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Cannabis, la grande bufala della legalizzazione che fa risparmiare
Uno studio dell’economista Marcello Esposito, numeri alla mano, smonta la tesi che sta alla base della proposta di legge in discussione in Parlamento: «Nella legalizzazione della cannabis ci sono sostanzialmente tre obiettivi che si potrebbero voler perseguire: protezione dei consumatori; risparmio dei costi di repressione; maggiori introiti fiscali. Il problema è che questi tre obiettivi non sono ottenibili tutti insieme. Se ne possono ottenere solo due per volta, sacrificando il terzo. Per questo parliamo di un trilemma»
di Redazione
C’è un elemento di novità nel dibattito sulla legalizzazione della cannabis promosso dalla proposta di legge (n.3235) che il 6 ottobre scorso è stata rinviata dall'assemblea della Camera in Commissione. I proponenti , sostanzialmente “l’Intergruppo parlamentare per la cannabis legale” animato dal senatore e sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova, ne hanno fatto principalmente una questione di convenienza economica preferendo quindi smarcarsi dalla tradizionale contrapposizione etica fra proibizionisti e antiproibizionisti. Grande enfasi è stata messa sulla presa di posizione della Direzione nazionale Antimafia che nell’ultima relazione annuale ha spalleggiato la legalizzazione senza mezzi termini. E lo ha fatto in ragione del- la necessità di non distrarre risorse da altre «emergenze criminali virulente» a fronte della «letterale impossibilità di aumentare gli sforzi per reprimere meglio e di più la diffusione dei cannabinoidi».
Secondo i proponenti l’opzione antiproibizionista avrebbe poi il pregio di riassorbire buona parte dei profitti del mercato nero e di generare un importante gettito fiscale: nel nuovo assetto infatti i tre quarti della vendita legalizzate di marijuana sarebbero costituiti da componenti di natura fiscale. Ammesso e non concesso che il dibattito sulla regolamentazione delle sostanze psicotrope possa essere confinato all’aspetto economico, occorre chiedersi se il punto di partenza (che poi è anche quello di arrivo) sia corretto. La cannabis legale è più conveniente di quella illegale? Se il piano è quello dei numeri conviene allora affidarsi a chi con le cifre ha dimestichezza come l’economista dell’Università “Cattaneo” di Castellanza Marcello Esposito, che ha curato uno studio intitolato proprio “Gli effetti economici della liberalizzazione della cannabis in Italia” recentemente pubblicato dalla Liuc. Un profilo, quello di Esposito, molto tecnico ed estraneo allo storico dibattito proibizionisti vs antiproibizionisti.
I dati sul consumo
Stando ai sostenitori della legge, l’industria criminale della cannabis in Italia avrebbe un fatturato pari all’1%-1,8% del Pil e gli introiti fiscali, in caso di legalizzazione, potrebbero aggirarsi su 11-22 miliardi di euro, cioè lo 0,7%-1,4% del prodotto interno lordo. Per avere un termine di paragone gli introiti per l’erario del gioco d’azzardo, del tabacco e dell’alcol sono rispettivamente pari a circa 8 miliardi, 13 miliardi e 12 miliardi di euro. Sono numeri reali? Riflette l’economista: «Le stime della Direzione nazionale antimafia (2015) si collocano al di fuori di ogni range stimato in precedenza. La Commissione Europea, ad esempio, stima un consumo di cannabis in Italia che è pari a una forbice fra 1/3 e 1/10 di quella della Dna». Questa disparità è l’esito del fatto che i dati della Dna derivano da proiezioni basa- te su un solo anno di sequestri, il 2014, del tutto eccezionale: 113 tonnellate (di cui fra l’altro non si conosce la quota in transito e quella destinata al mercato domestico) rispetto a una media relativamente stabile di 20/40 tonnellate di sequestri registrate fra il 1997 e il 2013.
L’introito fiscale
Occorre poi «valutare quanta parte dell’offerta illegale possa essere sostituita dall’offerta legale. Se il mercato nero continuasse a servire i tossicodipendenti e i forti consumatori di cannabis, più sensibili alla variabile prezzo rispetto ai consumatori occasionali, l’offerta legale si ridurrebbe a soddisfare i consumatori occasionali e le entrate potrebbero ridursi notevolmente rispetto alle stime più ottimistiche». Secondo Esposito «con una tassazione finale al consumo del 75% del prezzo di vendita, è probabile che il modello commerciale non riesca ad andare molto oltre quello “dal produttore al consumatore”». Queste previsioni si basano ovviamente sull’ipotesi che lo Stato che legalizza non abbia intenzione di allargare la platea dei consumatori allo scopo di fare cassa. Come detto, la proposta di legge prevede l’applicazione alla cannabis della tassazione del tabacco. Questo significa che sul prezzo di vendita il 75% dovrebbe andare all’erario e il 25% dovrebbe remunerare il produttore/distributore. Partendo da un prezzo pretax della cannabis pari a 10 euro, vorrebbe dire vendere ad un prezzo di 40 euro.
