglienti? Le famiglie sono una risorsa preziosa: possono essere famiglie d’appoggio, che si affiancano alle comunità ad esempio nel fine settimana o nelle vacanze, alcuni comuni stanno pensano di valorizzare il servizio civile in questo senso, ma si può anche arrivare a un affido vero e proprio. In questo però la famiglia non può essere lasciata sola. Qualche affido di MSNA c’è, ma sono molto pochi ancora, esperienze singole. Il Tavolo Nazionale Affido nell’ottobre 2016 ha elaborato un documento su questo, “Minorenni stranieri non accompagnati e accoglienza familiare” (documento in allegato, ndr).

Gli enti locali come si pongono?
Chiedono una mano. L’avere un sistema può sembrare banale invece è un aiuto concreto, perché all’amministratore pressato da minori che si trovano in strada, l’idea di potere avere tre mesi di tempo dentro cui costruire un percorso in collaborazione con il Terzo settore è essenziale. Vedo che stanno nascendo cose, senza rigidità, una disponibilità a pensare. Possiamo tollerare l’emergenza per qualche mese ancora, ma solo se parallelamente si inizia a mettere in piedi un sistema. Qualcosa c’è già, ma dobbiamo mettere insieme i pezzi e uscire dall’emergenza.

In tutto questo, la legge Zampa-Pollastrini cosa cambierebbe?
Quella legge serve assolutamente, insieme a quella sulla cittadinanza. Uscire dall’emergenza significa anche ragionare in termini di diritti, che vanno resi esigibili. Queste due leggi vanno approvate in tempi rapidissimi, così come sono, senza emendamenti che porterebbero a ulteriori passaggi parlamentari: non perché siano perfette, ma perché è urgente avere qualcosa, anche minimo. Tutto poi è migliorabile se hai una base, ma non possiamo sempre ripartire da capo.

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