Formazione
Che Buona Scuola sarà? Dialogo con il Ministro
A un anno dalla riforma e ad inizio anno scolastico, Vita ha messo a confronto il ministro Stefania Giannini con tre protagonisti del mondo dell’istruzione: Eraldo Affinati, scrittore e fondatore della scuola di italiano per stranieri Penny Wirton, Irene Baldriga, dirigente del liceo Virgilio di Roma e Giovanni Biondi, presidente di Indire
Da un lato Stefania Giannini, Ministro dell'Istruzione. Dall'altro Eraldo Affinati, scrittore e fondatore della scuola di italiano per stranieri Penny Wirton, Irene Baldriga, dirigente del liceo Virgilio di Roma e Giovanni Biondi, presidente di Indire. Un confronto su la Buona Scuola ospitato da Vita Bookazine di agosto.
Giovanni Biondi – Il problema cruciale, in Italia come in Europa, è superare il modello di scuola novecentesco e tayloristico che conosciamo. Passare dalla lezione frontale a un altro modello di apprendimento, perché quel modello, che si rivolgeva a una società che non esiste più, non funziona. È un problema che riguarda la didattica ma anche gli spazi, abbiamo bisogno di rompere l’inerzia.
Stefania Giannini – La legge 107/2015 aveva l’intenzione di mettere in movimento il mondo della scuola. Quando si parte con un cambiamento così radicale, la prima cosa che si prende sono i fischi, la seconda le critiche, il dibattito costruttivo arriva in terza battuta. Io credo che ci siamo lasciati alle spalle le prime due fasi, stiamo entrando nella terza. Se dovessi scegliere alcune parole-chiave per sintetizzare lo spirito di questa legge, la prima è apertura. Tutte le novità metodologiche e di contenuto della legge vanno nella direzione di aprire le finestre della scuola, per fare entrare il mondo. Abbiamo bisogno che la scuola si contamini con quanto avviene nel mondo, creare collegamenti fra “dentro” e “fuori”.
La seconda parola è autonomia: autonomia nei fatti, che significa mettere ciascuno al volante della propria macchina. Chiedere autonomia è facile, ma quando ti ritrovi al volante c’è chi è pronto a guidare e chi ha bisogno della scuola guida: sono consapevole che esiste un pezzo di scuola che deve ancora “fare propria” questa legge e in questo senso la terza parola-chiave è la formazione degli insegnanti. Noi abbiamo la pena dell’agricoltore: oggi gettiamo il seme del cambiamento, ma per vedere un risultato occorre fisiologicamente attendere anni. Se c’è un coraggio che mi sento di attribuire a questo Governo è stato il coraggio di partire. Nessuno però ha l’illusione di dire abbiamo fatto la legge, stiamo lavorando ai decreti, a fine anno la partita è chiusa: davanti a noi c’è il tempo lungo della coltivazione.
Irene Baldriga – È stato un anno molto denso, mai prima d’ora la scuola aveva vissuto una fase di cambiamento così rilevante. Nel complesso c’è soddisfazione, perché i cambiamenti non sono stati solo “novità” ma autentici miglioramenti. Il punto debole è stata la mancanza di preparazione dei docenti a recepire tutte queste novità, il loro significato. Abbiamo fatto fatica a far vedere le novità come opportunità. La Buona Scuola ha come punto di forza la formazione obbligatoria, credo che il piano nazionale della formazione potrà essere un punto decisivo per la svolta.
Dopo la fase dei fischi, e dopo quella delle critiche ora siamo al momento del dibattito costruttivo. È il più impegnativo, perché quello più carico di aspettative
Stefania Giannini
Stefania Giannini – Avevamo due alternative: iniziare da un piano permanente e strutturale di formazione obbligatoria e cambiare la scuola alla prossima legislatura, oppure avviare subito il cambiamento, correndo il rischio che all’inizio gli insegnanti non capissero o si sentissero deboli nell’affrontare novità come il Piano nazionale scuola digitale o l’alternanza scuola lavoro. Abbiamo scelto la seconda via. Ora il piano nazionale di formazione degli insegnanti è pronto. Si tratta di una formazione strutturale e permanente, obbligatoria, dove l’aggettivo indica non tanto il “dovere” quanto il riconoscere agli insegnanti — stiamo parlando di un milione di persone — il diritto di essere formati.
