Welfare
I ragazzi adottati? Sono più legati ai genitori dei figli biologici
È uno dei tanti dati emersi ieri durante il convegno "L'adozione che verrà", organizzato dal Ciai. A tema le domande che la realtà attuale pone e le nuove forme possibili di accoglienza in famiglia dei bambini in stato di abbandono. Adozione aperta, stepchild adoption, adozione a coppie omosessuali e single, semiabbandono permanente: tutto visto partendo dai bambini
La dafnia è un piccolo crostaceo, noto anche come “pulce d’acqua”. Se l’ambiente circostante presenta condizioni avverse, in particolare se la mamma “sente” la presenza di un predatore, il piccolo viene alla luce con una sorta di “elmetto”, già attrezzato ad affrontare la battaglia della sopravvivenza. Ne ha parlato una psicologa, Marina Miscioscia, dell’Università degli Studi di Padova, al convegno “L’adozione che verrà”, organizzato ieri a Milano dal Ciai. Che cosa c’entra un crostaceo con l’adozione? «Così anche il feto umano risponde ai maltrattamenti e alle condizioni avverse sperimentate già durante la gravidanza», ha spiegato Miscioscia. «I bambini che arrivano all’adozione sono “bambini difficili” o bambini “troppo facili” perché hanno l’elmetto, la memoria del maltrattamento e del trauma e il trauma è sempre un trauma interpersonale. Hanno bisogno che per loro vengano ripristinate la protezione e la prevedibilità – queste sono le attese di un bambino verso la funzione genitoriale – che le esperienze precoci di abbandono e maltrattamento hanno minato. Alcuni di questi bambini non possono più accettare due genitori e un contesto famigliare tradizionale, per lui i segni sono troppo pesanti. Cosa fare per loro? È possibile pensare nuovi modelli di famiglia adottiva per quei bambini che non possono più pensarsi in una famiglia tradizionale? Che la legislazione pensi a forme fluide di adozione?».
È questa una delle tante domande che durante il convegno ieri sono state messe sul tavolo. Seicentocinquanta le persone che si erano iscritte, forse persino di più quelle effettivamente presenti: «La vostra presenza qui, così numerosa, è testimonianza del fatto che c’è molta voglia di parlare di adozione e di parlarne in modo positivo, costruttivo», ha detto Paola Crestani, la presidente del Ciai, aprendo i lavori (qui il suo discorso integrale). Ciai ha scelto di farlo «con un approccio scientifico, aperto alle esperienze, anche internazionali», senza la pretesa di arrivare a delle conclusioni ma con la consapevolezza che non possiamo avere paura di porci delle domande. «Questo non vuol dire non voler affrontare o minimizzare la grave situazione che le adozioni internazionali in Italia stanno vivendo. Ma oggi abbiamo deciso di non parlare di questo. Noi oggi abbiamo scelto di essere qui per parlare dei bambini che si trovano in stato di abbandono o che rischiano di trovarcisi e di pensare insieme a quali risposte dare a questi bambini in futuro, alla luce dei cambiamenti nella nostra società e dell’esperienza accumulata in tutti questi anni di lavoro quotidiano nel campo dell’adozione. Vogliamo parlarne in modo costruttivo con uno sguardo al futuro».
La mattinata – coordinata da Angelo Moretto, presidente di Euradopt – è iniziata con i saluti istituzionali e con lo sguardo della politica, del diritto, dei Tribunali per i minorenni. Lia Quartapelle, capogruppo PD per la Commissione Esteri ed Affari Comunitari della Camera, ha annunciato di aver presentato un emendamento alla legge di bilancio, per aumentare di 5 milioni il fondo destinato alle adozioni internazionali. Rispetto all’indagine conoscitiva svolta in Commissione Giustizia, per la revisione della legge attuale sulle adozioni, ha affermato che «la gestazione per altri è un tema ancora avvenieristico. I tempi invece sono più maturi per ragionare sulle caratteristiche necessarie per avere accesso alle adozioni, poiché le famiglie si sono modificate nel tempo: da questo convegno mi aspetto spunti per la creazione di un dibattito pubblico, preludio di iniziative legislative».