Come spiega Esposito però «non è economicamente plausibile pensare di caricare un prezzo al dettaglio così elevato e spiazzare totalmente il mercato criminale. Così come non è plausibile ritenere che i consumatori problematici accettino di pagare un prezzo gravato dalle tasse se possono continuare a rivolgersi al mercato nero ad un prezzo più basso». Quindi «se il mercato illegale italiano fosse completamente spiazzato da quello legale, la forchetta di valori per le entrate fiscali si collocherebbe tra 1.073-2.882 milioni di euro». Se invece molto più verosimilmente «ci fosse solo un travaso parziale di consumatori dal mercato illegale a quello legale, le stime si ridurrebbero ad una forchetta di 310-883 milioni di euro. Il risultato finale si collocherà in un punto intermedio tra questi due estremi, influenzato dalla spesa in azioni di contrasto e dall’aggressività delle mafie operanti sul territorio nazionale». Numeri sensibilmente inferiori alla proiezione di 11-22 miliardi di euro evocata dai sostenitori della legalizzazione.
Le spese di sicurezza
La sopravvivenza del mercato illegale poi implicherebbe il mantenimento almeno parziale delle spese legate al controllo e alla sicurezza. Non solo. In base allo studio vendere cannabis legale sarebbe ben poco profittevole anche per i dettaglianti: «Considerando i costi di produzione e le aliquote fiscali proposte, il margine finale per la distribuzione legale appare molto modesto. Stiamo parlando di una cifra compresa in un range di 17-76 milioni di euro. Su un prezzo al dettaglio di 10 euro al grammo, quindi 7,5 euro andrebbero all’erario, 2,4 euro remunererebbero i produttori e 0,1 euro i distributori». Conclusione? «Siamo molto lontani dal modello di business del tabacco dove, ricordiamo, la suddivisione sarebbe stata 7,5 all’erario, 1,5 ai produttori e 1 ai distributori… È evidente che il combinato di- sposto di un carico fiscale così pesante e di limitazioni molto stringenti alla produzione/distribuzione rendono poco probabile che il business della cannabis ricreativa in Italia sia remunerativo».
L’effetto sui consumi
Pochi dubbi poi che la legalizzazione della cannabis possa determinare un ampliamento della platea dei consumatori. La storia della regolamentazione del tabacco dimostra come una normativa sempre più stringente abbia determinato una graduale riduzione dei consumi. Hall e Pacula (2003) stimano che la riforma potrebbe portare ad un aumento del consumo del 75%-289%. Se fosse ammessa la pubblicità, l’aumento potrebbe essere anche maggiore. Il che renderebbe necessario misurare i costi sanitari e sociali incrementali della diffusione di una droga pericolosa per gli effetti sulla salute fisica e mentale.
Il trilemma
Secondo l’approccio economicista proposto da Esposito quindi la legalizzazioni sarebbe ben poco conveniente per lo Stato: surplus fiscale modesto, mantenimento dei costi legati alle attività di polizia e giudiziarie, aumento dei costi sociali e sanitari. Da qui le conclusioni: «Nella legalizzazione della cannabis ci sono sostanzialmente tre obiettivi che si potrebbero voler perseguire: protezione dei consumatori; risparmio dei costi di repressione; maggiori introiti fiscali.
Il problema è che questi tre obiettivi non sono ottenibili tutti insieme. Se ne possono ottenere solo due per volta, sacrificando il terzo. Per questo parliamo di un trilemma. Massimizzare gli introiti fiscali e proteggere i consumatori significa sconfiggere la competizione del mercato illegale. Questo non si può ottenere se non intensificando le azioni repressive delle Forze di Polizia. Massimizzare gli introiti fiscali e rinunciare alla repressione si può ottenere solo estendendo la platea dei consumatori del mercato legale oltre il perimetro di coloro che si servono presso l’attuale mercato illegale. Infine, se si vuole spazzare via il mercato illegale e risparmiare sui costi di repressione, è necessario azzerare l’incidenza fiscale sulla cannabis legalizzata. Ma in questo caso ne deriva che gli introiti fiscali si azzerano. Se non bastasse quindi il trilemma a rendere necessaria una profonda riflessione su quali siano i veri obiettivi che ci si prefigge di raggiungere legalizzando la cannabis, si aggiunge il problema di quale siano poi gli introiti fiscali». Esposito: «Le cifre stratosferiche che girano sulla stampa più o meno specializzata sono viziate da errori metodologici nella stima della dimensione del mercato illegale, da incomprensioni nella farmacologia della cannabis e, soprattutto, non si basano su un’analisi economica della dinamica tra domanda e offerta. Se i consumatori abituali e i tossicodipendenti continuassero (per ragioni di prezzo e per una minore azione di contrasto alla cannabis da parte del- le Forze di Polizia) a servirsi presso il mercato illegale, il mercato legale potrebbe al massimo arrivare a coprire il 30% dell’attuale mercato illegale della cannabis».
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