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Nuove sfide per l’Artico: la risposta è nella cooperazione a più livelli
Secondo uno scenario del World Energy Outlook 2014, la domanda di energia primaria mondiale crescerà del 37% nel 2040. Le risorse dell’Artico potrebbero svolgere un ruolo importante nel soddisfare la domanda di risorse energetiche e tale problematica non tocca un solo Stato, ma tutti gli attori globali
I cambiamenti climatici ed il riscaldamento globale rappresentano oggi una sfida cruciale per il futuro del nostro pianeta e in questo contesto l’Artico riveste un ruolo fondamentale per le sue caratteristiche geografiche e climatiche. Nell’area artica gli effetti dell’attività antropica si riversano sull’ecosistema, sull’estensione dei ghiacci, sulla flora, la fauna e le popolazioni locali con conseguenze importanti in termini economici, sociali e geopolitici. Lo scioglimento dei ghiacciai riduce la capacità della superficie terrestre di riflettere la radiazione solare, questa quindi viene assimilata dal mare con un maggiore assorbimento di energia provocando l’aumento della temperatura marina. Le conseguenze sono il surriscaldamento globale, l’innalzamento del livello dei mari ed un incremento del fenomeno dell’erosione costiera.
Le istituzioni internazionali e la comunità scientifica stanno concentrando i loro sforzi sul sistema Artico per un duplice motivo. Da una parte è possibile affermare che le regioni polari rappresentino un terreno fertile per la raccolta di dati circa i trend in atto sui cambiamenti climatici del sistema terreste, dall’altra, in tale area, le mutazioni climatiche risultano amplificate ed accelerate. Nell’Artico infatti, l’aumento della temperatura mediaregistrato negli ultimi cento anni è il doppio rispetto alla media globale. I cambiamenti in atto nell’Artico hanno forti implicazioni su scala globale, è quindi necessario un approccio comune ed una condivisione di responsabilità, sia tra Stati artici sia all’interno della comunità internazionale nel suo complesso, partendo dal presupposto che un fenomeno globale impone una risposta globale.
È con questo obiettivo che paesi “lontani” come Cina, India ed Italia, portano avanti progetti di ricerca scientifica e cooperazione nell’area ed hanno richiesto l’ammissione all’interno del Consiglio Artico. Il Consiglio è un forum internazionale di alto livello istituito nel 1996 per promuovere cooperazione, coordinamento e interazione tra i paesi artici, le comunità indigene e gli altri popoli non artici; l’Italia è stata riconosciuta nel 2013 in qualità di Membro Osservatore Permanente. A livello internazionale, sul piano multilaterale, la presenza italiana è assicurata sia nella regolare partecipazione alle riunioni del Consiglio Artico a livello di Senior ArcticOfficials (S.A.O.), sia neiGruppi di Lavoro incaricati di approfondire tematiche specifiche, attraverso gli esperti del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e di altre istituzioni scientifiche italiane, quali ENEA, INGV, e OGS.
Secondo lo scenario centrale del World Energy Outlook 2014 dell’IEA la domanda di energia primaria mondiale crescerà del 37% nel 2040. Le risorse dell’Artico potrebbero svolgere un ruolo importante nel soddisfare la domanda di risorse energetiche e tale problematica non tocca un solo Stato, bensì tutti gli attori globali. Importante motivazione della presenza italiana è infatti relativa alla sua lunga tradizione nella ricerca e coltivazione degli idrocarburi. Le imprese italiane sono quindi incentivate a promuovere la piena compatibilità ambientale delle operazioni estrattive; compatibilità raggiungibile attraverso una completa collaborazione con gli istituti di ricerca e sfruttando l’eccellenza tecnologica delle aziende stesse. L’Eni, ad esempio, da circa un decennio sta implementando una Climate Strategy incentrata su un miglioramento continuo dell’efficienza energetica e progressiva riduzione delle emissioni legate alle proprie produzioni, sulla promozione del gas naturale come combustibile per la transizione verso un’economia low carbone su investimenti in energia rinnovabile e sviluppo di prodotti verdi.
