Welfare

Il saluto di Luca, Lele, Vanni e Silvio: «Benvenuti a casa nostra»

Nel pavese quattro disabili psichici vivono in autonomia in una casa privata. È la sperimentazione più innovativa in Italia sul Dopo di Noi. Ci siamo entrati

di Diletta Grella

Sono le otto del mattino e il pulmino è giù che aspetta. Luca va in camera sua e si mette qualche goccia di profumo. Lele scappa a prendere una cosa che si è dimenticato. Vanni si ferma immobile sulla porta, con Silvio dietro che borbotta: «Non fatemi fare tardi!». Ora sono tutti pronti. Giù per le scale e via. Luca, Lele, Vanni e Silvio sono i destinatari di un progetto innovativo di convivenza assistita, per persone con disabilità intellettiva, realizzato dalla cooperativa sociale “Come Noi” di Mortara (provincia di Pavia). La coop aderisce al circuito di Anffas (Associazione nazionale famiglie di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale). I quattro “ragazzi”, come li chiamano affettuosamente tutti (nonostante abbiano ormai dai 43 ai 52 anni), vivono insieme in un appartamento. Non abitano cioè in una casa-famiglia o in una microstruttura residenziale come molte persone nella loro stessa condizione, ma in un domicilio privato, a Parona Lomellina, sempre nel pavese. Al mattino un pulmino passa a prenderli e li porta nei centri della cooperativa dove svolgono diverse attività. E poi alla sera li riaccompagna a casa.

Le origini
Tutto è iniziato nel 2013, quando i genitori di Luca hanno offerto alla cooperativa la possibilità di utilizzare, in comodato d’uso gratuito, un appartamento di loro proprietà come casa per il figlio e per altri amici. Prima c’è stata una fase sperimentale di “prova di convivenza”, a cui ha partecipato una decina di disabili intellettivi. Dopo qualche mese, il gruppo di conviventi è nato un po’ da sè, perché Luca, Lele, Vanni e Silvio, già amici, hanno dato prova di riuscire a stare insieme con reciproca soddisfazione.

D’altro canto, per i genitori dei primi tre, ormai anziani, stava diventando sempre più difficile prendersi cura dei figli. A ciò si aggiunga che il tutore di Silvio ha subito deciso di condividere con gli altri il suo personale di assistenza domestica, facendosi carico di questa spesa. E così, dall’intreccio di bisogni e risorse, è nato “A Casa Mia”: il progetto ha preso il via, quando la cooperativa sociale “Come Noi” ha assunto il ruolo di “case manager”. «Lo sentiamo come un progetto moderno» chiarisce Marco Bollani, direttore della cooperativa, oltre che referente tecnico per tutte le politiche di vita indipendente e “dopo di noi” del circuito Anffas. «Oggi il sistema di welfare prevede risposte standard, tra cui comunità alloggio, residenze sanitarie, comunità socio sanitarie. Noi abbiamo scommesso sulla possibilità per i disabili di scegliere dove vivere e con chi vivere, in linea con l’articolo 19 della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità». “A Casa Mia” è partito dal basso, dalla spinta delle famiglie che hanno colto il bisogno di autonomia dei figli e hanno messo a disposizione le loro risorse personali.

«Anche questo», continua Bollani «è un elemento innovativo, che fa capo ai principi di sussidiarietà e di solidarietà: le famiglie non si sono affidate alle istituzioni, aspettando immobili una soluzione ai loro problemi. Hanno invece collaborato attivamente, per costruire un percorso di indipendenza dei figli. Fondamentale poi il ruolo dato alla comunità: Luca, Lele, Vanni e Silvio si trovano immersi nella vita di Mortara e di Parona. Fanno la spesa nel negozio sotto casa, si fermano al bar, vivono in mezzo agli altri. La comunità, in questo modo, è spinta a diventare un luogo di inclusione sociale».

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Alcune immagini della vita quotidiana della casa


Un modello nazionale
A supporto di “A Casa Mia” ci sono due figure professionali: assistenti ed educatori. «Un assistente resta con i ragazzi dalla sera alla mattina» chiarisce Sara Cundari, responsabile dei servizi residenziali di “Come Noi”. Poi, durante il giorno, i ragazzi frequentano i servizi offerti dalla cooperativa: dalla fisioterapia all’orto, a laboratori vari. Qui intervengono gli educatori che si occupano di migliorare la loro capacità relazionali e di autonomia. Alcuni volontari danno una mano quando serve. Il progetto, quindi, non vuole annullare i servizi tradizionali. Anzi, partendo dai servizi, mira a trovare vie alternative che favoriscano la graduale emancipazione dei ragazzi. “A Casa Mia” rientra nel Piano di Zona del Comune di Mortara come intervento sperimentale di welfare innovativo, in base alla legge regionale 3/2008, Titolo V. I residenti pagano 23 euro al giorno. I Comuni di residenza dei ragazzi contribuiscono con altri 39. In Italia ci sono altre esperienze simili, ma quella di Parona Lomellina appare la più significativa. Da qui l’interesse di Anffas Nazionale, della Fondazione Nazionale Dopo di Noi e di Confcooperative Lombardia, a proporre “A Casa Mia” come buona prassi di riferimento per elaborare i contenuti e della legge 112/2016 sul “Dopo di noi”, approvata in via definitiva il 14 giugno 2016 dalla Camera, che è volta a favorire l’inclusione sociale e l’autonomia delle persone con disabilità. Nel frattempo la cooperativa “Come Noi” ha avviato altri tre progetti in appartamenti ed altri due verranno aperti a breve. «All’interno di Anffas, stiamo inoltre elaborando strumenti per misurare scientificamente i risultati, in termini di qualità della vita e inclusione sociale» chiosa Bollani. Che conclude: «Stiamo cioè studiando degli indicatori per capire come migliora la vita dei ragazzi coinvolti nel progetto. Una cosa è certa: oggi le persone disabili e le loro famiglie hanno una possibilità in più di decidere dove vivere, con chi vivere e come vivere; e qualche rischio in meno di essere inseriti in strutture non scelte o in case di riposo per anziani. Un passo decisivo per una vita più autonoma, più piena, più felice».

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