Gianni Ballarani – avvocato, docente di Istituzioni di diritto privato alla Pontificia Università Lateranense, membro del comitato tecnico-scientifico del nuovo Osservatorio nazionale sulla famiglia – ha ricordato che «per proiettarci nel futuro dobbiamo guardare ai paradigmi fondamentali dell’adozione internazionale. Il minore adottabile è un minore che ha già subito il trauma dell’abbandono: tutto deve tener conto di questo dato di partenza. Parliamo spesso del superiore interesse del minore, siamo abituati a usarlo e abusarne, ma sul piano giuridico quel concetto deve essere declinato in modo precettivo e tutti gli altri interessi devono essere subordinati ad esso. Le adozioni in casi particolari sono state pensate per trovare una soluzione per i minori di difficile collocazione, l’impossibilità di affidamento preadottivo ora viene intesa anche come impossibilità di diritto, ma affermare che ci sia una norma che lo consente è aprire una breccia. Siamo noi adulti i garanti dei diritti dei minori, dobbiamo porci in una posizione minoricentrica, chiedendoci quale può essere il miglior contesto di crescita per un minore, dobbiamo domandarcelo prima di un approdo normativo».
Pungente l’intevento di Luca Villa, magistrato del tribunale per i minorenni di Milano: «Il titolo L’adozione che verrà sembra presupporre chiarezza su cosa sia l’adozione oggi, ma chi ci lavora sa che la situazione è molto complessa o per dirla con linguaggio giornalistico è il caos. Negli ultimi dieci anni l’adozione è una barca in mare avverso, con venti che cambiano in continuazione, avendo perso la bussola e con il timone rotto», ha detto. «La legge del 1983 è una legge fortemente innovativa ma forse con qualche mito eccessivo: da una parte i cattivi genitori e dall’altra le famiglie accoglienti del mulino bianco, tutto chiaro… non è così. L’idea della nuova nascita lascia il tempo che trova, perché la prima nascita il minore non la dimentica e se la porta dietro e viene poi in Tribunale a fare domande precise. Sulla conoscenza delle origini devo richiamare il Parlamento, stiamo ancora aspettando una legge che definisca cosa può fare un Tribunale, tutti procedono in ordine sparso, qualcuno non ha fatto nulla aspettando il Parlamento, altri hanno iniziato a muoversi ma ognuno con le sue prassi, per i cittadini poi è difficile comprendere perché un territorio dà accesso a determinati atti e altri no. Il programma di oggi cita la stepchild adoption e l’adozione aperta, ma un altro tema urgente e fondamentale è il semiabbandono permanente: la legge presuppone che sia chiaro tutto, in realtà siamo pieni di famiglie molto fragili ma che a loro modo cercano di esserci per i figli benché non riusciranno mai ad essere genitori a pieno titolo».
L’adozione è una barca in mare avverso, con venti che cambiano in continuazione, avendo perso la bussola e con il timone rotto. La legge del 1983 è una legge fortemente innovativa ma forse con qualche mito eccessivo: da una parte i cattivi genitori e dall’altra le famiglie accoglienti del mulino bianco, tutto chiaro… non è così. In realtà siamo pieni di famiglie molto fragili ma che a loro modo cercano di esserci per i figli, benché non riusciranno mai ad essere genitori a pieno titolo
Luca Villa
Delle tante e dense relazioni della mattinata, tutte affidate a esperti, segnaliamo il documento ricordato da Raffaella Pregliasco, Responsabile del Servizio Attività Internazionali Istituto degli Innocenti e Giudice onorario presso Tribunale per i Minorenni di Firenze, che nel suo intervento "Eticità dell’adozione alla luce dell’evoluzione del principio del superiore interesse del bambino" ha rammentato il lavoro svolto da un tavolo di esperti per la CAI nel 2008/2009, raccolto in un quaderno dal titolo "Verso la qualità del percorso di adozione internazionale": «un lavoro molto ambizioso, con una checklist delle caratteristiche che i servizi e le procedure devono avere per applicare il best interest of the child, in relazione ai bisogni specifici di un determinato bambino. Un progetto che è stato anche sperimentato in alcuni territori, purtroppo non c’è mai stato modo di diffonderlo» (qui il pdf integrale).