Le collaborazioni tra istituzioni, imprese ed enti di ricerca sono cruciali per gestire nel modo più efficiente l’incremento dell’attività antropica, fenomeno intrinsecamente collegato ai cambiamenti climatici. Lo scioglimento dei ghiacci artici infatti,apre nuovi scenari ecologici ed economici nel Mar Glaciale Artico: la riduzione di circa il 40% del suo spessore in mezzo secolo ha reso sempre più concreta l’ipotesi di uno sfruttamento commerciale delle vie marittime e aumentato l’accessibilità delle risorse minerarie presenti, come gas e petrolio. È per questo motivo che la “Strategia Italiana sull’Artico” dà ampio spazio alla dimensione ambientale, individuando tra le priorità la protezione della biodiversità, la prevenzione dell’inquinamento atmosferico, la tutela del mare, la gestione integrata delle zone costiere e delle risorse naturali e la lotta ai cambiamenti climatici.
Negli ultimi anni, molti Paesi Artici hanno promosso politiche a sostegno della riduzione dei cosiddetti Short-LivedClimateForcers, tra cui metano, ozono troposferico, idrofluorocarburi e black carbon. Questi elementi hanno carattere transfrontaliero e tendono a concentrarsi nelle zone artiche seppur prodotti a latitudini più basse, inoltre l’apertura di ulteriori rotte marittime fa sì che gli inquinanti siano trasportati direttamente nelle vulnerabili zone dell’Artico.
Quest’area rappresenta inoltre, un anello critico per leimmense quantità di carbonio, immagazzinate sotto forma di permafrost, che con l’aumento della temperatura rischiano di essere degradate ed emesse in grande quantità in atmosfera, amplificando in questo modo l’effetto serra ed il riscaldamento globale.
Uno studio condotto dall’Istituto di biometereologia del CNR ha mostrato che durante la stagione fredda, queste emissioni di metano sono uguali o addirittura maggiori a quelle rilevate nel periodo estivo. Prima di questo studio si credeva che gli ecosistemi artici emettessero gas serra, che si trovano al di sotto dello strato superficiale di permafrost, unicamente nella stagione calda a seguito dello scongelamento di questo e causando quindi il rilascio di metano. La ricerca ha invece mostrato che tale fenomeno ha luogo anche nei mesi invernali, periodo che copre però il 70-80% dell’anno nelle regioni artiche. La tundra artica ha quindi la capacità di rilasciare in atmosfera crescenti quantità di carbonio accumulate nei secoli, di fatto amplificando le emissioni globali, con conseguente accelerazione del cambiamento climatico.
La comunità scientifica internazionale oggi è chiamata ad individuare soluzioni sostenibili che tengano conto della complessità dei processi e delle ricadute sul sistema globale delle scelte economiche e politiche dell’uomo. Se l’obiettivo ultimo è lo sviluppo sostenibile della regione artica è necessario un approccio collaborativo tra scienziati, governi ed industrie. I loro sforzi devono focalizzarsi sulla ricerca di nuove metodologie per lo sfruttamento e la gestione sostenibile delle risorse di pari passo ad una crescente comprensione circa le conseguenze di uno sfruttamento continuo.
È poi necessaria una più adeguata e completa valutazione degli impatti ecologici e sociali dei cambiamenti climatici e lo sviluppo di nuovi indicatori di sostenibilità mirati per la regione. Le azioni ed i saperi della comunità scientifica, per concludere,devono necessariamente includere la conoscenza delle popolazioni indigene e locali(nell’Artico vi abitano circa 4 milioni di persone), in quanto è l’inclusione delle conoscenze tradizionali a rendere sostenibile ed inclusivo il processo di sviluppo. La cooperazione in questo ambito potrebbe essere vincente anche per affrontare l’emergere di sfide conseguenziali ai cambiamenti climatici e al processo di urbanizzazione dell’area, come ad esempio il fenomeno delle migrazioni interne. Le comunità indigene devono quindi essere coinvolte nella definizione delle priorità e delle politiche sul loro territorio al fine di creare una comunità self-resilient, ovvero con un ruolo primario nell’accrescimento della resilienza del sistema artico ai cambiamenti ambientali e sociali che si prospettano.
L'autrice è ricercatrice associata del programma di ricerca “Infrastrutture e Sviluppo Territoriale” dell’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG). Immagini in copertina: Getty images
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