Questo piano di formazione, dotato di risorse importanti, diventerà la cinghia di trasmissione del cambiamento. Le priorità saranno abbinate alle priorità della legge: ad esempio il Piano nazionale scuola digitale e le lingue, che sono il passaporto per la socializzazione in una società globale.
Un momento del confronto
Eraldo Affinati – Io vorrei andare per un momento a Molenbeek, in Belgio, da dove venivano molti dei responsabili degli attentati di Parigi e di Bruxelles. Lì c’era tutto: scuola, trasporti, servizi sanitari… eppure quei ragazzi sono diventati dei terroristi. Che cosa manca nelle Molenbeek di oggi? La qualità del rapporto umano. È questo ciò che la scuola deve realizzare, il suo primo obiettivo. Alla Penny Wirton, la nostra scuola di italiano per ragazzini immigrati, gra- zie all’alternanza scuola lavoro i ragazzi di alcuni licei sono venuti a insegnare l’italiano ai loro coetanei immigrati. È stato un laboratorio antropologico eccezionale.
Io giro le scuole, vedo tante buone pratiche, vedo tanti “fuochi accesi”, perché non riusciamo a mettere a sistema queste buone pratiche, creando osmosi tra la scuola e i territori? Abbiamo strumenti che potrebbero portarci ad essere un’avanguardia europea per la vera integrazione, ne siamo consapevoli?
Stefania Giannini – Vogliamo fare esattamente questo, superare le esperienze eccellenti ma atomiche, senza collegamento. Il collegamento non c’era perché mancava la formazione strutturale e permanente, è questo che collega tutte le buone pratiche della scuola italiana fra loro e che le indirizza. Lei ha parlato di questa esperienza che avete fatto nell’ambito dell’alternanza scuola-lavoro: ogni volta che mi si chiede qual è la cosa più importante nella Buona Scuola, io dico quella. Purtroppo l’alternanza è entrata nel dibattito dalla porta “aziendalistica”, ci hanno accusato di mandare i ragazzini a fare lavoro minorile in azienda. No, scuola lavoro è quello che ha detto lei, è mettere a capitale le esperienze di
integrazione fra ciò che c’è dentro la scuola e ciò che c’è fuori, le imprese ma anche le realtà che fanno cultura, le associazioni che si occupano delle sfide sociali, il volontariato… stiamo cercando di creare queste reti. Gli strumenti ci sono e anche le risorse: mettiamo strutturalmente 40 milioni all’anno nel bilancio del ministero per la formazione e 100 per l’alternanza. C’è una potenzialità enorme, lei chiedeva se ne siamo consapevoli… io lo sono.
La valorizzazione del merito è una competizione perché ciascuno sia portato a dare il meglio. E poi a far sì che tutti si ispirino a quel “meglio”
Stefania Giannini
Eraldo Affinati – L’Italia ha un grande problema di dispersione scolastica. Si potrebbe pensare di creare sportelli di tutoraggio all’interno degli istituti, con un docente dell’istituto che si curi di questi ragazzi? È un problema enorme, soprattutto nei professionali.
