Politica

Le sfide dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo

Un anno fa nasceva tra non poche difficoltà l'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo. Dagli adempimenti legislativi e regolamentari alla costruzione di una nuova struttura organizzativa, passando per la nomina di nuovi dirigenti e la formalizzazione delle sedi estere, "bene o male, molto è stato fatto negli ultimi dodici mesi" scrive in un'analisi di bilancio Nino Sergi. Tuttavia, il cammino per raggiungere gli obiettivi fissati dalla Legge 125 è ancora lungo, sottolinea il policy advisor della rete di Ong Link 2007.

di Nino Sergi

Un anno fa – era lunedì 4 gennaio – l’Agenzia Italiana per la cooperazione allo sviluppo (AICS) iniziava le attività in via Contarini, di fronte al palazzo della Farnesina a Roma. Si stava così attuando la riforma voluta dal Parlamento con la legge 125, approvata praticamente all’unanimità nell’agosto 2014, che sostituiva la precedente del lontano 1987 e conferiva ampia autonomia all’Agenzia pur nello stretto legame con il Ministero ridefinito “degli affari esteri e della cooperazione internazionale”.

Dodici mesi sono più che sufficienti per fare il punto e tratteggiare una valutazione di quanto finora realizzato. Contiamo quindi che l’Agenzia produca presto il suo primo rapporto e che ne faccia oggetto di discussione e verifica, anche al fine di raccogliere contributi utili al progressivo miglioramento e all’effettiva attuazione di quanto voluto dal legislatore e dai tanti soggetti coinvolti.

Bene o male, molto è stato fatto, indubbiamente: adempimenti legislativi e regolamentari, nuova struttura organizzativa, nuovi dirigenti, formalizzazione delle sedi estere, procedure per la concessione di contributi, linee guida, bandi e finanziamento di progetti, procedure di gestione e rendicontazione, programmazioni finanziarie per strumenti e per paese, erogazione di finanziamenti eccetera. Molto di più poteva essere fatto se la legge sul pubblico impiego non avesse impedito l’assunzione dei sessanta tecnici mancanti al completamento della struttura e il perfezionamento dei dirigenti generali.

Bene o male, molto è stato fatto, indubbiamente. Molto di più poteva essere fatto se la legge sul pubblico impiego non avesse impedito l’assunzione dei sessanta tecnici mancanti al completamento della struttura e il perfezionamento dei dirigenti generali.

Soddisfatti dunque? Pur apprezzando il lavoro svolto e la professionalità e dedizione dimostrata da alcuni che nonostante le difficoltà hanno continuato a dare il meglio di sé, non c’è a mio avviso da rimanere soddisfatti, almeno per ora. La nuova Agenzia per la cooperazione allo sviluppo sembra ancora lontana dal corrispondere a quella novità migliorativa e propulsiva rispetto agli anni passati che il legislatore ha pensato e voluto con la nuova legge.

Se nel primo anno, quello indubbiamente più difficile, è stato doveroso pazientare, sostenere, appoggiare anche quando non convinti delle scelte che si stavano facendo, con il secondo anno sarà invece doveroso affiancare ai pubblici apprezzamenti i dubbi e le critiche ogni volta che saranno ritenuti evidenti e necessari. Sempre in modo costruttivo, come ad esempio le rappresentanze delle Ong, unitariamente, hanno dimostrato di saper fare negli anni; ma anche in modo convinto e deciso. Nessuno vuole un’Agenzia debole, che non esprima al meglio e con tutta la sua forza e spinta ideale il grande compito che la legge le ha affidato. Per riuscirci sembra necessario un salto di qualità, una visione chiara e un più forte e incessante impegno, fino anche a battersi senza timore e assumendo le proprie responsabilità di fronte agli ostacoli che la mentalità burocratica italiana talvolta frappone.


È stato superato l’ostacolo delle sessanta nuove assunzioni, indispensabili per il pieno funzionamento dell’Agenzia come previsto dalla legge 125 ma impedite da una rigorosa attuazione delle norme sul pubblico impiego. C’è voluto quasi un anno per rendere evidente alla politica un problema di per sé lampante e poter inserire un emendamento nella legge di Bilancio. Quanto tempo perso, verrebbe da dire.

Pur essendo una delle priorità dell’Agenzia non sembra invece essere stata adeguatamente affrontata l’urgenza del perfezionamento dei livelli dirigenziali generali, quelli dei due vicedirettori. Si è puntato sul vicedirettore a capo dell’area giuridico-amministrativa rimandando al completamento dell’organico la nomina del vicedirettore per l’area tecnica. In questo modo, anche il Comitato direttivo dell’AICS che deve esprimere il parere collegiale su quasi tutti i suoi atti si trova in una specie di limbo devitalizzante. Come è pensabile che possano essere assunte decisioni relative al personale tecnico, alla programmazione delle attività, alle proposte di finanziamento, al bilancio preventivo e alla sua ripartizione, ai regolamenti, alla stessa strutturazione e organizzazione dell’Agenzia e delle sedi estere, in assenza del direttore tecnico che dovrà farle proprie e attuarle con la massima convinzione e determinazione, trovandosi però con le mani legate, magari di fronte a scelte ritenute inefficaci o inadatte?

Pur essendo una delle priorità dell’Agenzia non sembra invece essere stata adeguatamente affrontata l’urgenza del perfezionamento dei livelli dirigenziali generali, quelli dei due vicedirettori.

Il direttore dell’Agenzia ha a sua volta le mani legate dall’articolo 19 del D.Lgs. 165/2001: così vanno ripetendo tutti. Esso stabilisce infatti che il numero dei dirigenti generali debba essere proporzionale alla dotazione organica. Essendo questa ancora incompleta, la proporzionalità al momento raggiungibile è quella di un solo dirigente generale e l’opzione è stata per l’area giuridico-amministrativa. Ai consulenti giuridici dell’AICS viene però da chiedere perché talvolta le leggi sono meticolosamente interpretate partendo dalle finalità che il legislatore si proponeva e valutando i singoli commi in funzione del loro raggiungimento e perché altre volte ci si attacca, invece, unicamente alla lettera ignorando la volontà migliorativa e risolutiva del legislatore, fino a rischiare di farla fallire? È proprio di fronte a questo secondo caso che sembra di trovarci. Data la posta in gioco, vale la pena che l’Agenzia faccia di tutto per proporre, esigere, una via di uscita.

La legge 125 stabilisce la dotazione organica dell’Agenzia che, a regime, avrà 200 persone in Italia e 100 nelle sedi all’estero, con due strutture dirigenziali di livello generale (vicedirezioni) e altre di livello non generale. Di fronte ad un piano di nuove assunzioni, definito nel tempo e nella quantità e che implica la presenza di due dirigenti generali al fine del completamento dell’organico secondo quanto stabilito dalla legge, non diventa facilmente superabile l’interpretazione che si debba prima completare il personale tecnico e dirigenziale non generale, capovolgendola per iniziare invece – come qualsiasi organizzazione intelligente imporrebbe – dalla testa, dalla scelta del dirigente generale che dovrà presidiare, governare e qualificare tale processo di completamento? Cosa cambia di così stravolgente alla conclusione del processo, anche dal punto di vista normativo? Non sarebbe questa la via per rispondere al meglio alla volontà del legislatore che ha fatto della qualità dei processi e delle scelte la bandiera della riforma legislativa?

Non si tratta di un punto da poco. Né può essere ridotto ad una questione tecnica. Un’Agenzia basata sulla dimensione giuridico-amministrativa, come appare in parte oggi, interesserebbe davvero a pochi.

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