Welfare

Cure palliative, in Lombardia il volontariato non è più un optional

La Lombardia approva una delibera che ridisegna la rete delle cure palliative, creando un modello integrato di hospice e di cure domiciliari. Si disegna un sistema che possa prendere in carico precocemente e con continuità. Una svolta che vede protagonista il non profit, che in Lombardia gestisce la metà dei servizi: ogni realtà per essere accreditata dovrà avere una partnership con un'associazione di volontari formati

di Sara De Carli

Le cure palliative sono nate in Lombardia. Sono lombarde molte delle esperienze che hanno influenzato la legge 38/2010, che sancisce come diritto l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore. In Lombardia si trovano un terzo delle unità di cure palliative di tutta Italia. Ora la Lombardia diventa anche il luogo di più alta attuazione della legge 38, scegliendo un modello organizzativo per la rete delle cure palliative che rende pienamente attuativa la legge 38 e i suoi principi. «La Lombardia torna ad essere il punto di riferimento per le cure palliative, con una delibera che è frutto di un anno e mezzo di lavoro tecnico ma anche di un lavoro di convincimento e coesione, che ha visto unito tutto mondo professionale e dell’associazionismo. È un passo avanti enorme», spiega Luca Moroni, presidente della Federazione Cure Palliative nonché direttore dell’Hospice di Abbiategrasso (Mi) e presidente dell’Associazione Amici Hospice di Abbiategrasso.

La novità in questione è la delibera della Giunta regionale n. X/5918/2016 approvata nella seduta del 28 novembre, che ha per oggetto “Disposizioni in merito alla evoluzione del modello organizzativo della rete delle cure palliative in Lombardia: integrazione dei modelli organizzativi sanitario e sociosanitario” (in allegato il testo). «Creiamo un sistema a rete unificato che integra i modelli organizzativi sanitario e sociosanitario delle cure palliative», ha detto l'assessore al Welfare di Regione Lombardia Giulio Gallera, illustrando il contenuto della delibera approvata, che aumenta di altri 4 milioni di euro gli 84 milioni di euro all'anno che in Lombardia si spendono per le cure palliative.

Concretamente la Lombardia nei prossimi mesi integrerà il sanitario e il sociosanitario (in continuità con l'integrazione dei due assessorati), creando un unico modello di hospice e un'unica tariffa di assistenza residenziale hospice, come pure un unico modello di assistenza domiciliare, individuando due livelli di intensità assistenziale, di base e specialistica. In Lombardia esistono 51 hospice fra sanitari e socio-sanitari, con 650 posti a carico del Sistema sanitario regionale e 22mila malati assistiti negli hospice o a domicilio in un anno. La metà degli hospice lombardi sono gestiti dal non profit. Per l’assistenza domiciliare ci sono oltre 100 soggetti accreditati. «Il mondo del privato sociale è un mondo che a pieno titolo è fra i protagonisti dell'opera di miglioramento delle condizioni di vita dei nostri concittadini e per questo motivo è stato coinvolto per giungere al provvedimento che oggi presentiamo. La Rete lombarda delle cure palliative è una realtà tra le più importanti d'Italia, da oggi la mettiamo nelle condizioni di lavorare al meglio», ha detto ancora l'assessore.

«Oggi abbiamo dure realtà che viaggiavano su binari paralleli, due tipi di hospice e di cure domiciliari, con regole, standard e tariffe diverse. Entro sei mesi i due modelli devono raggiungere un unico profilo di accreditamento, pubblico e privato avranno stessi oneri e stessa dignità, si creano le condizioni perché pubblico e privato sociale possano cooperare, non solo competere», sintetizza Moroni.

Ma al di là di tariffe e accreditamento, ciò che più interessa agli utenti sono le conseguenze di questa nuova convergenza: le strutture e i servizi sia residenziali sia domiciliari sono chiamati a lavorare in rete, con una struttura di coordinamento, superando la frammentarietà data dal lavorare ognuno per conto proprio. «Si favorisce l’integrazione fra l’ospedale e il territorio, i pazienti saranno accompagnati da un servizio all’altro, garantendo continuità e modulando l’assistenza a seconda del bisogno, semplificando i percorsi e arrivando a una presa in cura del paziente il più precoce possibile», spiega Moroni. Integrazione e flessibilità, in un territorio con un’offerta strutturata come quella lombarda, «potranno finalmente portare alla presa in carico di malati non oncologici e anche in fase precoce. Il modello degli hospice è molto adatto ad assistere con altissima intensità un malato terminale, ma d’ora in poi le cure domiciliari con due livelli di intensità, la possibilità di fare consulenze, di essere negli ambulatori, di entrare nelle RSA, porteranno le cure palliative in altri contesti e il fatto stesso che gli ospedali dovranno garantire le cure palliative al loro interno sarà fondamentale per programmare l’uscita dall’ospedale», continua Moroni.

Una grossa novità c’è anche per il ruolo del volontariato: da un lato perché le associazioni di volontariato sono elementi costitutivi della rete e partecipano alla struttura di coordinamento, dall’atro perché gli hospice e i servizi di cure domiliari dovranno avere un partenariato con un’associazione di volontariato. Ogni realtà e servizio quindi in futuro avrà dei volontari formati, come uno dei requisiti per l’accreditamento. «Il volontariato non è un optional, un volontariato organizzato e formato risponde ai bisogni di solidarietà e relazione e contribuisce ad abbattere l’esclusione sociale che la malattia inguaribile troppo spesso determina. Solo valorizzando tutte le migliori risorse pubbliche, del volontariato e del terzo settore si potrà rispondere ai crescenti bisogni di una società sempre più anziana e affetta da malattie croniche», conclude Moroni: «questo è un grande passo in avanti».

Foto di Vidas, una delle più importanti realtà lombarde, aderenti a FedCP

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