Welfare
Claudio Imprudente e i 30 anni del Progetto Calamaio
Scrive Claudio: “Fare memoria del nostro percorso trentennale vuol dire oggi prendere in mano le nostre origini per non smettere di scrivere la storia, la nostra storia. Lo scenario che ora si apre è infatti molto più ampio di quello dei primi anni Settanta e non si limita più al semplice tessuto sociale. Ora siamo chiamati a mescolarci”
In principio furono i Fab Four. Io, Michele Morritti, Andrea Tinti e Alberto Fazzioli, tutti e quattro persone con disabilità, con cui ci incontravamo a casa mia tre mattine a settimana, a Bologna, in zona Corticella. Insieme a Alberto c’era anche Andrea Pancaldi, un ragazzo che all’epoca faceva l’obiettore all’AIAS (Associazione Italiana Assistenza Spastici), venti mesi in tutto. Prima però riavvolgo il nastro e vi riporto alle origini dell’antefatto.
Era il 1968, anni di contestazione a Bologna e nel mondo, anni di apertura, di ricerca di una cultura e di un’educazione nuove, anni di uomini grandi come il sindaco Giuseppe Dozza che aveva appena terminato il suo mandato insieme al cardinale Lercaro, anni in cui imperversavano gli hippie, le minigonne e i Beatles cambiavano la storia del rock.
Un panorama pieno di vita insomma in cui i quattro di Liverpool non erano certo i soli giovani “scarafaggi” irrequieti. Ogni scarrafone d’altronde è bell'a mamma soja ed è sulle note di “Imagine” che quattro ragazzetti senza molti peli sulla lingua cominciavano a muovere i loro primi passi nella città delle due Torri.
Ovviamente sto parlando di me, Michele, Andrea e Alberto, un’amicizia di lunga data, la nostra, condivisa sui banchi di scuola, a cominciare dalle elementari alla Scuola Beltrame, all’epoca delle scuole speciali, tutti e tre nella stessa classe. Quando è arrivata la Legge sull’Integrazione, nel ’77, alle medie Irma Bandiera, ci siamo divisi, stessa scuola ma classi diverse, eccetto io e Alberto, per il quale rappresentavo un riferimento importante e che la nostra insegnante ha cercato di inserire con me. Non per questo mancavano gli incontri con Michele e Andrea nei corridoi, parlando di calcio, giochi e fughini.
Alle superiori c’è stata la diaspora, io ho fatto lo scientifico, Alberto le magistrali, Andrea il classico e Michele ragioneria. Il pomeriggio però ci si ritrovava tutti al cosiddetto Centro Bernardi, il Centro Riabilitazione Spastici di Bologna, in Via Bernardi per l’appunto, dove, tra un esercizio e l’altro, ci si scambiava opinioni e ci si confrontava.
Sullo sfondo, ad accompagnare i nostri passaggi di vita e le battaglie per l’integrazione c’era sempre l’AIAS, a cui avevamo aderito già alle medie, quando, a scuola, inviavano gli obiettori di coscienza a affiancarci e si creavano subito forti legami. Ovviamente dietro c’erano anche le famiglie, famiglie rivoluzionarie, che non avevano paura di inventare soluzioni prima ancora di cercarle.
Così, una volta terminate le superiori, ci siamo guardati intorno e insieme a tutto questo gruppo di persone ci siamo chiesti: e adesso? Che cosa combiniamo? Chi ce lo trova un lavoro? E soprattutto quale?
Io, Michele, Andrea e Alberto cominciammo allora a incontrarci più spesso, per stare insieme ma anche con l’idea di cominciare un’ipotetica attività. Da lì è nato il primo nucleo del CDH, il Centro Documentazione Handicap che oggi conoscete, costituito quindi da Imprudente, Morritti, Tinti Fazzioli e il giovane Pancaldi, che citavo all’inizio, a cui si è poi aggiunto Mauro Sarti, oggi noto giornalista, che ha cominciato a fare l’obiettore di coscienza affiancando Andrea e insieme abbiamo continuato il lavoro, prima dell’82. Successivamente abbiamo trovato una sede per il CDH, all’interno dell’AIAS. Là in Via Alamandini, nei pressi di via Mirasole a Porta San Mamolo, sempre a Bologna, è proseguito il tutto.