Rosalinda Cassibba, ordinario in Psicologia dello Sviluppo dell’Università di Bari, ha parlato invece dell’impatto dell’adozione aperta per i bambini, in base alle ricerche internazionali. Ricordando che nel mondo si trovano diversi gradi di apertura dell’adozione e modi e frequenza molto variabile del contatto con la famiglia di origine (contato epistolare, telefonico, diretto, alcune che non vedono coinvolto né il bambino né la famiglia ma prevedono solo il filtro dell’agenzia che media i contatti», la professoressa ha parlato di risultati controversi, sottolineando che «il grado di apertura o non apertura dell’adozione non gioca un ruolo primario nello sviluppo emotivo del bambino, indice di più l’impegno e il coinvolgimento dei genitori adottivi. Nell’adozione chiusa gli adolescenti si percepiscono e si dicono meno a proprio agio, ma in realtà negli esiti di sviluppo non si trovano differenze». Molto positivi invece sono i contatti con i fratelli: questo è un «fattore protettivo di estrema importanza», ha spiegato citando una ricerca svolta con i Villaggi SOS d’Italia. La professoressa ha indagato adattamento e attaccamento in 25 adolescenti in adozione mite e altrettanti in adozione legittimante: sull’adattamento i ragazzi in adozione legittimante presentano problemi in linea con la popolazione normale, quelli in adozione mite hanno invece gli stessi valori del campione clinico. «Non significa che l’adozione mite fa danni, ma che la storia precedente ha creato difficoltà non ancora superate», ha chiosato la professoressa. Sull’attaccamento lo stesso: i ragazzi in adozione mite hanno una percentuale di attaccamento più bassa dei coetanei “a rischio” (rispettivamente 36 e 49), mentre quelli in adozione legittimante hanno sviluppato con i loro genitori legami di attaccamento ancora più forti del campione normale (68 contro 62).
Negli ultimi tre mesi il 62% dei ragazzi non ha mai incontrato la madre, il 76% il padre, il 37% i fratelli, pur potendo farlo. L’adozione mite è solo sulla carta. Perché? Ha risposto “per mia scelta” il 71% dei ragazzi rispetto alla madre, il 59% rispetto al padre. L'adozione mite o l’adozione aperta non sono la risposta che va bene per tutti, alcuni ragazzi non hanno voglia di relazionarsi con la famiglia d’origine. Sapere sì, ma non relazionarsi
Rosalinda Cassibba
«L’adozione legittimante ha una percentuale di attaccamento più alta della popolazione tout court, è un dato bellissimo, presentano un sicurezza dell’attaccamento superiore media. Nell’adozione mite in particolare è altissima la percentuale di ragazzi che scelgono un attaccamento distanziante, il 56%: ragazzi che preferiscono non lasciarsi coinvolgere nelle relazioni». E ancora un’altra sorpresa: benché nell’adozione mite siano possibili i rapporti con la famiglia d’origine, sono tantissimi i casi in cui questo rapporto non c’è. Negli ultimi tre mesi il 62% dei ragazzi non ha mai incontrato la madre, il 76% il padre, il 37% i fratelli. L’adozione mite è solo sulla carta. Perché? «Ha risposto “per mia scelta” il 71% dei ragazzi rispetto alla madre, il 59% rispetto al padre. Questo per dire che l’adozione mite o l’adozione aperta, che pure sono due cose molto diverse, non sono la risposta che va bene per tutti, alcuni ragazzi non hanno voglia di relazionarsi con la famiglia d’origine. Sapere sì, ma non relazionarsi».
Favorevole invece alla adozioni aperta Marco Chistolini, psicologo e responsabile scientifico CIAI (qui le sue riflessioni e la sua proposta): «Vale la pena introdurla, nonostante la complessità e i rischi, per tre ragioni: primo, il benessere dei bambini, secondo mettiamo fine alla precarietà esistenziale di moltissimi bambini in Italia, in affido sine die, terzo perché il mondo è cambiato, il tema della segretezza è stato radicalmente trasformato da internet e dai social network, se vuole la gente si trova». Essere favorevoli all’adozione aperta «non significa doppia appartenenza, se la faremo deve essere chiara la preminenza della famiglia adottiva, quella biologica sta nel ruolo di lontani parenti. Quali e quanti contatti? Andrà regolamentato, distinguendo l’apertura comunicativa da quella strutturale: più che stare in rapporto è importante l’apertura comunicativa. Terzo, il sostegno. Chi si occupa di queste famiglie? Servono servizi dedicati, operatori formati. L’adozione aperta non è la migliore soluzione possibile a prescindere, non è che poiché tiene insieme tutto, è meno conflittuale, ci fa sentire meno in colpa, deve essere la soluzione per tutti. Non è LA risposta, ma UNA delle risposte possibili».
Foto di copertina Laura Lee Moreau/Unsplash
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