Stefania Giannini – Ancora una volta il problema è che abbiamo un modello di scuola novecentesco, mentre la società ha fatto un balzo in avanti di cent’anni. Non le posso dire che c’è una misura contro la dispersione scolastica, io le dico che tutta la Buona Scuola è contro la dispersione scolastica, con tutti i 4 miliardi che abbiamo messo nella legge. In passato non abbiamo investito adeguatamente sulla professionalizzazione che la scuola deve dare ai ragazzi che di fronte alla lavagna e al libro dopo alcuni anni non ci stanno più: devi offrire loro un altro modello. La delega sulla formazione professionale, reintroducendo i laboratori — i laboratori, si, che erano stati tagliati persino dagli istituti professionali — e facendo sì
che pratica e teoria entrino strutturalmente in tutte le scuole, sono ricette per combattere la dispersione. Vorrei citare anche il progetto ScuolaAlCentro, nato dall’idea che la scuola non può e non deve lasciare soli i ragazzi né sospendere il suo ruolo durante l’estate, che è quello di essere il punto di riferi- mento di una comunità: siamo partiti con 400 scuole in quattro città con 5,8 milioni di euro spesi. Ne avevamo stanziati 10, ciò che resta è a disposizione subito, più altri 120 milioni, perché vogliamo che questa esperienza continui tutto l’anno, in tutto il Paese. Stiamo dando l’opportunità alla scuola di essere vissuta dai ragazzi per quello che è, la propria casa. È questa l’idea di scuola che sogniamo.
Giovanni Biondi – Un ostacolo che ancora rimane è il contratto di lavoro degli insegnanti. Se porti tutti questi cambiamenti, ma il lavoro degli insegnanti rimane imperniato sulle 18 ore di cattedra, qualcosa non va. La scuola è la più grande azienda del Paese, è chiaro che non la cambi tutta insieme, però io credo che il prossimo tema da affrontare sarà questo.
Stefania Giannini – Sono molto d’accordo. È la cosa che più mi lascia insoddisfatta di quanto abbiamo fatto in questo anno. Il potenziamento dell’organico significa dare alle scuole un capitale umano qualificato in più, una squadra più forte. Questo è un primo passo, ma bisogna arrivare a ripensare contrattualmente l’impegno, la tipologia, la quantità e anche il compenso del lavoro degli insegnanti. Lo dico con franchezza, io ero per l’introduzione del concetto di carriera, con una differenziazione anche dal punto di vista stipendiale. Non so se qui abbiamo avuto un po’ meno coraggio, forse coraggio non c’è stato nemmeno da parte delle organizzazioni sindacali, quell’apertura necessaria per sedersi attorno a un tavolo. Questo passaggio non è stato affrontato, però mi sembra che abbiamo creato le premesse: chi farà questo nobile mestiere più avanti lo dovrà affrontare.
Irene Baldriga – Tutte le novità di questo anno hanno generato una grandissima riflessione all’interno delle scuole sulla professionalità del docente. Ci siamo ritrovati per la prima volta a discutere della qualità del lavoro dell’insegnante. Penso al bonus per la valorizzazione dei docenti, che dopo le fatiche iniziali è stato compreso. Ora c’è la chiamata per competenze, che valorizza anch’essa la professionalità dell’insegnante, riconoscendo le esperienze e il percorso di crescita dei docenti.
Stefania Giannini – Intanto chiamata per competenze, non chiamata diretta come spesso la si chiama: credo che in questa definizione si concentri il senso dell’operazione. Abbiamo dato ai dirigenti strumenti precisi di collegamento tra il fabbisogno della scuole e ciò che i vincitori di concorso — diciamolo chiaramente, sono tutti vincitori di concorso — sono in grado di fornire, assumendo anche il desiderio dell’insegnante di lavorare in quella scuola perché sente che lì la sua competenza può essere valorizzata. È un meccanismo che sostituisce virtuosamente il precedente, basato su graduatorie gestite in maniera meccanica, in cui la scuola restava un soggetto estraneo. I criteri di scelta saranno
indicati chiaramente, esposti, il rischio di una presunta discrezionalità e soggettività dei dirigenti è minimo… io credo sia una innovazione molto importante. Quanto alla valorizzazione del merito, non è una competizione tra pari ma di ciascuno per dare il meglio: l’effetto antropologicamente naturale dovrebbe essere che tutti si ispirano a quel “meglio”. La scuola non si può permettere di restare chiusa nel suo mondo, l’idea di apertura che si combina con l’autonomia è questa: tu devi competere alle stesse regole con cui compete la società, per arrivare a quelle sfide inclusive che sono la tua missione. Questa è la chiave di comprensione di tutta la Buona Scuola.
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