Il Professor Andrea Canevaro, allora pedagogista e ricercatore presso l’Università di Bologna, che già bazzicava la nostra realtà, ci ha poi donato 100 libri per cominciare così a concretizzare la nostra idea, quella cioè che per rendere visibile la disabilità bisognasse cominciare a parlarne, da lì l’idea di fare documentazione e soprattutto la nascita di una domanda fondamentale: che cosa può fare un disabile grave per la società e non viceversa?
Prima di documentare ci siamo infatti resi conto che era anche importante informare e soprattutto pensare a come fare un’informazione che mettesse al centro la faccia e il ruolo delle persone con disabilità, che fossero presenti, visibili e riconosciute con un’immagine corrispondente alla realtà, che superasse il pietismo, la paura e i pregiudizi, proprio come cantava Lennon in “Imagine”.
Cominciammo a farlo con un giornalino fotocopiato in bianco e nero, il primo numero di Hp-Accaparlante, allora solo “Accaparlante”, che fece subito discutere, dalla scelta del nome che pretendeva di dare voce a una lettera muta, contrapponendosi provocatoriamente a una rivista allora in voga e dedicata alla disabilità chiamata proprio “H muta”.
Dopodiché da cosa nasce cosa ed essendosi sparsa la voce che era nato il Centro Documentazione Handicap la gente chiamava Andrea Pancaldi per avere delle informazioni su quello che il Centro offriva e sui nostri progetti. Un bel giorno ci ha telefonato una scuola di Finale Emilia, chiedendoci di parlare di diversità ai loro bambini.
Andrea mi ha detto: “Aoh, Claudio, io da solo non me la sento, se vuoi proviamo insieme”. E io ho accettato. L’incontro ha avuto un gran successo e da lì è cominciata un’altra storia. Io usavo ancora la tavoletta di legno e una cosa del genere rappresentava per me una grossa novità oltre che una grande sfida. Come posso fare a raccontare ai bambini cos’è la diversità in maniera diretta e accattivante? Parlando il loro linguaggio, questa fu la mia risposta di allora, e fu così che nacque la favola di Re 33 che gettò le basi di quello che poi nel 1986 sarebbe diventato il Progetto Calamaio, un contenitore e un gruppo di persone disabili e non (e non più solo io) che con il suo passaggio ha cominciato a macchiare la realtà della scuola, lasciando il segno dell’inclusione e della creatività.
Grazie a Re 33 infatti la voce che c’erano persone con disabilità e non che insieme raccontavano ai bambini la diversità con il gioco e l’ironia è diventata insistente e insieme a lei le richieste di incontri e laboratori, che si sono poi sviluppati molto lentamente ma inesorabilmente, mentre ruotavano obiettori di coscienza, operatori, volontari e si inserivano nuove persone con disabilità inviate dall’AIAS, che piano piano hanno accresciuto e modificato la storia del gruppo. Tra i molti che sono passati ricordo con affetto Lorenzo Fanti, un caro amico che abitava nel mio quartiere, a Corticella e che stava praticamente tutto il giorno con me, ventiquattro ore su ventiquattro.
Persone, informazione e educazione, queste sono state le parole che hanno cominciato a scrivere la storia del CDH e parallelamente del Progetto Calamaio, una storia che cambia di anno in anno, così come cambiano le persone con disabilità, oggi con molti più diritti ma non ancora completamente incluse, così come cambiano le politiche, i confini, il mondo del lavoro, della comunicazione, i giovani e i nuovi cittadini in fuga con cui sempre più ci troviamo a confronto.
Perché la storia siamo noi, cantava Francesco De Gregori, anche lui, insieme ai Beatles, uno dei preferiti dei Fab Four di Corticella.E poi la gente [Perché è la gente che fa la storia]
Quando si tratta di scegliere e di andare
Te la ritrovi tutta con gli occhi aperti
Che sanno benissimo cosa fare:
Quelli che hanno letto milioni di libri
E quelli che non sanno nemmeno parlare;
Ed è per questo che la storia dà i brividi,
Perché nessuno la può fermare.
La storia siamo noi, siamo noi padri e figli,
Siamo noi, bella ciao, che partiamo
La storia non ha nascondigli, la storia non passa la mano.
La storia siamo noi, Siamo noi questo piatto di grano.
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